Fatta l’IMU trovato l’inganno

Marco Politi
il Fatto Quotidiano | 06.09.2012

Sorpresa! Il governo non ha approntato i decreti attuativi per fare pagare l’Imu agli immobili della Chiesa. C’è il rischio – lo denuncia Milano Finanza non certo accusabile di manie anticlericali – che la Chiesa non paghi il dovuto nemmeno l’anno prossimo. Il governo nega e dice che a breve il regolamento attuativo sarà pronto. “A breve” è una parola grossa, perché le norme per spiegare bene agli enti ecclesiastici come non evadere più le tasse dovevano essere già note maggio scorso.

Lo dice il comma 3 dell’articolo 91 bis della legge 24 marzo 2012 che il ministro dell’Economia e delle Finanze (lo stesso Mario Monti, all’epoca) doveva emanare le norme apposite “entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge”. Cioè il 24 maggio. Una lentezza sorprendente.

Borbottano al ministero delle Finanze che la materia “è complessa”. In realtà non doveva essere difficile separare il commerciale dal non commerciale. In altri paesi europei non si sono rotti particolarmente la testa. Ma la via dell’inghippo è già contenuta nel decreto legge, fatto per evitare la “Procedura d’infrazione” messa in moto dall’Unione europea per condannare decenni di scandalose esenzioni.

Prevede, infatti, la legge che negli edifici a “utilizzazione mista” l’eventuale esenzione (alle abitazioni dei religiosi o alla famosa cappella) “si applica solo alla frazione di unità, nella quale si svolge l’attività di natura non commerciale”. Fin qui tutto chiaro. Ma poi segue una parolina: “…se identificabile…”. E qui si apre il varco alle furbate. Se la divisione dell’edificio non si può fare con chiarezza, dice la legge, l’“esenzione si applica in proporzione all’utilizzazione non commerciale dell’immobile quale risulta da apposita dichiarazione”. Cioè l’ente ecclesiastico soggetto a tassazione si mette a calcolare per conto proprio (e poi lo dichiara al fisco) quanti spazi e metri quadrati dell’edificio servono a usi non commerciali: corridoi, scale, pianerottoli, parcheggi, stanze varie, spazi ad “uso comune”? Chissà? Dalle carte Vatileaks apprendiamo che Gotti Tedeschi, quando era ancora presidente dello Ior, aveva già trafficato con il ministro Tremonti per arrivare a parametri che definissero “livello di superficie usata, tempi di utilizzo e di ricavo”. Si noti la finezza: tempi di utilizzo!

L’immobile commerciale andrebbe tassato soltanto nei mesi in attività. Come se un albergo normale non pagasse l’Imu durante la chiusura stagionale.

La lentezza del ministero delle Finanze, che Monti ha tenuto fino all’11 luglio scorso, sta tutta in questa ricerca di sottigliezze per agevolare il più possibile la definizione dei parametri di “non commercialità”. È ovvio che siamo ben lontani dall’angolo in parrocchia.

Graziano Delrio, presidente dell’Anci, aveva proposto nel dicembre scorso l’istituzione di una “anagrafe degli immobili ecclesiastici”. Quelli destinati al culto avrebbero continuato a essere esentati e quelli commerciali avrebbero pagato. In casi controversi, sosteneva il presidente dell’associazione dei Comuni italiani, era “giusto che sia il Comune di appartenenza a giudicare se vada versata l’imposta o meno, sulla base delle attività svolte”.

Non risulta che la Cei si sia attivata per creare un’anagrafe del genere né che il governo abbia premuto per farlo. D’altronde anche il governo tecnico Monti, così sollecito a riferirsi al quadro normativo europeo, non ha mostrato il minimo interesse per una norma cardine vigente in Germania: i soldi pubblici vanno solo a enti che pubblicano il loro bilancio. Ci fosse in Italia, ordini religiosi e diocesi, destinatari di 8 per mille o altri sussidi statali, sarebbero indotti alla trasparenza assoluta.

C’è poco da sperare che i tanti enti ecclesiastici evasori adottino il comportamento virtuoso delle suore che a Roma gestiscono l’hotel Giusti: il loro albergo si estende su tre piani, gli altri due costituiscono il convento: ma le suore hanno deciso da anni di pagare le tasse sull’intero edificio.

Nella sola Roma si sono accertate evasioni per 25 milioni di euro. In Italia si può calcolare tranquillamente qualche centinaio di milioni di euro. Soldi che il governo non ha fretta di incassare.

