Prescritto, non innocente: la sentenza sulle coperture di mons. Lafranconi al prete pedofilo

Marco Zerbino
Adista Notizie n°20/2012

«Assolutamente omissivo»: così ha sentenziato il giudice per le indagini preliminari di Savona, Fiorenza Giorgi, nel riferirsi all’atteggiamento tenuto da mons. Dante Lafranconi nei confronti dei crimini commessi da don Nello Giraudo, prete pedofilo condannato pochi mesi fa ad un anno di reclusione con la condizionale. L’attuale vescovo di Cremona, alla guida della diocesi ligure fra il 1992 e il 2001, era stato posto sotto indagine da parte della Procura in seguito alle denunce presentate ai magistrati dal portavoce della Rete L’Abuso Francesco Zanardi, in passato vittima delle molestie di don Giraudo e da anni in prima fila nel combattere la piaga della pedofilia clericale (v. Adista Notizie nn. 7 e 11/12). Ai primi di febbraio, tuttavia, era stata notificata la richiesta di archiviazione della posizione di Lafranconi da parte del pubblico ministero per intervenuta prescrizione dei reati contestatigli, alla quale si era subito opposto lo stesso Zanardi che aveva tempestivamente presentato nuovi oggetti di indagine a carico del prelato e un’ulteriore querela da parte di una vittima già sentita in passato come teste dai magistrati. Lo scorso 8 maggio è però arrivata l’ordinanza di archiviazione decisa dal Gip: il reato, afferma in sostanza, è da considerarsi prescritto, ma ciò non implica affatto l’innocenza del vescovo di Cremona. Anzi, dalla lettura delle sei pagine dell’ordinanza emerge con chiarezza un fatto: Lafranconi non poteva non sapere.

Se Sua Eccellenza si morde le mani…

Diverse sono le prove documentali che, secondo il magistrato, attestano la consapevolezza dell’allora vescovo di Savona circa il comportamento deviante di Giraudo. Del resto, è stato lo stesso don Nello che, sentito dagli inquirenti, ha sostenuto di aver messo al corrente dei propri problemi i diversi vescovi succedutisi negli anni alla guida della diocesi, anche se «soltanto in confessione». Quest’ultima circostanza, scrive la dottoressa Giorgi «avrebbe impedito al Lafranconi di denunciare il sacerdote alle autorità competenti, ma non di assumere i provvedimenti più opportuni atti a scongiurare il compimento da parte dello stesso di atti di pedofilia». Più in generale, il presupposto della «conoscenza o, comunque, della conoscibilità, da parte dell’ordinario della Diocesi, dei problemi del Giraudo (…) deve ritenersi accertato» sulla base anche di diverse altre prove. Fra queste il magistrato annovera le dichiarazioni di don Carlo Rebagliati, che negli anni ‘80 aveva collaborato con Giraudo nella gestione della parrocchia di Spotorno, quelle di don Andrea Giusto (dal 1993 vicario generale della diocesi) e, soprattutto, il contenuto della «scheda» relativa a Giraudo, a firma dello stesso Giusto, risalente al 22 agosto 2003 e rinvenuta dagli inquirenti nella cassaforte della diocesi savonese.

La lettura di quest’ultimo documento appare imprescindibile per ricostruire i dettagli del comportamento omissivo del vescovo. «Don Giusto ha affermato», scrive il giudice, «che alla fine Lafranconi era a conoscenza della situazione di don Giraudo, tanto che “si era per così dire ‘morso le mani’ per aver consentito a don Nello di aprire la comunità di Orco Feglino” (dove venivano ospitati minori con difficoltà familiari)». Eppure, nella suddetta scheda, nella quale Giusto tracciava il «curriculum» di Giraudo ad uso dei suoi superiori, si può leggere che, quando il sacerdote savonese aveva fatto pervenire a Lafranconi la richiesta di autorizzazione per aprire la comunità di cui sopra, il vescovo si era limitato ad invitare «più volte don Nello alla prudenza ed a ritirarsi dall’impresa». E dire che le tendenze pedofile di Giraudo erano note sin dai primi anni ‘80, da quando cioè – è sempre il testo scritto dal vicario generale che viene citato nell’ordinanza – il sacerdote «era stato accusato da una mamma di atteggiamenti morbosi nei confronti del suo bambino (tenuto sulle ginocchia e palpato)». La comunità di Orco Feglino verrà di fatto chiusa solo dopo l’uscita di scena di Lafranconi, dal nuovo vescovo di Savona mons. Domenico Calcagno (cardinale da pochi mesi anche lui accusato da Zanardi di atteggiamenti omissivi in relazione al caso Giraudo e ad altri episodi di pedofilia clericale).

