L’impatto ideologico sull’evoluzione dei dogmi. L’ermeneutica del sospetto per demitizzare la teologia

Ludovica Eugenio
Adista Documenti n°20/2012

I presupposti di una religione, affermazioni non verificabili condivise da una comunità di credenti per fede, vengono generalmente elaborati in modo tale da risultare, consciamente o inconsciamente, vantaggiosi per il controllo del potere da parte delle istituzioni all’interno della comunità religiosa, anche quando il potere viene considerato come un servizio. E poiché, ad esempio, lo sviluppo della teologia cattolica è stato controllato, nella storia, da un clero maschile e celibe, per lo più di origine europea, è probabile che «la teologia cattolica si sviluppi negli interessi del clero maschile euro-americano». Da qui la necessità, nell’analisi della teologia, di dare vita a un’ermeneutica del sospetto.

È questo il tema affrontato dal teologo dello Sri Lanka Tissa Balasuriya in un intervento pubblicato sul primo numero del 2012 della rivista di teologia dell’Eatwot (Associazione dei teologi e delle teologhe del Terzo Mondo) Voices, dedicato al tema “Verso un paradigma post-religionale?” (v. Adista Documenti nn. 16 e 18/12; il numero può essere letto integralmente in inglese e in spagnolo/portoghese sul sito http://InternationalTheologicalCommission.org/VOICES). Di seguito, in una nostra traduzione dall’inglese, ampi stralci del suo intervento, intitolato “Per una teologia critica: un contributo dall’Asia”.

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UN APPROCCIO CRITICO ALLA TEOLOGIA

Tissa Balasuriya

COSA SONO I PRESUPPOSTI IN TEOLOGIA

I presupposti sono affermazioni accettate o considerate vere da una comunità o da un gruppo religioso, anche se non verificabili. Nella misura in cui le religioni offrono prospettive riguardanti altre realtà del mondo – come la vita dopo la morte o la natura del divino – la loro accettazione appartiene all’ambito della fede (…).

Alla base di tutte le religioni che propongono prospettive meta-cosmiche sulla vita umana, vi sono ipotesi o presupposti che vengono dati per scontati (…): ipotesi implicite di lavoro delle religioni. (…). Questi presupposti possono trovarsi a diversi livelli dell’evoluzione di una religione o di una fede: possono riguardare il fondatore, i testi che contengono i suoi insegnamenti oppure le successive elaborazioni da parte della comunità religiosa, costruita intorno al fondatore e al messaggio fondativo originario. Questi diversi livelli di presupposti non hanno la stessa autorevolezza per i seguaci di una religione. I valori e gli insegnamenti fondamentali generalmente risalgono all’esperienza religiosa originaria del fondatore. Le elaborazioni successive sono influenzate dal corso della storia e dall’evoluzione specifica di una comunità religiosa. Anche gli insegnamenti di un fondatore sono condizionati dalla cultura del suo tempo, ma in genere tendono ad essere più universalistici, almeno nelle loro intuizioni fondamentali.

I presupposti, in genere, non vengono messi in discussione all’interno del gruppo che li accetta, a meno che non siano svantaggiosi per esso: sono radicati nella vita di un popolo e diventano parte del suo patrimonio culturale. Per secoli, la storia biblica della creazione in sei giorni non è stata messa in discussione dalla maggior parte del popolo cristiano e persino da molti teologi, finché non sono apparsi i dati scientifici che la contraddicevano. Le persone generalmente acquisiscono un certo approccio acritico nei confronti dei presupposti su cui si basa la loro vita religiosa e culturale. (…).

VALIDITÀ DEI PRESUPPOSTI TEOLOGICI

(…) Per colui che crede in un presupposto della religione, questo ha una validità e una verità che si fondano sulla fede. E può essere testimoniato da una vita vissuta in fedeltà ai suoi insegnamenti o ai suoi imperativi, diventando stimolante e significativo per chi lo accetta. Il presupposto di una religione non può, tuttavia, essere accettato come necessariamente vero da persone di altre o di nessuna religione. (…).

Possono esistere differenze riguardanti i presupposti anche all’interno di una stessa tradizione religiosa. Così, all’interno del cristianesimo (…), l’insegnamento riguardante l’infallibilità del romano pontefice è un punto su cui le Chiese sono divise. E vi sono altri temi su cui le Chiese cristiane hanno opinioni divergenti: ad esempio, sulla natura del peccato originale, sulla grazia e sulla redenzione. Possono esistere differenze fondamentali nell’interpretazione di testi comunemente accettati come la Bibbia. Molti dibattiti teologici del IV e del V secolo o quelli della Riforma si riferivano a interpretazioni diverse dei testi biblici, assunte secondo gli interessi delle parti in causa.

