Quel che resta del Sinodo

Sandro Magister
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Il XIII sinodo dei vescovi, dedicato alla nuova evangelizzazione, si è concluso con la consegna di 58 “propositiones” a Benedetto XVI.
Le “propositiones” sono una traccia che il papa potrà utilizzare per la scrittura dell’esortazione apostolica che costituirà l’effettivo frutto dell’assise.
Le “propositiones” sono state approvate a larga maggioranza dai padri sinodali e il cardinale statunitense Donald W. Wuerl, relatore generale del sinodo, ha rivelato che non si è mai superato un 10 per cento di “non placet” nella votazione di ciascuna di esse.
Fino all’attuale pontificato le “propositiones” votate in un sinodo erano sotto segreto, ma poiché erano in possesso di centinaia di persone accadeva regolarmente che venissero diffuse a mezzo stampa in tempi rapidissimi.
Benedetto XVI, per volontà di trasparenza e per realismo, fin dal primo sinodo celebrato nel suo pontificato, quello del 2005, ha deciso che una traduzione “ufficiosa” in lingua corrente delle “propositiones”, la cui versione “typica” è sempre in latino, fosse ufficialmente diffusa alla stampa in tempo reale.
Così è accaduto anche questa volta.
Le “propositiones” di quest’ultimo sinodo sono soprattutto esortative e nell’insieme piuttosto generiche.
Ma non mancano delle indicazioni concrete, come ad esempio:
– la richiesta al papa (n. 16) di creare una specifica commissione di rappresentanti delle varie parti della Chiesa nel mondo, o di affidare questo compito al pontificio consiglio della giustizia e della pace, per affrontare la questione degli attacchi alla libertà religiosa.
– la constatazione (n. 18) che aldilà dell’importanza dei media “la forma più effettiva della comunicazione della fede rimane quella di condividere la testimonianza della vita, senza cui nessuno sforzo mediatico porterà ad una effettiva trasmissione del Vangelo”.
– l’avvertenza della “necessità” (n. 20) che la Chiesa sia “vigilante nell’interessarsi e nel promuovere la qualità dell’arte che è permessa negli spazi sacri riservati alle celebrazioni liturgiche”.
– la richiesta (n. 33) che ciascun sacerdote debba “considerare il sacramento della penitenza come parte essenziale del suo ministero e della nuova evangelizzazione” e che in ogni comunità parrocchiale sia dato “un tempo adeguato per ascoltare le confessioni”. Ferma restando la necessità di essere fedeli alle “norme specifiche che regolano questo sacramento”, che, come noto, prevedono solo la confessione e l’assoluzione individuale, non quella collettiva, salvo in casi eccezionalissimi tra cui la guerra.
– l’invito a diocesi e conferenze episcopali (n. 38) a studiare quale sia l’ordine migliore da seguire nell’amministrazione dei sacramenti della comunione e della cresima. Nel sinodo infatti, specialmente nei dibattiti liberi, si è discusso se sia preferibile mantenere la prassi recente che vede celebrare la cresima dopo la comunione o invece invertire l’ordine.
– la sottolineatura (n. 55) che la promozione del dialogo attraverso l’iniziativa del “Cortile dei Gentili” , “non è mai separata dal primo annuncio” del Vangelo.
Quanto ai divorziati risposati – tema molto presente sui media – il sinodo si è limitato a suggerire (n. 48) che “la nuova evangelizzazione dovrebbe sforzarsi di affrontare (should strive to address) significativi problemi pastorali riguardanti il matrimonio, il caso dei divorziati e risposati, la situazione dei loro figli, il destino delle spose abbandonate, le coppie che vivono insieme senza essere sposate, e il trend nella società di ridefinire il matrimonio. La Chiesa con cura materna e spirito evangelico dovrebbe cercare risposte appropriate per queste situazioni, come un importante aspetto della nuova evangelizzazione”.
Nessun appello, quindi, a favore di un cambiamento della disciplina riguardante l’accesso all’eucaristia dei divorziati risposati.

