Il maggiordomo del papa a processo. Ma le indagini si allargano “in più direzioni”

Sandro Magister
http://chiesa.espresso.repubblica.it/ 13 agosto 2012

I testi integrali della requisitoria e del rinvio a giudizio di Paolo Gabriele. Ma altri documenti riservati sono continuati ad uscire dal Vaticano anche dopo il suo arresto. Uno, persino con il lasciapassare della segreteria di Stato

Il cammino giudiziario è segnato, per Paolo Gabriele, il maggiordomo infedele di Benedetto XVI.
Il prossimo autunno sarà sottoposto a processo per furto aggravato di documenti riservati, da lui sottratti in copia all’appartamento pontificio.
Nell’ultimo giorno lavorativo prima della chiusura estiva dei tribunali vaticani, il giudice istruttore Piero Antonio Bonnet ha accolto le richieste del promotore di giustizia Nicola Picardi e ha emesso la sentenza di rinvio a giudizio. Che colpisce anche un secondo imputato, Claudio Sciarpelletti, tecnico informatico della segreteria di Stato, quest’ultimo però per il reato minore di favoreggiamento, in pratica per intralcio alle indagini circa i suoi rapporti con l’imputato maggiore.
I testi integrali della requisitoria e della sentenza, l’una e l’altra di quindici pagine ciascuna, sono stati diffusi dalla sala stampa vaticana:

Procedimento penale presso il tribunale…

Nei due documenti, i nomi dei testimoni interrogati nel corso delle indagini sono stati protetti da riservatezza e sostituiti con lettere dell’alfabeto, con l’eccezione di monsignor Georg Gänswein, segretario particolare di Benedetto XVI, ogni volta citato per esteso.
È facile però indovinare, ad esempio, che i testimoni H, M, N, O corrispondono alle quattro religiose Memores Domini che assistono il papa.
Sia la requisitoria che la sentenza di rinvio a giudizio hanno passaggi di notevole interesse, sia sullo svolgimento della vicenda, sia sui suoi sbocchi futuri.

Il colpevole in casa

Particolarmente drammatica risulta essere stata la scoperta del colpevole. Era in vendita da due giorni in Italia il libro con i documenti trafugati quando, il 21 maggio, la “famiglia pontificia” si riunisce al completo, con mons. Gänswein, con il secondo segretario del papa Alfred Xuereb, con le quattro Memores Domini, con l’altra assistente del papa Birgit Wansing e con il maggiordomo Gabriele.
Ciascuno dei presenti nega di aver consegnato delle carte all’autore del libro. Mons. Gänswein mette alle strette il maggiordomo, mostrandogli dei documenti, finiti nel libro, che erano passati proprio per le sue mani. E questi nega ancora.
Ma intanto, contro Gabriele, gli investigatori dei servizi di sicurezza del Vaticano hanno accumulato pesanti indizi. Il 23 maggio la “famiglia pontificia” si riunisce di nuovo e mons. Gänswein comunica a Gabriele la sospensione cautelativa dal servizio.
Lui si dichiara ancora una volta innocente. Anzi, rimprovera i presenti di voler far di lui, ingiustamente, un “capro espiatorio”. Dice di avere il conforto del suo direttore spirituale.
Lo stesso giorno, però, la sua casa dentro le mura vaticane è perquisita e viene trovata una mole notevole di documenti trafugati, parte dei quali coincidenti con quelli pubblicati nel libro.
La sera del 23 maggio Gabriele è arrestato.

“Infiltrato” dello Spirito Santo

A giudizio di mons. Gänswein e delle Memores Domini, Gabriele era persona molto pia. Assisteva ogni mattina alla messa celebrata dal papa. Sul lavoro però non brillava: “Aveva bisogno di essere continuamente instradato e guidato”. Ma era ritenuto onesto e leale, e proprio per questo gli era consentito di “seguire il flusso dei documenti” che passavano “sulla scrivania di mons. Gänswein o che erano in giacenza sul ripiano che si trovava di fronte”.
E da lì – ha poi ammesso durante gli interrogatori – egli prelevava, fotocopiava, portava a casa le copie e infine le consegnava all’autore del libro.
Per quali motivi? “Vedevo male e corruzione dappertutto nella Chiesa… Ritenevo che anche il sommo pontefice non fosse correttamente informato… Ritenevo che uno shock, anche mediatico, sarebbe potuto essere salutare per riportare la Chiesa nel suo giusto binario… Pensavo che nella Chiesa questo ruolo fosse proprio dello Spirito Santo, di cui mi sentivo in certa maniera infiltrato”.

