Scout e pedofilia, la promessa violata

Federico Tulli
www.cronachelaiche.it

Il primo doloroso, profondo squarcio si è aperto il 30 marzo del 2005 quando un autorevole dirigente nazionale del corpo dei Boy scout statunitensi si è proclamato colpevole davanti alla giuria di un tribunale del Texas. L’accusa, pesantissima, era di pedofilia. Secondo gli investigatori, Douglas Smith, questo il nome dell’uomo, era coinvolto da almeno dieci anni in un traffico internazionale di materiale pedopornografico diffuso via internet. Smith faceva parte da 39 anni della storica organizzazione Boy scout of America fondata nel 1910, che conta oltre quattro milioni di bambini e ragazzi e migliaia di gruppi. Per la prima volta quel mondo – considerato in tutto l’occidente, ideale per la formazione e la crescita degli adolescenti – si trovava a fare i conti con la stessa dinamica sconcertante e drammatica che solo tre anni prima, a partire dallo scandalo della diocesi di Boston guidata dall’allora cardinale Bernard Law, aveva squassato le fondamenta di un’altra solida realtà sociale statunitense: la Chiesa cattolica. La conferma che, purtroppo, non si trattava di un caso isolato e che ci fossero delle analogie con la vicenda degli abusi clericali e le sistematiche coperture operate dalle gerarchie ecclesiastiche è arrivata cinque anni dopo.

Nel marzo del 2010, durante un processo per pedofilia nell’Oregon, l’avvocato Kelly Clark accusò l’amministrazione dei Boy scout of America di aver tenuto per anni un archivio segreto registrato col titolo “Perversion files”, nel quale erano documentati i casi di abusi accaduti e denunciati all’interno dei loro gruppi. La notizia provocò sconcerto e indignazione negli Stati Uniti ma ebbe poca rilevanza alle nostre latitudini perché arrivò nel pieno della bufera che stava travolgendo istituti scolastici cattolici e diocesi di mezza Europa. Bufera che raggiunse l’apice un mese dopo con la controversa lettera di scuse di Benedetto XVI ai fedeli irlandesi. In quell’occasione Clarks esibì in aula almeno un migliaio di documenti affermando che fossero la prova che i Boy scouts d’America (Bsa) sin dagli anni Ottanta hanno deliberatamente ignorato almeno 1200 segnalazioni ricevute circa molestie “sessuali” verificatesi al loro interno. Il legale di Bsa, Charles Smith, non negò l’esistenza dell’archivio segreto, limitandosi a precisare che i dossier erano tenuti riservati perché «pieni di informazioni confidenziali». Il processo si concluse con la condanna per negligenza nei confronti di Bsa e il pagamento di 1,4 milioni dollari alla vittima difesa da Clarks. Un mese dopo la sanzione fu elevata a 14 milioni di dollari: il capo scout condannato ammise abusi su 17 bambini e l’organizzazione non aveva saputo proteggere i “lupetti” da eventuali pedofili lasciando questi ultimi a contatto con i bambini.

I “Perversion files” sono improvvisamente venuti alla luce questa settimana grazie a uno scoop del Los Angeles Times che è entrato in possesso del voluminoso dossier e lo ha reso pubblico. Dai documenti emergono inequivocabili conferme alle accuse mosse a suo tempo da Clarks e gettano una luce sinistra e cupa su Bsa e le loro attività “formative”. Nelle 14.500 pagine che compongono il report si racconta una storia che va dal 1959 al 1985 e mostra come i responsabili di Bsa abbiano sempre taciuto sulle violenze tenendole nascoste ai genitori dei ragazzini coinvolti, alla giustizia e all’opinione pubblica. I vertici dell’associazione si sarebbero limitati a chiedere ai responsabili degli abusi di dimettersi. Ma in alcuni casi, oltre a coprirli, li avrebbero anche aiutati a far sparire le proprie tracce. Impossibile non cogliere un inquietante link con la prassi attuata in quegli stessi anni dalle gerarchie ecclesiastiche cattoliche per coprire i preti pedofili e insabbiare casi e responsabilità. Va detto che l’inchiesta del Los Angeles Times riguarda in particolare il periodo 1970-1991, e che essa testimonia come in molti casi Bsa sia venuta a conoscenza dei presunti abusi solo dopo che questi erano stati denunciati alle autorità, le quali però risultano spesso reticenti. Ma «in oltre 500 casi – afferma il quotidiano – l’associazione ha saputo degli abusi dai ragazzi, dai genitori, dal personale o da informazioni anonime», facendo il possibile perché non trapelassero all’esterno. «Quando un problema emergeva veniva chiesto all’interessato di lasciare volontariamente la posizione piuttosto che correre il rischio di ulteriori indagini», si legge chiaramente in alcuni documenti. Di fronte allo scandalo, il portavoce di Bsa, Deron Smith, si è limitato a chiarire che oggi l’organizzazione richiede a tutti i suoi membri di riportare ogni sospetto di abuso direttamente alle autorità locali, sottolineando come gli attuali vertici abbiano sempre cooperato pienamente con le indagini della polizia. Dichiarazioni di rito, identiche a quelle già sentite pronunciare ad esempio dalla Sala Stampa vaticana per vicende analoghe. Che arrivano quando oramai la stalla è chiusa e i buoi, anzi, gli orchi sono già scappati.