Libertà per la liberazione A Camaldoli, III incontro dei “Cristiani in ricerca” di V.Gigante

Valerio Gigante
Adista Segni nuovi n. 21/2012

Il percorso è iniziato nel 2009, a Firenze, in occasione dell’incontro “autoconvocato” del “Vangelo che abbiamo ricevuto”. A quell’appuntamento presero parte anche diversi giovani, una parte dei quali decise che era opportuno incontrarsi per riflettere, confrontarsi, progettare un modo diverso di essere Chiesa, da proporre ad una generazione (25-40 anni) in crisi di identità e di appartenenza, se non di fede tout court. Nacque allora l’esperienza dei “Cristiani in ricerca”, con appuntamenti annuali al monastero di Camaldoli, luogo simbolo dell’incrocio tra contemplazione ed azione, tradizione e rinnovamento.

Il tema di quest’anno (4-5 maggio), “Credere nella libertà”, si ricollegava a quelli già trattati negli anni precedenti, in un percorso che, anno dopo anno, cerca di ricomporre il puzzle di una frammentazione ecclesiale frutto di smarrimento e delusione nei confronti di una gerarchia cattolica sempre meno in grado di interpretare la modernità e il sensus fidei fidelium.

Il tragitto fatto fin qui lo ha ricostruito in apertura dei lavori Emanuele Bordello, già presidente della Fuci. Se nel primo incontro, nel 2010, ci si era interrogati sul rapporto tra fede e Chiesa, sul ritorno del fenomeno religioso come rivincita del sacro, certo, ma su basi che presentano molti elementi di ambiguità, nel 2011 il campo dell’indagine era stato ristretto al rapporto tra credere ed appartenere, tra «credenze religiose che sfuggono agli schemi tradizionali, persone che non negano il divino, ma rifiutano i linguaggi tradizionali delle Chiese per esprimerlo ed un’appartenenza ambigua, priva di fede, che dà una veste politica alla religione per farne la bandiera di identità perdute».

Già in quella occasione, era quindi emerso come l’immagine pubblica della Chiesa fosse spesso quella di una istituzione impegnata su posizioni di retroguardia (v. questioni eticamente sensibili), che presenta se stessa ed il messaggio cristiano, nel dibattito pubblico, in modo a-problematico ed autoritativo. Come riproporre allora il nesso ineludibile tra l’esperienza del credere e la libertà, uno dei contenuti della fede biblica, oltre che caratteristica fondamentale dello stile e della testimonianza di Gesù e dei Vangeli?

A stimolare la riflessione anche il contributo del teologo Giannino Piana, che ha messo a fuoco il concetto di libertà, ha ridefinito l’originalità della libertà nell’esperienza del credente per poi concludere con una riflessione sul concetto di libertà cristiana come liberazione e come responsabilità (da respondeo, cioè “rispondere” alla chiamata che arriva dal contesto in cui si vive). Per Piana, la portata del concetto di libertà è stata ampiamente ridimensionata prima dalle scienze naturali e dal Positivismo; poi, definitivamente, dalla psicoanalisi e dalle neuroscienze. Queste discipline, sottolineando come l’essere umano sia fortemente determinato nel suo agire, hanno drasticamente ridotto lo spazio di ogni scelta autonoma. Eppure, ha sottolineato Piana «l’essere umano è meno determinato di altre specie e resta aperto ad una possibilità di scelta non rigidamente collegata all’istintualità». Ma la libertà, più che essere solo libertà “da”, è soprattutto libertà “per”: è, insomma, una «autorealizzazione personale che si costruisce in una serie di rapporti che si inseriscono nella realtà in cui ci troviamo ad agire». Perché la persona esiste solo in quanto soggetto di relazione.

Nella teologia paolina, ha poi spiegato Piana, il concetto di libertà è strettamente legato al peccato e alla legge, «nel senso che gli uomini non sono più sotto la legge, ma sotto la grazia, che è la vita di Cristo in noi. La libertà cristiana si fonda su Cristo, ma trova possibilità di sviluppo dalla presenza dello Spirito che agisce in noi». La nuova legge che si contrappone a quella tradizionale non si basa soltanto sul rifiuto della legge tradizionale, ma coincide con la grazia dello Spirito Santo. Secondo san Tommaso il messaggio di Gesù assume la legge antica per portarla a compimento. Non una legge intesa come precetto, ma in senso escatologico e profetico. Del resto, ha ricordato Piana, il «discorso della montagna contiene norme che non sono “chiuse”, ma “aperte”, perché danno indicazioni (e non prescrizioni) che mettono in cammino l’essere umano, lo pongono in uno stato di tensione, di continuo perfezionamento».

Ma per Paolo la libertà implica anche la parresia, il parlare con chiarezza e coraggio. Ed è, soprattutto (v. Lettera ai Corinzi), una libertà per il bene, cioè per la giustizia. Infine, per Paolo, la libertà indirizza necessariamente alla carità, «che è il valore supremo, cioè dare ciò che si è e non solo e non tanto quello che si ha (che è semmai una conseguenza)».

Insomma, è stata la conclusione di Piana, «la libertà coincide con la liberazione nostra e degli altri». Per questo la prospettiva cristiana è quella dell’impegno e dell’attesa. Perché il cristiano realizza liberazione, ma attende il compiersi di un processo che non è mai definitivo.