Due cattolici in corsa per la Casa Bianca

Sandro Magister
http://chiesa.espresso.repubblica.it/ 30 agosto 2012

È la prima volta che ciò accade, negli Stati Uniti. Concorrono per la vicepresidenza. I vescovi e la Chiesa cattolica sono divisi, ma la contesa avviene alla luce del sole. Per convincere, non per imporre

C’è da scommettere che nel prossimo ottobre farà più rumore il processo in Vaticano al maggiordomo infedele del papa che non l’inaugurazione dell’anno della fede, con il concomitante sinodo dei vescovi.

Ma infedeltà per infedeltà, a Benedetto XVI sta infinitamente più a cuore il destino della fede cattolica. Che se qua e là sembra spegnersi, in altri luoghi del mondo si rianima inaspettata.

Che l’ateismo sia tipico dell’Occidente è una leggenda smentita dai fatti. L’ultimo grande sondaggio mondiale della Gallup sul tema lo vede primeggiare in Cina, dove quasi metà della popolazione si dichiara atea, seguita a ruota da Giappone e Corea.

In Europa la miscredenza è di casa in Francia, nella Repubblica Ceca e nell’ex Germania dell’Est, ma altrove registra quote contenute.

E negli Stati Uniti è ai minimi termini, appena al 5 per cento della popolazione, nonostante il dirsi atei non sia più oggi uno stigma sociale come lo era in passato.

Gli Stati Uniti, nel panorama mondiale della Chiesa cattolica, sono la sorpresa più clamorosa. Solo pochi anni fa nessuno avrebbe puntato su un rovesciamento di tendenza così spettacolare. Tutti gli indicatori volgevano al brutto: vescovi deboli e spauriti, preti in disarmo, vocazioni a picco, fedeli allo sbando. Lo scandalo della pedofilia aveva inferto colpi terribili alla credibilità della Chiesa.

Ma da quando Benedetto XVI è papa, negli Stati Uniti i segnali sono di ripresa.

Una serie mirata di nomine ha proiettato alla testa dell’episcopato un nuovo gruppo dirigente preparato e dinamico, ratzingeriano in dottrina e “affermativo” nello spazio pubblico.

Debellata la peste della pedofilia, le scuole e le parrocchie cattoliche sono tornare ad essere tra i luoghi più sicuri per i bambini.

E gli indici di fiducia si sono impennati. Stando alle meticolose indagini del Pew Forum di Washington, nel 2000 si dicevano soddisfatti dei loro vescovi appena il 51 per cento dei cattolici americani, oggi il 70 per cento.

Quanto a papa Benedetto XVI, si dicono soddisfatti di lui il 74 per cento dei cattolici, e tra chi va a messa la domenica addirittura l’85 per cento. Dieci anni fa, con Giovanni Paolo II all’apice della popolarità, i soddisfatti erano il 72 per cento.

La rinnovata vitalità del cattolicesimo degli Stati Uniti ha invaso anche il campo politico. Per la prima volta nella storia, le elezioni presidenziali del prossimo 6 novembre vedranno in corsa due cattolici per il ruolo di vice: Joe Biden con il democratico Barack Obama e Paul Ryan con il repubblicano Mitt Romney.

Ryan, 42 anni, è del Wisconsin, uno degli Stati nei quali il voto cattolico è considerato più in bilico e nello stesso tempo più determinante. Partecipa alla vita di parrocchia e fa parte di un gruppo biblico che si riunisce ogni mercoledì. Ma è anche grande estimatore di Ayn Rand, scrittrice e filosofa individualista e libertaria, ebrea e atea. Membro del Congresso, ne presiede la commissione bilancio ed è una sua creatura la legge di bilancio federale del 2013 approvata lo scorso 29 marzo con il voto della maggioranza repubblicana: una legge che per i suoi drastici tagli a talune provvidenze a sostegno dei ceti più poveri è stata duramente criticata dai vescovi più sensibili alla solidarietà sociale.

I primi a protestare sono stati i vescovi Stephen E. Blaire di Stockton, California, e Richard E. Pates di Des Moines, Iowa, capi di due commissioni dell’episcopato americano per la giustizia e la pace:

Hanno fatto loro eco novanta docenti della Georgetown University di Washington, tra i quali una decina di gesuiti, che hanno accusato Ryan di tradire la dottrina sociale della Chiesa:

Ryan ha replicato in un’intervista alla CBN sostenendo di applicare proprio quel principio della “sussidiarietà”, cioè del primato delle famiglie, delle Chiese, dei gruppi di base rispetto allo Stato, che è uno dei cardini delle encicliche sociali dei papi:

E ha sviluppato le sue argomentazioni in un discorso alla Georgetown University del 26 aprile:

Il botta e risposta è proseguito con altre lettere critiche di vescovi al Congresso, ma anche con prese di posizione, da parte di altri vescovi, in difesa della cattolicità di Ryan e delle sue scelte in campo economico, ritenute per loro natura opinabili, a differenza di quelle “non negoziabili” contro l’aborto, l’eutanasia, il matrimonio omosessuale, sulle quali invece è criticato come troppo permissivo il vice di Obama, Biden.

Tra i vescovi che hanno preso le difese di Ryan c’è il vescovo della sua diocesi, Robert C. Morlino, di Madison, Wisconsin:

Altrettanto ha fatto l’arcivescovo di Denver, Colorado, Samuel Aquila:

Ha scritto una lettera a Ryan ricca di attestazioni di stima anche l’arcivescovo di New York, cardinale Timothy M. Dolan:

Il cardinale Dolan, nella sua qualità di presidente della conferenza dei vescovi cattolici, è lo stesso che ha capeggiato nei mesi scorsi la vigorosa campagna dell’episcopato americano contro Obama in difesa della libertà religiosa, ritenuta violata dall’obbligo fatto alle istituzioni cattoliche di assicurare i propri dipendenti anche riguardo a sterilizzazione ed aborto.

Ciò che è caratteristico degli Stati Uniti è che questo vivace confronto avviene alla luce del sole, con prese di posizione pubbliche, sul contenuto dei problemi.

Politicamente, vescovi e fedeli sono divisi, chi per Obama, chi per il mormone Romney. Nessuno chiede che i cattolici facciano corpo compatto, tanto meno formando un partito. Nessuno, da fuori, accusa di ingerenza i vescovi, cittadini alla pari. Nessuno invoca – come avviene ad esempio in Italia – una immissione organizzata dei cattolici in politica.

In campo politico, i cattolici degli Stati Uniti semplicemente sono presenti tanto quanto ne sono capaci. Lo spazio pubblico è anche il loro, come lo è di tutti. La loro forza è di convincere, non di imporre