Il difficile mestiere del parroco

Caro Augias, sono un giovane prete che tra un dottorato in corso e il servizio in carcere trova tempo anche per cercare < > di futuro. Sere fa l’ho ascoltata mentre parlava alla comunità di base di san Paolo, in compagnia di Paolo Flores d’Arcais e di Vito Mancuso, mentre ascoltava don Franzoni. Ero in fondo alla sala, affollata, in piedi come molti altri. Ad un certo punto ho smesso di ascoltare le vostre puntuali e oneste analisi, mi sono messo a guardare ciò che avevo davanti e attorno a me. C’erano anche dei giovani, ma soprattutto tante teste coi capelli bianchi. Diciamo pure la maggioranza. Sono riconoscente dal profondo verso chi, oggi canuto, ha permesso a me e a tanti impegnati in un compito difficile di continuare a sognare anche col sacrificio delle proprie battaglie. Tuttavia provo una certa malinconia nel pensare ai giovani cattolici di oggi, così fieri di appartenere a movimenti diciamo luccicanti che trasmettono il brivido del < >, Applausi, riprese televisive, uomini famosi che salutano. Nello stesso tempo così assenti dai garage spogli come quello di san Paolo adibiti a laboratori di fede, di speranza e di amore, che danno il più povero, ma più sostanzioso brivido del < >.

Marco Di Benedetto – dibe76@gmail.com

Ringrazio don Marco per questa lettera. Immagino quanto sia difficile il lavoro di un giovane prete che studia e lavora con i detenuti, credo di poter capire il suo stato d’animo quanto vede che cosa succede nelle alte gerarchie dilaniate da lotte di potere, oppure nelle associazioni pompose, mescolate alla spartizione di quel potere, che sembrano aver perso per strada ogni richiamo al vangelo impegnate soprattutto a contare il denaro, se dobbiamo credere alle cronache. Alcuni di loro si chiamano perfino ‘Memores Domini’, niente meno, un titolo usurpato mentre si fanno portare in vacanza qua e là. Gratis. Durante la serata cui don Marco si riferisce si è parlato anche del processo-burla al maggiordomo Paolo Gabriele. Come ha fatto osservare Vito Mancuso, quei documenti sono sì trafugati però sono autentici. E rivelano cose terribili su quanto avviene là dentro. Non so se sia stato più imbarazzante il silenzio di tomba – è il caso di dire – seguito all’assassinio delle guardie svizzere o la parodia di un vero processo che s’è appena celebrata. L’accusa e la difesa quasi mute. Alla difesa era stato perfino proibito di aprire bocca al di fuori dell’aula, cosa mai vista in Occidente da più di un secolo a questa parte. I giovani di cui parla don Marco quella sera erano pochi, è vero, prevalevano gli anziani, ma ciò che un non cattolico come me ha visto e udito in quel garage fa pensare che forse una speranza di recupero c’è ancora. Forse.

Corrado Augias