Anime perse chi salverà la Chiesa dai “corvi” e dai politici corrotti?

Enrico Deaglio
www.repubblica.it

Spie attorno al Papa, lettere di comunione e liberazione che invocano la cacciata dei vescovi progressisti, la caduta dei religiosissimi Formigoni e Lusi e i misteri dolorosi dello Ior. La credibilità dell’istituzione nata 2000 anni fa è ai minimi storici. Mentre il popolo di Dio comincia a ribellarsi: “i veleni sono affari loro”

All’inizio fu il Libro. Che andò a ruba, senza neppure il sostegno di Satana, e venne soprannominato “Vatileaks”. Poi venne il Corvo, e con lui il Miracolo della Moltiplicazione dei Corvi. Poi trovarono il Capro espiatorio, il mite maggiordomo Paoletto, che fu sbattuto, in isolamento, nelle segrete, a dimostrazione che da quelle parti il Medioevo non è passato. Il papa stesso ammise la gravità della situazione: “Il vento scuote la casa di Dio”, ma ci tenne a rassicurare i fedeli: “La casa costruita sulla roccia non cade”.

Il Libro è, naturalmente, l’ormai famoso bestseller Sua Santità di Gianluigi Nuzzi, il lungo lavoro del giornalista basato su centinaia di documenti privati (ottenuti da una misteriosa fonte che si fa chiamare “Maria”), destinati alla sola lettura di Benedetto XVI, che definire “estremamente imbarazzanti ” è poco. Violato, per la prima volta, lo studio-ufficio del pontefice, emerge un quadro di lotte intestine tanto materiali quanto misere: i soldi, i conti correnti, le cordate politiche, i tradimenti, le congiure degli Uomini vestiti da Donna che guidano il governo del Vaticano, cui obbediscono un miliardo 115 milioni di cattolici nei cinque continenti. Un’istituzione universale? Macché.

Nel libro di Nuzzi il Vaticano appare squallido, provinciale, con un pensiero fisso in una Roma esentasse, palazzinara e bancaria, troppo lontana da Dio e troppo vicina alle carte di credito, con i fantasmi di Sindona, Calvi e Marcinkus che scuotono catene minacciando liste, tabulati. Ma il vento che scuote il Vaticano – e questa è la conseguenza imprevista del libro – sta percorrendo le stanze di una grande casa da cui molti inquilini se ne sono già andati. Per cui ecco che non compaiono i valenti carpentieri a rinforzare gli infissi, i bravi idraulici a sigillare le tubature, né un’assemblea di condominio che voti nuove regole di convivenza.

Se anche il vento si placherà, il nuovo ordine sarà destinato a regnare su una casa sempre più vuota. La lotta tra cardinali rischia di produrre non tanto uno scisma nel palazzo, ma una frattura sempre più profonda tra questo e i fedeli, perlomeno quelli italiani. La situazione esistente è già sconfortante: i “fedeli”, gli osservanti, i frequentatori della messa domenicale sono ormai ridotti in Italia a un venti per cento della popolazione, così come continuano a calare matrimoni religiosi, vocazioni al sacerdozio, donazioni alla Chiesa.

I cattolici italiani, che pure vantano una specie di potere di veto sulla vita politica italiana (quel corpo sociale che è stato chiamato dalle gerarchie a osteggiare pillola, divorzio, fecondazione artificiale, testamento biologico, a tenere in vita Eluana, la famiglia e quello sporcaccione di Berlusconi), sono in realtà ridotti a una minoranza sempre più marginale. L’accoglienza che hanno riservato al libro di Nuzzi è però paradossale: i cattolici lo comprano e lo divorano (nelle librerie vicino al Vaticano anonimi personaggi ne acquistano dieci o venti copie per volta), ma difficilmente avrete notizie di fedeli che chiedono chiarimenti, o di parroci che tuonano dal pulpito, di riunioni ecclesiali per discutere la cacciata dei mercanti dal tempio o il rinnovamento della Chiesa.

A differenza di tante volte in passato, quando la Chiesa italiana era un ribollire di proposte, di impegno, di discussione (la grande pentola dei disobbedienti della Chiesa di Giovanni XXIII), oggi vige piuttosto lo sconforto. Ognuno, credo, avrà raccolto le stesse sensazioni che può raccogliere il giornalista. Il libro di Nuzzi, tra i cattolici, ha provocato una diffusa simpatia verso il papa, visto come uomo fragile e circondato da lupi; una specie di fatalismo disprezzante per la Curia (“È sempre stato così”, “Hanno sempre litigato tra di loro”), la convinzione che “la fede stia altrove”, che sembra unire le frange rimanenti del movimento che ancora si richiama al Concilio a esponenti che sognano la risorgenza della liturgia tradizionale.

