Corvi, Ior, Vatileaks. Il pensiero “debole” del card. Bertone di V.Gigante

Valerio Gigante
Adista Notizie n. 25/2012

L’intervista a Famiglia Cristiana (24/6) del segretario di Stato, card. Tarcisio Bertone, tutta incentrata sullo scandalo VatiLeaks che sta travolgendo la Chiesa, merita alcune riflessioni.

Anzitutto per la scelta della testata, il settimanale più diffuso in ambito cattolico, dovuta con grande probabilità all’esigenza del segretario di Stato di parlare ai “suoi”, cioè ai fedeli cattolici, piuttosto che all’opinione pubblica in generale (quello per la verità lo aveva già fatto attraverso un’intervista tutta “in discesa” al direttore del Tg1, Alberto Maccari, il 4 giugno scorso, dopo l’incontro Mondiale delle Famiglie di Milano). Una circostanza che mostra l’evidente preoccupazione dei vertici vaticani per uno scandalo che mina la credibilità della Chiesa soprattutto al suo interno.

E infatti i toni di Bertone tentano di essere tranquillizzanti, tutti tesi a minimizzare quanto sta avvenendo dentro le mura leonine. Perché «la Chiesa, nel frattempo, va avanti nel proprio luminoso cammino», ha detto il porporato. E questo, ha aggiunto, nonostante la stampa non sottolinei a sufficienza la «positività del lavoro capillare» che la Chiesa svolge. Anzi, vengono «intenzionalmente ignorate o cancellate» le scelte e le iniziative positive che si potrebbero mettere in luce intorno ad una «Chiesa unita attorno al Papa».

E qui si arriva al merito delle risposte date da Bertone, che rispolvera la tesi del complotto contro la Chiesa. Refrain piuttosto frequente, e di qualche impatto presso le masse cattoliche che spesso in passato si sono sentite “accerchiate” e minacciate (dai comunisti, dai laici, dai massoni, dalla modernità…), ma che oggi tradisce insicurezza e suona poco efficace, specie in assenza di qualsiasi riferimento a fatti, nomi, circostanze. «C’è un tentativo accanito e ripetuto di separare, di creare divisione fra il Santo Padre e i suoi collaboratori. E tra gli stessi collaboratori.

Mi sembra che si vogliano colpire coloro che si dedicano con maggior passione e anche con maggiore fatica personale al bene della Chiesa e della comunità». Una frase in cui si può leggere, in controluce, un riferimento alla faida intestina che contrappone il segretario di Stato e i suoi collaboratori a chi ne vorrebbe le dimissioni. A queste persone, più che ai presunti organizzatori del complotto, sembra rivolgersi Bertone quando dichiara: «Io sono al centro della mischia. E vivo queste vicende con dolore, ma anche vedendo costantemente al mio fianco la Chiesa reale, le persone di ogni ambito che mi manifestano il loro affetto e si stringono in unità. Sono innumerevoli le lettere che mi sono giunte da cardinali, prelati, semplici fedeli per testimoniarmi la loro solidarietà». Come a dire: il papa mi sostiene ancora e godo ancora di consenso e di una sufficiente base di appoggio presso l’establishment ecclesiastico.

L’unica questione che Bertone affronta in maniera diretta, e non poteva essere diversamente, è quella del siluramento di Ettore Gotti Tedeschi dalla presidenza dello Ior. «La pubblicazione degli interventi del Consiglio di sovrintendenza mostra che il suo allontanamento non si deve a dubbi interni riguardo alla volontà di trasparenza – afferma il cardinale contro l’evidenza delle lettere e dei documenti pubblicati a più riprese dal Fatto Quotidiano (v. Adista Notizie nn. 5 e 22/12) – ma piuttosto a un deterioramento dei rapporti fra i consiglieri, a motivo di prese di posizione non condivise, che ha portato alla decisione di un cambiamento. Per di più, al di là degli scandali passati (che sono molto enfatizzati e periodicamente riproposti per gettare sfiducia su questa istituzione vaticana), lo Ior si è dato regole precise ben prima della legge antiriciclaggio». «L’attuale Consiglio di sovrintendenza – prosegue Bertone – composto da alte personalità del mondo economico-finanziario, ha continuato e rafforzato questa linea di chiarezza e di trasparenza e sta lavorando per recuperare a livello internazionale la stima che merita questa istituzione».

