Perché Martini non sarà santo

Eugenio Scalfari
http://espresso.repubblica.it/ 11 settembre 2012

Il cardinale Martini, finalmente per lui, è andato in pace. Il popolo l’ha salutato con cordoglio e affettuoso rispetto; le autorità della Chiesa e quelle dello Stato gli hanno pubblicamente reso gli onori che meritava. Gli amici, cattolici e non cattolici, si sono stretti intorno alla sua memoria e al suo insegnamento. Ora è il momento delle interpretazioni. Confrontiamole.

ANZITUTTO LA GERARCHIA che amministra la Chiesa e di cui lui stesso ha fatto parte. Già vivo Martini è stato rispettato ma non amato dalla gerarchia, salvo poche eccezioni tra le quali segnalo quelle dei cardinali Silvestrini e Tettamanzi e di alcuni vescovi. Ma in Curia e nella segreteria vaticana era visto da alcuni come un disturbatore, comunque come un elemento estraneo. Il papa attuale ebbe motivi di riconoscenza perché alla terza votazione in Conclave fu la confluenza dei cardinali “martiniani” su Ratzinger a determinare la successiva fumata bianca. Ora che è morto, la gerarchia se lo annette con la consueta abilità.

Basta leggere le dichiarazioni del cardinal Forte che è uno dei pilastri dell’architettura ecclesiastica. La decisione di rifiutare l’accanimento terapeutico rinunciando all’alimentazione forzata? Una prassi riconosciuta e addirittura sostenuta dalla Chiesa. Paragonarla al caso Englaro? Chi lo fa non capisce la profonda differenza, fermo restando che Martini confermò a Forte, pochi giorni prima di render l’anima a Dio, che mai avrebbe preso decisioni che non fossero quelle dettate dal Signore alla sua coscienza. Il suo preteso “relativismo”? Una bestemmia solo a supporlo. La sua critica radicale alla Chiesa? Martini venerava papa Ratzinger e le sue critiche erano marginali e utilissime; di esse la gerarchia terrà adeguato conto.

Non so fino a che punto il cosiddetto popolo di Dio, cioè quello dei veri credenti e praticanti, concordi con l’interpretazione della gerarchia. Ma il popolo di Dio che conta non è la massa sparpagliata che si ritrova insieme alle messe domenicali. Nella Chiesa degli ultimi cinquant’anni il popolo di Dio si riconosce in alcune comunità organizzate e potenti, ciascuna delle quali ha un peso e i suoi punti di riferimento nell’architettura ecclesiale: Comunione e liberazione, Sant’Egidio, i Focolarini, l’Opus Dei, più alcuni Ordini della Chiesa regolare come i Salesiani, i Francescani e le loro varie famiglie, i Gesuiti. Una comunità martiniana non esiste e non credo esisterà.

La ragione è evidente: Martini era un riformatore, uno dei pochi nella Chiesa che venne rifondata dopo la scissione luterana. E’ stato sepolto in Duomo accanto alla tomba di San Carlo Borromeo. L’accostamento è importante dal punto di vista della solennità; Carlo Borromeo fu uno dei pilastri della cattolicità nata dal Concilio di Trento e fu anche il pastore che invocò Dio per metter fine alla peste. Ma fu un contro-riformatore, cioè l’opposto di Martini.

QUALCHE ANTECEDENTE alle posizioni martiniane si può trovare nel modernismo che si manifestò ai primi del Novecento ed ebbe i suoi epigoni durante il pontificato di Pio XI che li liquidò definitivamente. Ma l’essenza del modernismo si riallacciava a Rosmini ed era soprattutto di carattere etico. L’etica è fondamentale anche per Martini, la lotta alle ipocrisie, alla casistica, alla temporalità del Papato: questi sono temi che accomunano Martini e i modernisti. Ma c’è in lui qualche cosa di diverso che va molto oltre: è il tema dell’incontro della Chiesa con la modernità che distingue Martini dagli altri ed è il suo grido d’allarme per le condizioni attuali della Chiesa.

Appena dieci giorni prima di morire, in un’intervista alla Bbc, Martini dice che «la brace della Chiesa, cioè lo spirito che deve pervaderla e la fede che deve alimentarla, sono ricoperte da uno strato di cenere il cui spessore è tale da spegnere quella brace. Il compito dei cristiani è di liberare il braciere da quella cenere per vedere di nuovo il fuoco della fede».

EPPOI VOLEVA CHE IL CONCILIO diventasse uno strumento di governo della Chiesa. La gerarchia amministra la gestione ordinaria attraverso le varie istituzioni, congregazioni, tribunali, ma l’essenza della religione, le questioni supreme, la convivenza tra il dogma e la modernità, siano appannaggio dei Concilii, da applicare a temi specifici, quello del celibato, il percorso della penitenza, la nomina dei Vescovi. Il papa è il vertice, ma il corpo della piramide sono gli episcopati e a loro compete la politica dell’ecumenismo, l’unità profonda delle religioni.

Dio non è soltanto cattolico e neppure soltanto cristiano; Dio è dovunque ed è di tutti. Queste sono bestemmie? Se lo sono per la gerarchia, allora Martini è stato un bestemmiatore. Se noi fossimo credenti lo vorremmo Beato, ma dubitiamo che il popolo di Dio riesca in questa iniziativa per la semplice ragione che nessuno la prenderà. Noi lo rimpiangiamo come maestro e amico, dal quale molto abbiamo imparato sul Figlio dell’uomo che per lui era il Figlio di Dio. Carlo Maria Martini | Vaticano