Al timone della barca di Pietro, nella tempesta

Sandro Magister
http://chiesa.espresso.repubblica.it/ 12 giugno 2012

A Benedetto XVI rimproverano la debolezza di comando. Ma non è così. Tutti i grandi conflitti di questo pontificato sono nati da sue decisioni di governo. Forti e controcorrente. I retroscena della cacciata di Ettore Gotti Tedeschi dallo IOR

È grande il disordine sotto il cielo, in una curia vaticana dilaniata dai conflitti. Il conflitto più esplosivo è oggi combattuto nel campo della finanza. Combattuto senza carità né verità, a dispetto del titolo dell’enciclica di Benedetto XVI, la “Caritas in veritate”. Questo conflitto ha stupito il mondo per l’inaudita brutalità con cui il 24 maggio Ettore Gotti Tedeschi è stato estromesso dalla carica di presidente e membro dell’Istituto per le Opere di Religione, la banca vaticana. Ma il carattere ancor più stupefacente di questo e di altri scontri in atto oggi nella curia e nella Chiesa è che Benedetto XVI ne è l’origine prima. Non per una sua debolezza di comando, come universalmente si sostiene, sbagliando. Ma al contrario: per chiari e forti atti di governo da lui compiuti. Con un’audacia consapevole delle opposizioni che suscita.

Finanze vaticane. Il “mandato” del papa

Le vere ragioni, infatti, per le quali il consiglio di sovrintendenza dello IOR ha estromesso Gotti Tedeschi non sono quelle elencate nell’atto di sfiducia. Sono tutt’altre. Sono le stesse che già nel dicembre di due anni fa avevano provocato il primo serio scontro tra il presidente dello IOR e il segretario di Stato Tarcisio Bertone.

Nel dicembre del 2010 erano pronte per essere promulgate in Vaticano nuove norme che avrebbero aperto la strada all’ammissione della Santa Sede nella “white list” degli Stati europei con i più alti standard di trasparenza finanziaria, e quindi di contrasto al riciclaggio di denari illeciti.

Per redigere queste norme e in particolare la legge poi contrassegnata con il numero 127, Gotti Tedeschi e il cardinale Attilio Nicora, all’epoca presidente dell’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica – un organismo vaticano che svolge anch’esso funzioni bancarie –, avevano chiamato i due più autorevoli esperti italiani in materia, Marcello Condemi e Francesco De Pasquale.

Ma subito, prima ancora che tali norme fossero promulgate e prima ancora che fosse istituita l’Autorità di Informazione Finanziaria da esse prevista, dotata di poteri illimitati di ispezione su ogni movimento di denari compiuto da qualsiasi ufficio interno o collegato con la Santa Sede, si scatenò contro entrambe queste novità un’opposizione durissima.

L’opposizione era forte soprattutto da parte del management dello IOR. E trovava sostegno nel cardinale Bertone.

Il direttore generale dello IOR, Paolo Cipriani, e gli altri componenti del management opponevano una strenua resistenza a che si togliesse il segreto sui conti depositati nella banca, cifrati e non, su alcuni dei quali la magistratura italiana ha aperto delle indagini, sospettandoli di malaffare. Secondo loro, la segretezza dello IOR era pilastro irrinunciabile dell’autonomia dello Stato della Città del Vaticano come Stato sovrano. Era loro convinzione che la segretezza e il suo carattere di banca “offshore” fossero anche ciò che rendeva lo IOR più attraente di altre banche, per la sua clientela internazionale. E che senza di ciò, sarebbe stato condannato a chiudere.

Ma il 30 dicembre 2010 Benedetto XVI in persona, con un motu proprio – cioè con un atto di governo da lui personalmente firmato – promulgò le nuove norme senza cambiare una virgola della stesura che aveva sollevato tanta opposizione. E istituì l’AIF con tutti i suoi poteri ispettivi, mettendole poi a capo il cardinale Nicora.

Con questo motu proprio e con l’enciclica “Caritas in veritate” Benedetto XVI ha tracciato una linea di marcia chiarissima. Per un definitivo passaggio delle attività finanziarie vaticane a un regime di trasparenza massima, internazionalmente controllata e riconosciuta.

