Etica, famiglie, diritti: il “programma” del nuovo moderatore della tavola valdese

Luca Kocci
Adista Notizie, n°34 del 29 settembre

Il pastore Eugenio Bernardini è il nuovo moderatore della Tavola valdese (organo esecutivo dell’Unione delle Chiese metodiste e valdesi). È stato eletto a fine agosto a Torre Pellice, al termine dell’annuale Sinodo delle Chiese. Succede a Maria Bonafede, per sette anni consecutivi alla guida della Tavola.

Bernardini, 58 anni, è sposato e ha tre figli. Laureato alla Facoltà valdese di teologia di Roma nel 1981, ha studiato anche a San José in Costa Rica, al Seminario biblico latinoamericano e al Dipartimento ecumenico di ricerca teologica, approfondendo le tematiche della Teologia della Liberazione. Consacrato al ministero pastorale nel 1982, è stato pastore a Foggia e Orsara di Puglia (Foggia), Torino, Coazze-Giaveno (Torino) e San Secondo di Pinerolo (Torino). È stato anche direttore di Riforma, il settimanale delle Chiese battiste, metodiste e valdese, dal 1996 al 2003; e vice-moderatore della Tavola valdese dal 2005 al 2010. Adista lo ha intervistato, per parlare del Sinodo e delle prospettive della Chiesa valdese; ma anche di otto per mille, legge 40, informazione religiosa ed ecumenismo.

Pastore, quale sarà il suo “programma” da moderatore della Tavola valdese?

La tradizione ecclesiologica protestante prevede che tutti i ministeri “di governo” siano collegiali e che debbano “eseguire” le decisioni e le linee guida definite dalle assemblee che li hanno eletti, quindi il “programma” per un moderatore, per neo-eletto che sia, è quello definito dal Sinodo. Naturalmente ognuno interpreta il ruolo con le proprie caratteristiche e secondo la visione che ha delle urgenze dei tempi. Per me è essenziale che le Chiese, tutte, ritrovino il senso della loro missione in Italia e in Europa in un contesto radicalmente cambiato: decisamente multiculturale e multireligioso, da una parte, ma anche segnato da una varietà di secolarizzazioni, per cui nulla va dato per scontato sia nei contenuti sia nelle modalità di comunicazione. Non solo: proprio in questo contesto le Chiese devono essere le prime a praticare ciò che propongono, ovvero accoglienza, tolleranza, parità di diritti e di doveri tra uomini e donne (anche per quanto riguarda il ministero ecclesiastico), sostegno ai più deboli e disprezzati. Ricordando che queste proposte hanno una radice profonda nell’Evangelo, che è parola di speranza, vita e salvezza per tutti.

Uno dei temi fondamentali affrontati dal Sinodo è stato quello delle “famiglie plurali”: famiglie eterosessuali e omosessuali, coniugate e di fatto, con figli o senza, o con figli di uno solo dei due membri della coppia, ecc. Come mai avete scelto questo tema?

Dopo la nostra decisione sinodale di due anni fa che ha accolto la possibilità di una benedizione ecclesiastica per le persone dello stesso sesso che si impegnino in un progetto di coppia stabile e fedele, ci siamo resi conto che non potevamo più parlare di famiglia al singolare ma di famiglie al plurale, non solo per riconoscere la realtà omosessuale, ma anche per riconoscere le ormai molteplici forme familiari eterosessuali. Solo con un riconoscimento formale e consapevole di queste realtà si possono mettere le basi per una nuova pastorale delle famiglie e per il sostegno di politiche sociali inclusive.

Il Sinodo ha approvato alcuni ordini del giorno, fra i quali uno in cui si esprime soddisfazione per la sentenza della Corte europea contro la legge 40 sulla fecondazione assistita. Può illustrare meglio i motivi di questo odg?

Noi consideriamo pessimo l’impianto della legge 40, frutto di una posizione religiosa e culturale autoritaria che considera gli aspiranti genitori come dei soggetti bisognosi di tutela perché incapaci di riconoscere ciò che è bene e ciò che è male. Il risultato è che si stanno realizzando tutte le conseguenze negative che si prevedevano: maggiori e inutili rischi per la salute delle aspiranti mamme e dei nascituri, coppie che ricorrono all’assistenza medica all’estero e ora la condanna della Corte europea. Purtroppo, su tutti i temi relativi alle nuove frontiere delle cure mediche, e conseguentemente della libera responsabilità personale, la posizione della maggioranza della gerarchia cattolica italiana, diversamente da quanto avviene in altri Paesi europei, è di generale chiusura.