Direttore allo sbando

Il direttore spirituale di Gabriele, indicato come testimone B, è un altro dei personaggi sconcertanti della vicenda. Gabriele consegnò anche a lui una serie di documenti, raccolti in una scatola con lo stemma pontificio. Interrogato dai giudici, il direttore spirituale ha detto di averli ricevuti, di averne conosciuta la provenienza disonesta, e quindi di averli bruciati senza leggerli.
Ma Gabriele ha anche riferito – in un interrogatorio del 21 luglio – che era stato questo suo stesso direttore spirituale a consigliargli di negare ogni colpa, nel drammatico faccia a faccia con mons. Gänswein del 21 maggio: “Il mio padre spirituale mi aveva detto di non affermare questa mia responsabilità, salvo che fosse stato il Santo Padre e chiedermelo di persona”.

Un assegno, una pepita d’oro e l’eneide

Un altro elemento sconcertante emerso dalle indagini sono questi tre “oggetti” rinvenuti a casa di Gabriele:
– un assegno bancario di 100 mila euro intestato a “Santidad Papa Benedicto XVI”, datato 26 marzo 2012, emesso dalla Universidad Católica San Antonio di Guadalupe;
– una pepita presunta d’oro offerta al Santo Padre dal direttore dell’ARU di Lima, Perù, Guido del Castillo;
– un incunabolo dell’Eneide di Virgilio tradotta da Annibal Caro, stampata a Venezia nel 1581, donata al papa dalle “Famiglie di Pomezia”.
Si sa che sono innumerevoli i doni che affluiscono al papa. Ma che qualcuno finisca in casa del suo maggiordomo lascia interdetti. Le giustificazioni date da Gabriele negli interrogatori lasciano aperti grossi punti oscuri.

Ma il maggiordomo non è il solo colpevole

Ma ciò che è ancor più oscuro è il fatto, riconosciuto dal giudice istruttore, che tra le carte rinvenute in possesso di Gabriele vi sono anche documenti “che ragionevolmente potrebbero avere una provenienza diversa da quella della segreteria particolare del sommo pontefice”.
In effetti, sono continuati ad uscire dal Vaticano altri documenti riservati anche dopo l’arresto del maggiordomo del papa, evidentemente da altri uffici e ad opera di altre persone.
Quattro di questi documenti, divenuti di dominio pubblico alla fine di maggio, riguardavano il caso dell’Istituto per le Opere di Religione, IOR, la “banca” vaticana:
Ma prima di questi quattro documenti, il 24 maggio, poche ore dopo l’arresto di Gabriele, ne era uscito un altro ancor più esplosivo.
E non era finito sui giornali perché trafugato di nascosto, ma in quanto fieramente esibito dal suo stesso firmatario, l’americano Carl Anderson, presidente dei Cavalieri di Colombo e membro del board dello IOR che quello stesso 24 maggio aveva estromesso Ettore Gotti Tedeschi dalla presidenza della “banca”.
Era il documento, per sua natura riservatissimo, che metteva nero su bianco lo svolgimento della riunione ed elencava le accuse scagliate contro Gotti Tedeschi:

Notice and Memorandum

Il maggiordomo operava nell’ombra, ma nello IOR è guerra aperta. La sua pubblicazione godeva dell’evidente lasciapassare del segretario di Stato vaticano, il cardinale Tarcisio Bertone.
Nella sentenza di rinvio a giudizio di Gabriele e dell’altro imputato, il giudice Bonnet scrive che essa chiude solo una parte di un’indagine che è a più largo raggio e “in varie direzioni”, che è già in corso e che continuerà, per altri reati e contro altri eventuali colpevoli.
Anche i tre cardinali – Julián Herranz, Joseph Tomko e Salvatore De Giorgi – che Benedetto XVI ha incaricato di svolgere un’indagine conoscitiva sulla continua fuga dal Vaticano di notizie riservate hanno raccolto conclusioni, per ora segrete, che vanno al di là del tradimento del solo maggiordomo.
Ma che dalla Santa Sede sia uscito un documento come quello che il 24 maggio ha messo pubblicamente alla gogna l’ex presidente dello IOR, è atto che contraddice la volontà di ricostruire un patto di lealtà dentro le mura vaticane, di cui il processo a Gabriele è passo importante e significativo.