Civiltà del dialogo e inciviltà della violenza religiosa

Paolo Bonetti
www.italialaica.it | 13.09.2012

A quanto posso capire dalla lettura dei resoconti giornalistici, il film “L’innocenza dei musulmani”, che ha scatenato l’ira degli integralisti islamici fino all’uccisione dell’ambasciatore americano in Libia e di alcuni suoi collaboratori, è una rozza e brutale semplificazione della religione e della cultura islamiche, fatta con intenti di pura denigrazione e provocazione; allo stesso modo, la famigerata maglietta del ministro Calderoli che, qualche anno fa, dette origine all’assalto del consolato italiano di Bengasi durante il quale persero la vita quattordici persone, fu un episodio di volgare denigrazione delle credenze religiose di milioni di persone. Dovrebbe essere chiaro a tutti che certi comportamenti sono particolarmente atti a scatenare la violenza di chi si sente ferito nella sua identità più profonda e che, comunque, c’è sempre qualcuno, in simili circostanze, che tenterà di ricavarne cinicamente un qualche profitto politico.

Ragioni di elementare prudenza dovrebbero indurre ogni persona di buon senso a non portare la miccia accanto a una botte carica di esplosivo. Ma, al di là della prudenza che non è mai troppa in un mondo percorso da fanatismi opposti, c’è una questione più sostanziale, che deve essere affrontata senza lasciarsi condizionare dalla logica del terrore. La questione è quella della libertà di pensiero e di critica che sta a fondamento non solo della civiltà liberale, ma di ogni possibile civiltà. S’invoca continuamente il dialogo fra le culture e le religioni, ma è evidente che nessun dialogo è possibile, se si mettono limiti alla libertà di espressione e s’impone a qualcuno di tacere circa le critiche, anche aspre, che egli intende muovere a qualcun altro.

Lo spirito di un dialogo aperto, sincero e coerente, non può tollerare censure di alcun genere. Sembrerebbe, a questo punto, che ci sia contraddizione fra la prudenza a cui ci si deve attenere per non suscitare reazioni scomposte e pericolose, e l’esigenza di non tacere quello che si ritiene onestamente di dover dire, magari utilizzando quella satira che è un’arma particolarmente efficace per mettere in evidenza le debolezze dell’avversario.

In Occidente, dopo lunghe guerre di religione e governi assoluti che si facevano garanti di quella che veniva proclamata religione di Stato, si è giunti faticosamente (e con taluni limiti che, in alcune società, ancora persistono) a una piena libertà d’espressione, esclusa s’intende la diffamazione che si fonda sull’affermazione di fatti non veritieri. Ma, anche in quest’ultimo caso, le eventuali controversie vengono affidate al giudizio dei tribunali e nessuno pensa di doversi fare giustizia da sé. Certo, la libertà d’espressione degenera spesso nel vero e proprio insulto, specialmente da quando il web consente a tutti, compresi gli incivili, di sfogare in modo sconsiderato le proprie rabbie e frustrazioni.

Eppure, anche in questa evenienza, quello che possiamo legittimamente auspicare è che si accresca, fra gli utenti della rete, lo spirito del dialogo e diminuisca quello della violenza verbale (che, in certi casi, può perfino diventare fisica), ma per nessun motivo possiamo ritenere lecita una qualche forma di censura sulla comunicazione elettronica, come su ogni altra forma di comunicazione. Coloro che la esercitano sono gli Stati totalitari che vogliono impedire ai cittadini di venire a conoscenza di notizie per essi compromettenti e vogliono impedire che si formino, per spontanea associazione, movimenti di protesta. La libertà può avere i suoi inconvenienti, ma spetta soltanto al nostro senso di responsabilità farne un uso che non provochi crimini e sofferenze. Se intervengono i governi o le autorità religiose, vuol dire che hanno qualcosa da nascondere, anche se invocano il rispetto per principi e istituzioni proclamati sacri.

D’altra parte, ognuno di noi possiede convinzioni alle quali è particolarmente affezionato e coltiva valori che non vorrebbe venissero mai offesi dalle critiche, magari ironiche e dissacratrici, di qualcun altro,

specialmente quando si tratta di valori religiosi che attengono alla sfera del sacro, di ciò che non può essere contaminato né fisicamente né spiritualmente.

Bisognerebbe però, a questo proposito, che ogni civiltà religiosa, nel mondo globale e inevitabilmente plurale che vive di una comunicazione aperta e incessante, cominciasse a desacralizzare la religione, a toglierle quel carattere di intangibilità che forse rafforza la fede dei seguaci, ma la fa anche degenerare nella violenza di chi si isola dal resto dell’umanità e pretende di godere di una situazione di privilegio ormai non più rivendicabile da nessuno, se vogliamo gettare le basi di una convivenza almeno sopportabile.

La pretesa di possedere la verità assoluta e di volerla sottrarre ad ogni critica che ne scalfisca l’aura di sacralità da cui viene circondata, è ormai insostenibile, anche se i capi delle varie religioni, pur dicendo di voler dialogare, si lasciano spesso trascinare dal delirio della presunzione autoreferenziale.

Magari essi non predicano apertamente la violenza o addirittura condannano apertamente coloro che ne fanno uso, ma il veleno della verità assoluta e sacra finisce col corrodere inesorabilmente anche chi è animato dalle migliori intenzioni.

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Prove di controrivoluzione

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I fondamentalisti islamici, gli integralisti, i salafiti, i gruppi armati del terrore, che da un angolo all’altro della galassia musulmana – dalla Libia all’Indonesia, dalla Malaysia alla Tunisia – hanno visto con allarme e preoccupazione il processo della Primavera araba, hanno tentato la controffenisva. Una provocazione studiata a tavolino, un film blasfemo contro Maometto, prodotto da frange estremiste legate al fondamentalismo cristiano arabo e americano, ha acceso una miccia su braci che covavano da tempo.

Il processo rivoluzionario che ha investito i Paesi arabi e poi tanto parte dell’universo islamico con le sue spinte laiche al cambiamento provenienti da giovani, da donne, da pezzi di società civile e anche da un Islam che si misurava finalmente con la modernità occasione, ha fatto paura. E ora il nemico è tornato quello di sempre: gli Stati Uniti in primis e l’Occidente in generale, anche se questo schema non corrisponde nell’attuale momento storico alla realtà: ma non importa, l’estremismo religioso che vuole mantenere popoli e nazioni sotto il dominio di caste ed élite militari, e ha giocato il tutto per tutto, puntando su una inevitabile repressione militare.

E’ lo sbocco di un movimento controrivoluzionario che sta cercando di bloccare l’evoluzione delle società arabe e del mondo musulmano in generale. Hanno buoni alleati in Occidente, sono quelli che hanno sostenuto i regimi di ieri, promosso le guerre e le invasioni, foraggiato i gruppi terroristici. E’ decisivo ora che non si cada nel gioco delle ritorsioni e delle generalizzazioni sull’Islam. Il processo in atto, per quanto fragile, ha già compiuto un tratto improntate di strada e ora ha bisogno del sostegno politico e anche ideale dell’Europa e dell’America, è una sfida importante, il percorso che abbiamo davanti è ancora lungo pieno di insidie ma anche di grandi possibilità.