Questioni più profonde sorgono quando religioni diverse presentano sistemi completamente diversi basati su presupposti diversi. A certi livelli può esservi una somiglianza, per esempio su valori fondamentali e sulle loro applicazioni ad una data situazione, ma la riflessione generale all’interno di una religione può essere condotta in modo diverso da quello di un’altra. Così, la teologia cristiana e il pensiero religioso buddhista possono concordare su alcuni valori e su alcune applicazioni, ma la costruzione del pensiero e la sua espressione sono molto diversi l’uno dall’altro.

Finché queste religioni sono praticate in contesti diversi, può non esserci alcun problema riguardo alla loro relazione. Ma quando sono vissute da gruppi diversi all’interno dello stesso Paese o regione, la loro interazione è importante. Come la storia ci dimostra, la pretesa di una religione di costituire il percorso unico e privilegiato per la salvezza e di godere del diritto di dominare gli altri, può provocare un duro conflitto interreligioso.

Poiché le religioni si basano su presupposti diversi, c’è bisogno di sviluppare criteri e metodologie per la loro interrelazione. I presupposti di una religione non sono necessariamente più validi di quelli di un’altra. Sia gli uni che gli altri possono rappresentare delle ipotesi su questioni riguardo a cui non ci può essere alcuna prova. (…). È dal loro impatto che possiamo capire se e in quale misura ciascuna religione conduce alla realizzazione umana. In un tale contesto non dobbiamo confrontare la teoria dell’una con la pratica di un’altra, o il meglio di una con il peggio dell’altra. I santi mistici di una religione non devono essere confrontati con i malfattori di un’altra.

Dobbiamo considerare i presupposti come assiomi, validi solo per coloro che li accettano. Possiamo tuttavia studiare le implicazioni di diverse serie di ipotesi o di posizioni teologiche. Una religione che riconosce l’uguaglianza di tutti i popoli di fronte a Dio ha un impatto diverso sulla storia rispetto a una che si considera il popolo eletto, favorito da Dio, specialmente se i favori sono intesi come diritto alla dominazione. (…).

Possiamo far ricorso a principi comuni fondamentali per valutare tutti i presupposti e, di conseguenza, tutte le teologie che ne dipendono? Almeno all’interno di ogni tradizione, tali principi possono evolvere? (…).

IL RUOLO DELL’IMMAGINAZIONE

C’è molto spazio per il ruolo dell’immaginazione nell’evoluzione delle teologie, perché la teologia si occupa spesso di cose di cui non abbiamo informazioni verificabili o che vanno al di là della capacità di comprensione della mente umana. Dio è un mistero, le origini dell’essere umano sono a noi sconosciute, ciò che succede ad una persona dopo la morte è ignoto. Ma le religioni elaborano spiegazioni diverse su questi aspetti, a partire dalla loro tradizione culturale.

La teologia cristiana è legata alle presentazioni mitiche dell’Antico Testamento, come la Genesi, e agli scritti del Nuovo Testamento. (…). Il racconto della Genesi in sé è breve e idilliaco. Saranno i teologi successivi a riferirsi all’azione dei primi genitori (nel mito) come a un peccato grave contro i comandamenti di Dio. Il concetto di peccato originale nella teologia cattolica si è evoluto nel corso di secoli di esperienza cristiana: da S. Agostino attraverso il Medioevo fino alle definizioni del Concilio di Trento nel XVI secolo. Le differenze tra le scuole di teologia, come tra cattolici e protestanti, e perfino all’interno dei cattolici e dei protestanti, mostrano quanti tipi di interpretazioni siano possibili. Ogni posizione fornisce una spiegazione dello stato della giustizia originaria, della natura della “caduta” e delle sue conseguenze e, pertanto, del concetto di redenzione.

Se sappiamo per esperienza che fallibilità e mortalità umane si combinano con il desiderio di bene e di immortalità, non possiamo conoscere però le origini storiche di questa situazione. Quello che si dice di quello stato e di quello stadio non è forse una questione di immaginazione teologica, come ad esempio il fatto che Adamo ed Eva non fossero soggetti alla concupiscenza o alla morte?