Infatti ha condonato le tasse per il 2012. Un regalo fiscalmente ingiustificabile. Ma c’è un neo: rimandando il pagamento Imu per gli enti ecclesiastici commerciali al 2013, il governo si rende passibile ex nunc di una nuova procedura di infrazione presso la Ue a motivo della concorrenza sleale tra alberghi normali e alberghi ecclesiastici.

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IMU, il governo corre ai ripari “nel 2013 tassata la Chiesa”

Valentina Conte
Repubblica | 06.09.2012

Il Tesoro: decreto già inviato al Consiglio di Stato. Anche la Chiesa pagherà l’Imu, senza alcuna proroga né ripensamento, a partire dal prossimo anno. La conferma arriva in serata dal ministero dell’Economia. «Tutti gli adempimenti previsti per il 2013 non subiranno alcun ritardo», si legge nella nota. A cominciare dal «primo versamento Imu fissato per il 16 giugno».

Un altro modo per dire che il decreto ministeriale, atteso per la fine di maggio, ancora non c’è, come riferito ieri da Repubblica. Ma ci sarà «a breve». «In data odierna», ovvero solo ieri, scrive ancora il dicastero guidato da Grilli, «il ministro ha trasmesso al Consiglio di Stato, per il prescritto parere, lo schema di regolamento di attuazione dell’articolo 91 bis». Modello indispensabile a Chiesa – ma anche partiti, sindacati, fondazioni, associazioni – per calcolare (entro il 2012) quanta parte degli immobili a «utilizzazione mista » sarà sottoposta all’imposta (nel 2013) e quale no. E distinguere, così, tra attività commerciale e culto, volontariato, politica, assistenza. Il dicastero di via Venti Settembre rivela poi l’invio di una «risposta puntuale» anche alla Commissione europea e alla sua «richiesta di informazioni relativa al caso C26/2010». Per chiudere così l’indagine aperta a Bruxelles contro l’Italia per aiuti di Stato, “mascherati” con la storica esenzione Ici agli immobili degli enti ecclesiastici.

L’accelerazione dell’Economia arriva dopo una giornata di rimpalli con Palazzo Chigi, dove il testo del regolamento sembrava giacere in atteso di un “visto”. Alla fine, però, la precisazione. E così «l’esame complesso della materia», che ostacolava l’iter Imu, si è sbloccato. La nota spiega che il decreto ministeriale, con lo schema per gli enti, riguarda solo il comma 3 dell’articolo 91 bis. Articolo aggiunto in extremis al Cresci-Italia, il provvedimento sulle liberalizzazioni diventato legge il 24 marzo, dal presidente del Consiglio in persona. Per due motivi: evitare le sanzioni Ue e sciogliere il nodo su una «materia delicata», così la definì, visti i malumori crescenti tra i proprietari di case (prime comprese), costretti a versare già da quest’anno un’imposta pesantissima. Il comma 3 di quell’articolo è relativo proprio agli immobili ad uso misto, la realtà più diffusa negli enti non commerciali. Laddove cioè non è immediato stabilire quanti metri quadri fanno utile (un bar in parrocchia che va ri-accatastato, però) e quali no. Detto in altro modo, laddove «non è possibile procedere al distinto accatastamento della frazione di unità immobiliare nella quale si svolge l’attività di natura non commerciale». Il regolamento dovrebbe far luce su questi casi e indicare una modalità di calcolo.

La partita, secondo stime Anci (Comuni), potrebbe valere oltre 600 milioni. Entità mai confermata dai vescovi italiani (Cei), che però non ne hanno mai offerta una alternativa. Il censimento si farà solo grazie a queste nuove direttive. Ovviamente sono e saranno esenti dall’Imu (comma 1) tutti gli immobili destinati «esclusivamente » ad attività non commerciali, e non più «prevalentemente».

L’Imu intanto si conferma uno degli assi portanti delle entrate tributarie. Nei primi sette mesi del 2012 lo Stato ha messo fieno in cascina per 232 miliardi, il 4,7% in più del 2011 (10 miliardi aggiuntivi), «per effetto delle misure correttive varate a partire dalla seconda metà del 2011», scrive il ministero dell’Economia. Se il gettito Iva va giù (nonostante l’aumento di un punto) dell’1,5%, ovvero 880 milioni in meno, il primo acconto dell’Imu ha assicurato 3,9 miliardi, «in linea con le previsioni» (parte statale). Una discreta fetta dei 10 miliardi extra. Bene anche l’imposta sostitutiva sui redditi di capitale, l’imposta di bollo e quella di fabbricazione sugli oli minerali.