Ma l’opposizione alle nuove norme e ai poteri dell’AIF non cessò affatto dopo la loro entrata in vigore decisa dal papa. Anzi, crebbe d’intensità.

Lo scorso autunno, la segreteria di Stato e il governatorato della Città del Vaticano, d’intesa col management dello IOR, riscrissero da capo la legge 127. E il 25 gennaio 2012, per decreto, fecero entrare in vigore la nuova versione, che limitava fortemente i poteri ispettivi dell’AIF.

Gotti Tedeschi e il cardinale Nicora hanno contestato duramente tale rovesciamento di linea, prima e dopo la sua messa in opera. A loro giudizio esso costerà la non ammissione della Santa Sede alla “white list”, come ha già fatto presagire lo scorso marzo un’ispezione in Vaticano di Moneyval – il gruppo del Consiglio d’Europa che valuta i sistemi antiriciclaggio dei vari paesi – conclusasi con un giudizio sfavorevole sulla seconda versione della legge 127: otto note negative contro solo due positive, mentre per la precedente versione le note a favore erano state sei, e quattro le negative.

E siamo alla defenestrazione di Gotti Tedeschi. Concordata tra il board dello IOR e il cardinale Bertone, contrariamente a quanto asserito in pubblico da un membro dello stesso board, l’americano Carl Anderson, presidente dei Cavalieri di Colombo.

Quel 24 maggio, infatti, la riunione del consiglio di sovrintendenza dello IOR che ha sfiduciato Gotti Tedeschi – e il cui resoconto è stato reso pubblico dal consigliere Anderson – è stata preceduta alle 13.30, mezz’ora prima del suo inizio, da un incontro dei consiglieri col cardinale Bertone, un incontro da lui convocato, presente anche il direttore dello IOR Cipriani.

E nei giorni precedenti sia Anderson che un altro consigliere, il tedesco Ronaldo Hermann Schmitz, avevano riservatamente scritto al cardinale Bertone per annunciargli la loro intenzione di votare la sfiducia a Gotti Tedeschi, “certi di appoggiare la giusta indicazione di Sua Eminenza”.

In queste stesse lettere al segretario di Stato – rese pubbliche il 9 giugno da “Il Fatto Quotidiano” –, Anderson e Schmitz rimarcavano la loro preoccupazione per il crescente isolamento internazionale dello IOR, in particolare per l’interruzione dei rapporti con esso da parte della grande banca americana JP Morgan. E incolpavano di ciò lo “stravagante” Gotti Tedeschi.

Ma, anche qui, è evidente che non è questa la vera ragione del calo del rating internazionale dello IOR. Lo è invece la sua anomalia, la sua perdurante mancanza di trasparenza.

Gotti Tedeschi aveva sempre tenuto informato il segretario personale di Benedetto XVI, don Georg Gänswein, del suo operato alla presidenza dello IOR e delle opposizioni incontrate.

Dal papa in persona, in più di una occasione, aveva ricevuto il “mandato” esplicito a procedere verso la piena trasparenza.

E al papa Gotti Tedeschi, dopo la sua cacciata dallo IOR, voleva far giungere un memorandum completo sull’intera vicenda.

Ma oggi queste sue carte e la corrispondenza sono state requisite dalla magistratura italiana, nel corso di un’ispezione giudiziaria compiuta il 5 giugno nella sua casa di Piacenza e nel suo ufficio di Milano.

E subito stralci delle carte e dell’interrogatorio hanno cominciato ad uscire sui media, come avviene sistematicamente in Italia in spregio del segreto istruttorio.

E anche dagli uffici vaticani hanno ricominciato ad uscire carte riservate. Oltre alle due lettere di Anderson e Schmitz, è venuta alla luce anche una lettera scritta lo scorso marzo al direttore generale dello IOR, Paolo Cipriani, da uno psicoterapeuta di sua fiducia, Pietro Lasalvia, con una diagnosi disastrosa dello stato di salute psichica di Gotti Tedeschi, desunta da un’occasionale osservazione del medesimo durante un incontro con i dipendenti della banca vaticana per gli auguri dell’ultimo Natale.