A margine del Sinodo, a proposito della crisi economica, lei ha detto che l’unica strada per affrontarla e superarla è quella di «cercare modelli di vita nuovi, più sobri, che guardino più alla qualità che alla quantità, più all’equità che al privilegio». È un impegno che, oltre i cristiani, riguarda anche le Chiese? Come si può sostanziare?

Certo che è un impegno che riguarda anche le Chiese e non solo i singoli cristiani. Con la precisazione che non è compito delle Chiese definire o sostenere un programma di questa o quella parte politica, ma le Chiese hanno la responsabilità di indicare bisogni, problemi, vie per un futuro con meno esclusione sociale, meno divario economico tra Nord e Sud e più sostenibilità ambientale. Le Chiese possono e devono incoraggiare la ricerca di nuovi modelli di vita sociale con la loro predicazione e con la conseguente azione pastorale e diaconale.

Come valuta il forte incremento dei numero di contribuenti, soprattutto non valdesi, che hanno scelto di destinare a voi l’8 per mille?

Questo incremento è dovuto al fatto che siamo riusciti a trasmettere un messaggio chiaro di ciò che siamo e proponiamo: una Chiesa cristiana che pensa più agli altri che a sé, dalle pratiche democratiche e trasparenti, che parla un linguaggio comune e non “da Chiesa”.

Anche i valdesi, dal prossimo anno, parteciperanno per la prima volta alla ripartizione delle quote non espresse. Come mai questa decisione dopo anni in cui invece i valdesi avevano scelto di incassare solo le quote effettivamente destinate?

La nostra decisione è nata da una valutazione negativa di come lo Stato, negli anni passati, ha speso la quota delle scelte non espresse che noi abbiamo rifiutato, destinandole appunto allo Stato. Noi destineremo la metà della somma che riceveremo per progetti all’estero, nel Sud del mondo e nell’Europa dell’est, dando di fatto un contributo alla cooperazione internazionale che in questi anni si è ridotta al lumicino. E anche l’altra metà, che destineremo all’Italia, sosterrà progetti qualificati del mondo del non profit.

Non le pare però che in questo modo si dia il sostegno implicito ad un meccanismo piuttosto discutibile?

L’otto per mille è nato per sostenere economicamente il clero cattolico in sostituzione del vecchio meccanismo della congrua, cioè del pagamento diretto dello stipendio dei preti cattolici da parte dello Stato, e ora è diventato qualcosa di più e di diverso. Noi accoglieremmo con favore qualsiasi proposta di riequilibrio, di modifica o anche di soppressione di questo meccanismo ma, finché è così, pensiamo che sia meglio utilizzarlo con i criteri che adottiamo noi che con altri.

Lei è stato per anni direttore di Riforma. Come giudica lo stato di salute dell’informazione religiosa in Italia? Non le pare un po’ troppo “cattolicocentrica”, “vaticanocentrica” e poco attenta alle voci della base?

Purtroppo è così, ed è un’anomalia tutta italiana, basta leggere la stampa estera per rendersi conto della distorsione dell’informazione religiosa nel nostro Paese. Ci guadagnano – ma ci guadagnano davvero? – la gerarchia cattolica italiana e il Vaticano, ci perde tutto il Paese.

Che giudizio ha del cammino ecumenico nel nostro Paese? E quanto ai rapporti con la Chiesa cattolica?

Il cammino ecumenico è più incoraggiante per quanto riguarda le relazioni tra Chiese protestanti mentre con la Chiesa cattolica non riusciamo più a fare dei passi in avanti né in campo teologico, né in campo pastorale. Restano però acquisite fraternità e considerazione gli uni per gli altri, elementi preziosi per riprendere il cammino. Certo, il tempo che viviamo, di riscoperte identitarie e cambiamenti culturali epocali, invitano più alla chiusura che all’apertura, più alla prudenza che al coraggio, ma solo con un cambiamento di prospettiva possiamo affrontare il futuro con speranza.

Fra poche settimane saranno 50 anni dall’apertura del Vaticano II: un evento che “parla” anche ai valdesi? Che cosa pensa del cammino conciliare della Chiesa cattolica?
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Il Vaticano II ha avuto dei riflessi importanti per tutte le Chiese e per la società, ma non ha realizzato molte delle sue promesse. Invece che rinnovare profondamente la Chiesa cattolica per farle ritrovare i suoi fondamenti evangelici, la gerarchia ha preferito un più prudente aggiornamento liturgico, pastorale, teologico. Lo stesso per la diffusione e lo studio della Bibbia: il cambiamento è stato importante e oggi è forse il maggior campo di intesa ecumenica, ma la gerarchia non ne ha poi tratto le necessarie conseguenze, privilegiando piuttosto la difesa della tradizione.