«Alla luce di tutti gli elementi sopra elencati», conclude l’ordinanza, «non vi è dubbio che Lafranconi fosse a conoscenza della gravi condotte addebitate al Giraudo». Eppure, prosegue il testo, il vescovo di Cremona «si guardò bene dall’assumere qualsivoglia iniziativa volta ad evitare che questi continuasse nelle sue esecrabili condotte, addirittura consentendogli di gestire una comunità per minori con difficoltà familiari (e, per ciò stesso, particolarmente fragili e privi di protezione)». Ma non basta. Il giudice Giorgi sottolinea anche che, dalla lettura dei diversi documenti, «risulta – è triste dirlo – come la sola preoccupazione dei vertici della curia fosse quella di salvaguardare l’immagine della Diocesi»; atteggiamento confermato anche dal fatto che, nei documenti esaminati dal magistrato, «a fronte della preoccupazione per la “fragilità” e la “solitudine” del Giraudo e il sollievo per il fatto che “nulla è trapelato sui giornali”, nessuna espressione di rammarico risulta (…) a favore degli innocenti fanciulli affidati alle cure del sacerdote e rimasti vittime delle sue “attenzioni”».

Il vescovo si lamenta, la vittima rilancia

L’ufficio per le comunicazioni sociali della diocesi di Cremona ha emesso un comunicato di commento alla decisione presa dal Gip. «Premesso che nessun processo è mai stato formalmente aperto né tanto meno celebrato a carico dell’attuale Vescovo di Cremona», vi si legge, «in considerazione dell’estrema delicatezza e gravità dell’argomento in oggetto, a fronte di commenti giunti da soggetti terzi» sul «convincimento dell’Autorità Giudiziaria circa la responsabilità per omessa vigilanza in capo a mons. Lafranconi, si osserva come ogni commento o valutazione in merito risultino ad oggi quanto mai inopportuni ed irrituali». In sostanza, il vescovo sceglie di non commentare le pesantissime affermazioni scritte nero su bianco dal Gip, aggiungendo che «ogni strumentalizzazione della vicenda processuale, ormai definitasi, appare inaccettabile e gratuita». Ciononostante, un passaggio dello stesso comunicato sembra alludere a una critica, neanche troppo velata, all’operato della procura. «Destano sorpresa e sconcerto», prosegue, «atteggiamenti e commenti giustizialisti recentemente emersi nei confronti di chi, non avendone avuto titolo, non ha potuto svolgere alcuna attività in propria difesa e nemmeno partecipare nel contraddittorio delle parti agli accertamenti dei fatti in discussione».

È anche per replicare a quest’ultima affermazione, con la quale Lafranconi sembra alludere al fatto che non si sarebbe potuto difendere dalle accuse rivoltegli, che Francesco Zanardi ha inviato, pochi giorni dopo l’emissione del comunicato della diocesi, una lettera aperta al vescovo di Cremona. «Egregio monsignore», scrive il portavoce della Rete L’Abuso, «lei sostiene di non aver potuto partecipare al contraddittorio, sembra quasi accusare la procura di una disparità di trattamento a suo danno. Non si pianga addosso monsignore. (…). Sono certo che il suo avvocato l’avrà informata del fatto che lei, in qualità di imputato avrebbe potuto chiedere, direttamente o tramite lui, al giudice di procedere in giudizio. È una prassi comunemente adottata quando l’imputato è innocente e vuole giungere ad una piena assoluzione». Secondo Zanardi, tuttavia, c’è ancora qualcosa che Lafranconi potrebbe fare se fosse veramente interessato a fare chiarezza: «Le resta ancora la possibilità di rivolgersi ad un tribunale ecclesiastico, sottoponendo il suo caso, un gesto dovuto a nostro avviso, in quanto lei riveste, oltre alla carica e alle responsabilità di vescovo, anche una funzione nella Cei».