Ciò vale anche per i dibattiti tra i pelagiani e i loro avversari, nel V secolo, riguardo al battesimo dei bambini. Se questi ultimi sostenevano che le anime dei bambini morti senza battesimo sarebbero state condannate, per quanto non all’inferno, ma ad una pena più lieve, i pelagiani ritenevano invece che, non avendo commesso alcun peccato, sarebbero stati destinati, se non al cielo, almeno a una felicità minore nella vita eterna. (…).

Oggi è facile constatare come entrambe le scuole forniscano interpretazioni su un’ipotesi sconosciuta e inconoscibile, sulla base dell’accettazione del presupposto relativo al peccato originale e alle sue conseguenze. La loro riflessione filosofica e teologica sulla libertà e sulla grazia di Dio era molto profonda, ma si basava su ipotesi derivanti da citazioni scritturali.

(…). Tali concetti hanno condotto a conclusioni circa la natura e la necessità di redenzione dell’umanità dal peccato e da Satana. Dal presupposto della caduta e dell’alienazione di tutta l’umanità da Dio, è derivata la necessità di un redentore divino, la necessità della grazia di Cristo e delle Chiese per la salvezza, la negazione del valore salvifico delle altre religioni.

Tali interpretazioni del mito nella teologia cristiana hanno avuto conseguenze disastrose sulla comprensione delle relazioni di genere e interreligiose. La storia di Adamo ed Eva è alla base di un’ideologia del dominio maschile, fondamento di insegnamenti esclusivisti e intolleranti, di atteggiamenti tipici della teologia cristiana, nonché di poteri “cristiani”, come quello dei colonizzatori europei in Asia, Africa, Americhe e Oceania negli ultimi cinque secoli.

Così, si è risposto a questioni teologiche vitali sulla base delle conclusioni derivate dall’interpretazione, data nel corso del tempo, di una storia mitica. E ogni successiva generazione nella Chiesa ha attribuito il valore di “tradizione” alle interpretazioni dei predecessori nella fede.

L’INFLUENZA DELLA TEOLOGIA

La teologia è condizionata non solo dagli insegnamenti dei fondatori religiosi e dai presupposti della comunità, ma anche dagli interessi del gruppo responsabile dell’evoluzione del pensiero. Una linea di pensiero sviluppata per favorire gli interessi di un gruppo può essere definita come ideologia. Tutti i detentori del potere tendono a sviluppare schemi di pensiero che legittimino il loro potere e lo perpetuino. Non accontentandosi di esercitarlo attraverso il controllo giuridico, politico e militare, mirano a conquistare le menti dei loro sudditi, sviluppando ideologie per giustificare intellettualmente e moralmente il loro potere. (…).

Le istituzioni religiose tendono, consciamente o inconsciamente, a sviluppare il loro insegnamento per esercitare il potere all’interno della comunità religiosa, evitando, normalmente, di elaborare dottrine che sottraggano loro tale potere, malgrado i loro fondatori considerino questo come un servizio. «Chi vuol essere il primo tra voi sarà il servo di tutti» (Mc 10,43). In realtà, i detentori del potere possono considerarlo come il più grande servizio offerto alla comunità. La Chiesa cattolica, detentrice di un potere spirituale e politico secolare su popoli interi, può essere particolarmente sensibile alla ideologizzazione della propria teologia, adattandola, cioè, a vantaggio di chi, al suo interno, detiene il potere. Così, di tutti i riferimenti a Pietro nei vangeli, la Chiesa mette in evidenza ciò che ritiene utile a legittimare il papato. «Tu sei Pietro…» e non «Lungi da me, satana», detto dal Signore allo stesso Pietro. «Tutta la conoscenza umana», afferma Niebuhr, «è contaminata da una macchia “ideologica”. Pretende di essere più vera di quello che è. È conoscenza finita, maturata da una prospettiva particolare, ma pretende di essere definitiva e ultima».

Durante la maggior parte della sua storia, l’evoluzione della teologia cattolica è stata controllata da un clero maschile e celibe e, fino all’attuale generazione, prevalentemente europeo o di discendenza europea in altri continenti. È quindi probabile che la teologia cattolica si sviluppi secondo gli interessi del clero maschile euro-americano. Per l’analisi della teologia è quindi necessaria un’ermeneutica del sospetto. Dal momento che il “difetto ideologico” è un fenomeno umano comune, bisogna aspettarselo in tutta la teologia (compresa quella di chi scrive). (…). Quando la teologia si occupa di questioni non soggette a verifica empirica o ad indagine razionale, c’è più spazio per l’influenza dell’ideologia. Quindi, ciò che viene trasmesso come verità di fede può coincidere con gli interessi dei potenti. Quando la teologia evolve e propaga dottrine dotate di un pregiudizio ideologico, queste tendono a radicarsi in un popolo fino al punto di diventare un pregiudizio e uno stereotipo nella valutazione delle situazioni. Lo si vede chiaramente dall’impatto della storia del Giardino dell’Eden sull’atteggiamento della società nei confronti delle donne.