Affermazioni che sembrano un tentativo di moral suasion nei confronti degli esperti di Moneyval, l’organismo del Consiglio d’Europa che valuta il grado di trasparenza finanziaria dei singoli Paesi e che il prossimo 4 luglio, a Strasburgo esprimerà un parere sugli standard finanziari della Santa Sede. Anche perché sinora le indiscrezioni sono oscillanti: alcuni preconizzano una bocciatura, altri un giudizio critico che non comprometterebbe però l’inserimento del Vaticano nella white list dei Paesi “virtuosi”.

Il Corriere della Sera (19/6), in un articolo di Maria Antonietta Calabrò, annuncia che il rapporto degli ispettori di Moneyval assegnerebbe alla Santa Sede una valutazione negativa su 8 dei 49 criteri sui quali viene valutata la trasparenza finanziaria di uno Stato. Sotto, quindi, i 10 punti negativi che comporterebbero una sicura bocciatura in sede di giudizio. Secondo il Corriere resterebbero problematici soprattutto il potere di veto da parte della Segreteria di Stato alla collaborazione con gli altri Paesi in materia di trasparenza finanziaria, la retroattività delle norme introdotte dal Vaticano il 10 aprile 2010 per ciò che riguarda l’accesso ai conti dei clienti Ior aperti precedentemente a quella data, la mancanza di reali poteri ispettivi conferiti all’Aif (l’Autorità di Informazione Finanziaria vaticana).

Alla tesi del complotto Bertone aggiunge poi quasi tutti i “cavalli di battaglia” del repertorio andato in scena negli ultimi anni in occasione di scandali politico-finanziari (manca all’appello solo il “a mia insaputa”, assente – per ora – giustificato). Come l’attacco ai giornalisti. Molti di loro «giocano a fare l’imitazione di Dan Brown. Si continua a inventare favole o riproporre leggende», ha detto Bertone smentendo un episodio specifico – un monsignore del Vaticano che si sarebbe recato a Genova, quando lui ne era arcivescovo, per dissuaderlo dall’accettare la proposta di diventare segretario di Stato – ma con riferimento implicito anche ai tanti “retroscena” pubblicati negli ultimi anni.

Non poteva poi mancare l’invocazione alla tutela della privacy. Un «diritto costituzionalmente garantito in Italia», afferma Bertone, che avrebbe dovuto impedire la pubblicazione di documenti personali e riservati. A meno di non pensare che «se chi scrive è un cristiano – Bertone torna qui alle note di vittimismo – i suoi diritti sono costituzionalmente meno garantiti rispetto a un’altra persona». Rilievo di per sé legittimo, se si riferisse a chi quelle carte le ha fatte uscire dal Vaticano, e quindi certamente ecclesiastici o uomini di fiducia dei vertici vaticani. Assai meno se, come fa Bertone, lo si rivolge agli organi di informazione, che quelle carte le hanno ricevute (forse nemmeno chiedendole) e per i quali vale il diritto di cronaca e il dovere di informare l’opinione pubblica su questioni assai rilevanti.

Bertone sfiora infine l’autogol quando afferma che «la grande azione chiarificatrice e purificatrice di Benedetto XVI, sin da quando era prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, in totale sintonia con Giovanni Paolo II, certamente ha dato e dà fastidio». Perché, nonostante il riferimento a Giovanni Paolo II, se azione purificatrice c’è, significa che qualcosa da purificare c’era e c’è. E che le resistenze a questo processo sono state interne, e non esterne. E che tale opera, essendo Ratzinger in Vaticano dal 1981, non è stata attuata propriamente “a spron battuto”.