Una rivista come Tempi di fraternità, mensile di ispirazione francescana, scrive: “Si incontrano cristiani sconfortati… A ciascuno di loro è rivolta la parola del Maestro: “Lascia che i morti seppelliscano i loro morti. Tu vieni e seguimi””. Un tradizionalista come Antonio Socci (che vorrebbe una Chiesa con un’armatura medievale) cita invece il papa che avrebbe previsto tutto ciò già tre anni fa, quando, rivolto ai suoi cardinali, disse: “Ma se vi mordete e divorate a vicenda, guardate almeno di non distruggervi del tutto gli uni con gli altri…”.

A riassumermi lo stato d’animo di questa Chiesa italiana è stato un giovane frate cappuccino, incontrato durante la sua missione evangelica tra i bagnanti della Liguria. “Fratello, cosa pensi dello scandalo in Vaticano?” gli ho domandato. “Cazzi loro” è stata la risposta, inaspettata. Non si stupisce, però il giovane (e carismatico) teologo Vito Mancuso, favorevole a una Chiesa che torni al Vangelo: “La mancanza di reazioni è la logica conseguenza della normalizzazione della Chiesa italiana operata da Camillo Ruini con la scelta di dirigenti opportunisti e acquiescenti.

Come diciamo noi in gergo teologico: “Il profilo profetico” della Chiesa italiana, ovvero la capacità di porre domande, di elevare la discussione, di interpretare i Vangeli e la società, è ormai pari a zero. Se ci sarà un rinnovamento della Chiesa, esso non avrà gli italiani come protagonisti, anzi li vedrà tra i più conservatori”. In un panorama di sconforto, una reazione, però, c’è stata. E dà un’idea del livello piuttosto brutale dello scontro politico in atto. Il libro di Nuzzi rivela una lettera del 2011 del sacerdote spagnolo Julián Carrón, a capo del potentissimo movimento Comunione e Liberazione.

Conscio del suo potere, Carrón consiglia caldamente a Benedetto XVI di nominare arcivescovo di Milano il cardinale Angelo Scola, antico membro di Cl. Ma quello che stupisce è il tono inaudito con cui Carrón chiede al papa di liquidare, a Milano, le esperienze della chiesa ambrosiana legate ai cardinali Carlo Maria Martini e Dionigi Tettamanzi, accusati di fare il gioco della sinistra, e di opporsi al magistero di Sua Santità. La lettera è di un anno fa, quando erano appena comparsi i primi scandali e quando il governatore ciellino della Lombardia era ancora l’inattaccabile, eterno e “celeste ” Roberto Formigoni. La Chiesa “martiniana”, che Carrón chiedeva di liquidare, era invece quella che si ostinava ad accogliere immigrati, a difendere i rom, ad assistere i poveri.

“È stato un bene che questa sciagurata lettera sia venuta alla luce” dice don Giuseppe Grampa, parroco a Città Studi, un avamposto “martiniano ” a Milano. “Ha dato la forza a tanti sacerdoti ambrosiani di reagire. E Benedetto XVI ci ha ascoltato”. Lo scontro è appena agli inizi, ma i più informati suggeriscono una pista da seguire. L’appartamento privato di Benedetto XVI in Vaticano è gestito (compresa la corrispondenza) da quattro suore laiche Memores Domini, di Cl, che a Carrón, loro capo spirituale, hanno giurato obbedienza assoluta. E però, le lettere sono uscite da lì; forse Carrón si è fidato troppo… Come per tutti i misteri vaticani, però, non fermatevi alla prima spiegazione.

Osservate gli schieramenti. Lo scontro è intorno alla figura del segretario di Stato Tarcisio Bertone e al controllo delle finanze della Chiesa. Bertone ha cacciato il presidente dello Ior Ettore Gotti Tedeschi (laico, ma dell’Opus Dei), accusato di aver fatto la spia con i magistrati italiani su inconfessabili riciclaggi di 25 mila correntisti laici. Gotti, per vendicarsi, ha fatto ritrovare, proprio alla magistratura, un notevole plico di documenti che si era dimenticato a casa. Informazione fondamentale: Bertone è salesiano (l’ordine, fondato a metà Ottocento, conta 15 mila sacerdoti presenti in 131 Paesi, è noto per una certa rude autonomia e per il voto di povertà) ed è la prima volta nella storia della Chiesa che un salesiano è diventato segretario di Stato, ovvero capo di tutto il governo mondiale della Chiesa.

Appena licenziato, Gotti Tedeschi ha però tirato in ballo, nei propri confronti un “complotto massonico”. Bertone, a sua volta, ha reagito ammonendo i magistrati a non utilizzare le spiate di Gotti Tedeschi, che definisce “pazzo”. C’è tanto di diagnosi: “Gotti Tedeschi soffre di disfunzioni psicopatologiche”. Contro Bertone (che gode però dell’aperto appoggio del papa) apparentemente si coagula la Chiesa diocesana, che mal tollera lo strapotere dei salesiani, ma in realtà qui, più che un fronte, è una guerra per bande.