MITO E TEOLOGIA

Il mito è una narrazione volta ad esprimere attraverso i simboli la realtà ultima che trascende la capacità di ragionamento discorsivo come pure di espressione nel linguaggio della gente comune. (…). I presupposti di una religione possono riguardare i miti, come ad esempio la storia della creazione nella Bibbia. (…). Dal momento che l’inizio e la fine dell’universo e della vita umana oltrepassano la nostra conoscenza esperienziale, le religioni rivendicano l’accesso ad alcune rivelazioni da parte di Dio/l’Ultimo, utilizzando diversi miti per interpretare i loro punti di vista su questi temi. Il mito fa riferimento ad eventi che si dice abbiano avuto luogo nel tempo primordiale, considerati fondamentali per tutto l’ordine e la regolamentazione della vita.

(…) Dal momento che un mito è una narrazione che si sforza di comunicare un aspetto della realtà ultima o trascendente in relazione all’origine, al destino e al significato della vita umana o di una comunità, esso lascia ampio spazio alla fantasia e all’immaginazione. Ciò è vero per la storia biblica della creazione come per le storie dei popoli relativamente alle loro origini etniche. (…).

UN DUPLICE CRITERIO PER VALUTARE LE TEOLOGIE CRISTIANE

Pur apprezzando i vantaggi innumerevoli e insondabili che la teologia cristiana ha offerto a milioni di esseri umani per quasi due millenni, dobbiamo valutare i suoi inconvenienti per il bene dei credenti, della Chiesa e delle relazioni religiose, specialmente nei Paesi asiatici.

Le fonti della teologia cattolica, la Bibbia e la tradizione, sono entrambe soggette ad una valutazione critica. La Bibbia contiene un insegnamento centrale di amore e di servizio disinteressato che può essere veramente significativo e redentivo per tutta l’umanità. Ciò fa parte dell’intuizione religiosa fondamentale, dell’ispirazione, dell’esperienza e dell’esempio del popolo ebraico nell’Antico Testamento e di Gesù e dei suoi discepoli nel Nuovo.

Tuttavia esistono molti elementi nella Bibbia meno encomiabili o addirittura indifendibili, in quanto ledono i diritti degli esseri umani. Così il libro del Deuteronomio prevede lo sterminio totale delle sette nazioni che abitano Canaan al momento dell’occupazione da parte di Israele (Dt 7,1-5,20,16-18). Gli israeliti devono «assolutamente distruggerle» (Dt 7,2) e non «salvare nulla» che respiri (Dt 20,16). Di fronte agli interessi di Israele, popolo eletto di Dio, la vita di altri non conta.

Allo stesso modo, anche nella tradizione si incontrano diverse interpretazioni di testi alla base di conflitti tra cristiani come pure di insegnamenti intolleranti e dannosi per altri, come quelli riguardanti altre religioni e culture o le donne.

Noi proponiamo un duplice principio – uno negativo e uno positivo – per valutare la teologia, derivante dal comandamento dell’amore di Gesù, il nucleo del suo messaggio.

a) Negativamente

Ogni teologia che derivi autenticamente da Dio in Gesù deve essere amorevole, rispettosa e soddisfacente per l’umanità di tutti i luoghi e di tutti i tempi. È questa la natura del Dio di giustizia e di amore rivelato nella fondamentale (e migliore) ispirazione della Bibbia, in particolare da Gesù. Di conseguenza, nessun elemento che in una teologia risulti insultante, degradante, disumanizzante e discriminante in relazione all’umanità di ogni tempo e luogo può venire da Dio in Gesù. Qualsiasi elemento del genere risulta necessariamente come un’intrusione ingiustificata e deve essere eliminato dal corpo della teologia cristiana. Come dice Gesù, «dai loro frutti li riconoscerete». Frutti di odio non possono venire da Gesù o da Dio. (…). Se in una teologia sono presenti questi elementi degradanti, bisogna ricercarne l’origine. Forse sono il frutto di una deduzione illegittima da una fonte accettabile, oppure la stessa fonte può costituire un presupposto non giustificato o giustificabile. In quest’ultimo caso, la stessa fonte deve essere analizzata e valutata in termini molto critici. Dobbiamo stare attenti a non attribuire a Dio ciò che è una mera elaborazione umana. Questo principio può condurre alla revisione di gran parte della costruzione tradizionale della teologia cristiana occidentale.

b) Positivamente

Dal momento che ogni bene viene da Dio, tutto ciò che produce veramente umanizzazione in qualsiasi religione o ideologia è anche, in ultima analisi, di origine divina, e deve essere rispettato come tale. Dal momento che Dio vuole la felicità di tutti, più una teologia conduce alla piena realizzazione umana di tutte le persone e di tutti i popoli, più si avvicina alla sorgente divina.