Il conflitto scatenato in Vaticano dall’operazione trasparenza ha quindi avuto Benedetto XVI non come spettatore, ma come protagonista attivo.

Sua è la linea di marcia tracciata. Suo è il motu proprio del 30 dicembre 2010 che ha introdotto le innovazioni.

La rivincita presa oggi dagli oppositori non è infatti capace di cancellare l’orientamento impresso dal papa. Esso resta vivo, nonostante tutto. E resta vivo anche nell’opinione pubblica, convinta che Benedetto XVI sia per la trasparenza vera, mentre tanti altri personaggi vaticani non lo sono, anche se a parole la predicano.

Governo mite, ma fermo

Naturalmente, quello finanziario non è l’unico terreno sul quale Benedetto XVI è intervenuto con atti di governo, nei suoi anni di pontificato.

Su altri e non meno importanti terreni questo papa ha preso decisioni forti, di carattere normativo, pur consapevole di creare con esse resistenze e divisioni.

Eccone una sommaria enumerazione:

– Nel 2007 Benedetto XVI, col motu proprio “Summorum pontificum”, ha liberalizzato l’uso del messale romano di rito antico.

– Nel 2009 ha revocato la scomunica ai quattro vescovi consacrati illecitamente dall’arcivescovo Marcel Lefebvre e col motu proprio “Ecclesiæ unitatem” ha avviato il percorso per il ritorno dei lefebvriani nella piena comunione con la Chiesa.

– Ancora nel 2009, con la costituzione apostolica “Anglicanorum coetibus”, ha normato il passaggio alla Chiesa cattolica di intere comunità anglicane con i loro vescovi, sacerdoti e fedeli.

– Nel 2010 ha promulgato nuove regole, molto severe, riguardanti i “delicta graviora” e in particolare gli abusi sessuali su minori.

– Ancora nel 2010 ha promulgato il citato motu proprio per la trasparenza finanziaria.

– Nel 2011, con l’istruzione “Universæ ecclesiæ” ha promulgato nuove norme ad integrazione di quelle sulla messa in rito antico.

Ebbene, non c’è nessuno di questi atti di governo compiuti da Benedetto XVI che non abbia suscitato controversie, contrapposizioni, conflitti.

Ma attenzione. Benedetto XVI non ha mai pensato di ricomporre queste divisioni a colpi di provvedimenti disciplinari, o con nomine o destituzioni spettacolari.

La sua arte di governo è da sempre quella di accompagnare le decisioni normative – come i motu proprio citati – con un’opera di convincimento sulle ragioni profonde di tali decisioni.

Così, ad esempio, le sue iniziative per sanare lo scisma con i lefebvriani sono state precedute e spiegate dal memorabile discorso alla curia del 22 dicembre 2005, sull’interpretazione del Concilio Vaticano II come “rinnovamento nella continuità dell’unico soggetto-Chiesa”.

La sua liberalizzazione del rito antico della messa è accompagnata da una incessante illustrazione delle ricchezze di entrambi i riti, l’antico e il moderno, incoraggiati a fecondarsi reciprocamente, come già avviene sotto gli occhi di tutti nelle liturgie da lui celebrate.

La sua decisione di istituire per le comunità anglicane entrate nella Chiesa cattolica degli ordinariati con gerarchia e rito proprio si accompagna a una ridefinizione “sinfonica” del cammino ecumenico con le comunità cristiane separate da Roma.

La sua coraggiosa azione di guida nell’affrontare lo scandalo degli abusi sessuali si accompagna a uno sforzo instancabile di rigenerazione intellettuale e morale del clero, culminato nell’indizione di un anno sacerdotale, con la riaffermazione saldissima della legge del celibato. In più, Benedetto XVI ha messo in stato di penitenza intere Chiese nazionali, come l’irlandese.

Infine, le sue decisioni a favore di una trasparenza massima delle attività finanziarie della Santa Sede sono inscindibili dalla lettura teologica di questo campo dell’agire umano che egli ha fatto nell’enciclica “Caritas in veritate”.

Chi ha orecchi per intendere intenda. È la mite fermezza di governo di questo papa.