E il papa ha ben ragione di sospirare. Dino Boffo, l’ex direttore di Avvenire (un tempo autorevole e potentissimo quotidiano della Cei), fa sapere al papa che a confezionare le accuse di omosessualità contro di lui è stato nientemeno che Giovanni Maria Vian, il direttore dell’Osservatore Romano. (“Ah, fratelli mei, non litigate!”). Carlo Maria Viganò, il monsignore che ha rivelato al papa privilegi, sprechi e corruzione, è anch’egli salesiano, ma arcinemico di Bertone, che gli dà del pazzo. (“Ah, facciamolo nunzio negli Stati Uniti!”)

E tra i non salesiani (quelli che non hanno voto di povertà, per intenderci), chi ha più potere? Il quadro è fluido. Si parte da Angelo Sodano, l’ex segretario di Stato: figlio di un deputato democristiano di Asti, era quasi passato alla storia quando rivelò il Terzo segreto di Fatima e lo dichiarò oggetto di fede, prima di essere seccamente smentito dall’allora cardinale Ratzinger, che, diventato papa, lo licenziò. Forse è un mistico, Sodano, ma anche uomo molto terreno, ben piantato nel sistema bancario piemontese. Il fratello morì mentre era incappato in Tangentopoli (e l’ex arcivescovo di Torino, il cardinale Severino Poletto, allora vescovo di Asti, nell’omelia del funerale rinfacciò quella morte ai magistrati), mentre suo nipote fu coinvolto nella svendita dei beni americani della Chiesa (i risarcimenti alle vittime di pedofilia costano miliardi) insieme a un simpatico truffatore internazionale.

Ecco invece il cardinale Camillo Ruini, l’ex presidente della Conferenza episcopale italiana, con uno sviscerato amore per la politica del nostro Paese: un tempo sostenitore di Prodi, ma quando questi si definì un “cattolico adulto”, lo pugnalò con freddezza per schierare le sue truppe in favore del “salvatore della famiglia” Silvio Berlusconi. È lui l’uomo che si oppose con militanza al referendum sulla fecondazione assistita, ai funerali cristiani di Welby, al testamento biologico, all’Ici sugli immobili della Chiesa, e oggi è ancora potentissimo “sussurrante ” all’orecchio di papa Ratzinger.

Ecco il cardinale Crescenzio Sepe, popolarissimo arcivescovo di Napoli, colui che arruolò San Gennaro per liberare la città dai rifiuti, a capo dell’impero immobiliare di Propaganda Fide, finito negli scandali della “cricca berlusconiana”. Stesso finale per il gentiluomo di sua Santità Angelo Balducci, grande organizzatore del Giubileo del 2000, che – intercettato – ha rivelato una personalità degna di una comparsa in uno sceneggiato televisivo sulla Roma dei Borgia. Poi ci sono i “fatti fuori”. C’era un vescovo a Locri, molto attivo contro la ‘ndrangheta, monsignor Giancarlo Maria Bregantini.

Ed è stato mandato via. Ce n’era un altro, a Trapani, monsignor Francesco Micciché, che parlava anche lui spesso contro la mafia e la massoneria: accusato di aver coperto un ammanco di un milione di euro, è stato trasferito (ma ha lasciato una lettera in cui si dice vittima di un complotto ordito proprio in Vaticano). C’è poi il cardinale di Palermo, monsignor Paolo Romeo, che compie viaggi privati in Cina, da dove annuncia che il pontefice sarà assassinato. Questo il quadro delle figure più in vista in Italia nel governo della Chiesa. Poco carisma, come si vede con evidenza (mentre figure con un grande seguito – come don Gallo a Genova o don Ciotti a Torino – si tengono ben alla larga).

Un panorama desolante contro cui incominciano a mostrare segni di fortissima insofferenza i prelati francesi, le comunità latino-americane e, in genere, tutti quanti pensano oggi che la Chiesa cattolica, di fronte al dilemma – rinnovarsi o perire – non possa essere lasciata alle piccole beghe di cardinali italiani. Come finirà? Secondo molti vaticanisti, quando un giorno Bertone lascerà l’incarico, il nuovo segretario di Stato non sarà più un italiano. E, se dovesse mai accadere prima del previsto, tutto ciò avverrà con buona pace dei candidati alle elezioni politiche del 2013. Beh, se così fosse, questo sarebbe il vero rinnovamento. E la prova che le vie del Signore possono essere le più tortuose, e passare anche attraverso un libro, un corvo, un maggiordomo e quattro suore laiche.