Questo principio di critica è razionale ed etico. Può essere applicato a qualsiasi religione o ideologia. Si basa anche sull’insegnamento centrale di Gesù Cristo, rendendolo la pietra di paragone della buona teologia. La teologia cristiana non dovrebbe considerarlo come suo principio guida? (…). In realtà, l’insegnamento evangelico di Gesù è stato trascurato nel dogma della Chiesa e nei catechismi utilizzati per l’insegnamento della religione.

È naturale che ci siano differenze di opinione nell’applicazione di questo principio. Ma il principio come tale (…) ci aiuta a liberare le teologie cristiane da immagini divine che, in contraddizione con l’insegnamento di Gesù, presentano Dio come intollerante, parziale e crudele o che promuovono la disumanizzazione e lo sfruttamento degli esseri umani. (…).

CRITERI PER VALUTARE I MITI DI UNA RELIGIONE

Con questo principio critico possiamo proporre alcuni criteri per valutare i miti di una religione. I miti, la cornice concettuale che cerca di spiegare la vita umana, il suo senso e il suo destino, non possono essere dimostrati né smentiti da dati empirici né dal pensiero razionale, essendo al di là della storia verificabile. Possono essere verosimili, dare spiegazioni possibili. (…).

I miti di una religione devono essere compresi empaticamente dall’interno della tradizione religiosa e in relazione allo sfondo culturale delle loro origini e del loro sviluppo.

Scrive Raimundo Panikkar: «Le religioni si occupano principalmente dell’autocomprensione collettiva e ultima di un gruppo umano. La verità della religione non può essere misurata solo all’interno del mito unificante che rende tale comprensione possibile». I miti delle religioni o di una particolare comunità umana sono percezioni collettive profondamente radicate che influenzano il pensiero e le azioni ad un livello primordiale. Generalmente accettati in maniera incondizionata come veri e validi, fanno parte del forte subconscio emotivo di un popolo. I miti o le narrazioni riguardanti simboli che appaiono come meri indicatori delle realtà ultime possono a loro volta essere presi come verità letterali, la cui interpretazione può essere funzionale ai detentori del potere nella comunità. E una volta intrapreso questo percorso teologico, la tradizione, considerata fonte di rivelazione, può rafforzare le posizioni ideologiche e trasmetterle di generazione in generazione come verità divinamente rivelate. (…).

La distinzione tra mito o racconto e realtà storica è quindi estremamente importante, così come quella tra i presupposti e gli insegnamenti autentici di Gesù. Le limitazioni della teologia passata erano in parte dovute ad una interpretazione letterale del racconto della Genesi come dato storico rivelato da Dio. Questo racconto mitico può racchiudere un importante messaggio spirituale relativo alla condizione umana, ma preso come verità letterale può lasciare molto spazio all’ideologia.

(…) Pensatori moderni come Rudolf Bultmann hanno sviluppato il concetto di demitizzazione per separare la reale importanza di un mito dalla sua espressione fantasiosa.

I miti in generale favoriscono un gruppo dominante all’interno di una comunità, che si tratti di un gruppo etnico, di una della famiglia reale, di una casta sacerdotale o del sesso dominante. I miti in tal modo consolidano le disuguaglianze interiorizzandole nella mentalità e nelle culture dei popoli e offrendo a queste convinzioni un’aura di sacralità che induce ad accettarle come vere.

Tali considerazioni mostrano l’importanza di adottare un’ermeneutica del sospetto, al fine di cercare di valutare l’impatto del mito, dell’ideologia, dell’immaginazione e del pregiudizio per l’evoluzione dei dogmi. Ciò è particolarmente necessario in situazioni in cui i dogmi costituiscono un elemento di divisione in una società pluralista o deviano l’attenzione dei cristiani dai temi più importanti della vita della comunità umana e dal messaggio centrale del Vangelo.