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Questo ciò che emerge dalle “propositiones”. Ma il sinodo, nel suo dibattito interno, è stato più ricco di quanto le stesse “propositiones” o il messaggio finale al popolo di Dio facciano pensare.
In aula, infatti, sono intervenuti quasi tutti gli oltre 250 padri sinodali. Tra i “big”, l’unico che non risulta aver parlato è stato il cardinale di Vienna Christoph Schönborn, che pure è stato tra i votati a far parte del consiglio post-sinodale, un organismo di quindici ecclesiastici – dodici eletti e tre designati dal papa – che si riunisce periodicamente per contribuire alla compilazione dell’esortazione apostolica e per preparare il sinodo successivo.
Ecco qui di seguito un florilegio degli interventi più significativi – o curiosi – fatti in aula nel corso delle ventidue congregazioni generali, in dodici delle quali Benedetto XVI è stato presente.
Il cardinale Jean-Louis Tauran, presidente del pontificio consiglio per il dialogo interreligioso, ha lanciato l’allarme contro i cattivi fautori del dialogo interreligioso. “Alcuni cristiani – ha detto –, ignorando spesso il contenuto della loro fede e incapaci quindi di viverla e di viverne, non sono adatti al dialogo interreligioso che inizia sempre con l’affermazione delle proprie convinzioni: non c’è posto per il sincretismo o il relativismo!”. Infatti “di fronte ai seguaci di altre religioni con un’identità religiosa forte, occorrono cristiani motivati e preparati dal punto di vista dottrinale”. E “per questa ragione, la nuova evangelizzazione è una priorità, al fine di formare cristiani coerenti, capaci di rispondere della propria fede, mediante parole semplici e senza paura”.

L’arcivescovo di Chieti-Vasto Bruno Forte ha fatto invece una proposta che, nella parte giuridica, non sembra aver avuto seguito. Dopo aver ricordato “come sia drammatica la situazione dei figli di divorziati risposati che spesso vengono resi estranei ai sacramenti dalla non partecipazione dei loro genitori”, ha invocato “una decisa svolta nel senso della carità pastorale, come più volte ha affermato papa Benedetto XVI ad esempio all’incontro mondiale delle famiglie a Milano”. E ha fatto la seguente proposta: “Sarà anche necessario avviare una riflessione sui modi e i tempi necessari per il riconoscimento della nullità del vincolo matrimoniale: come vescovo e moderatore di un tribunale ecclesiastico regionale devo ammettere che alcune esigenze (ad esempio la necessità della doppia sentenza conforme, anche se non c’è ricorso) appaiono a molte persone ferite, desiderose di sanare la loro situazione, poco comprensibili”.

Il rettore della Pontificia Università Lateranense, il vescovo salesiano Enrico dal Covolo, non ha usato mezze misure per denunciare come “il cavallo di Troia, attraverso il quale gli Stati si appropriano delle intelligenze degli studenti, è la formazione dei docenti”. Ed ha aggiunto: “In molti paesi i docenti sono formati unicamente nelle università statali, e comunque chi vuole insegnare deve possedere l’abilitazione statale conseguita secondo il percorso formativo stabilito dagli Stati e con esami di Stato. La progressiva scristianizzazione dell’Occidente è avvenuta così, attraverso la scristianizzazione delle scuole e delle università. Ora, una nuova evangelizzazione non può che avvenire nel riconoscimento delle persone, della loro coscienza, dei loro diritti. Se gli Stati, come spesso hanno fatto e continuano a fare, si appropriano del progetto personale di apprendimento, tolgono alle persone la libertà di realizzarsi, privandole di un diritto originario e costitutivo. Di conseguenza, una comunità ecclesiale che si impegna per una nuova evangelizzazione dovrà curare con urgenza e priorità il buon funzionamento delle scuole e delle università in genere, ma in modo tutto particolare di quelle cattoliche”.

Uno dei rari riferimenti agli abusi sessuali di chierici nei confronti di minori e a come affrontare la nuova evangelizzazione in contesti particolarmente colpiti da questo triste fenomeno è stato fatto dal vescovo di Antigonish in Canada, Brian Joseph Dunn. Il suo predecessore in diocesi è stato recentemente ridotto allo stato laicale – provvedimento molto raro per un vescovo – dopo aver subito una condanna civile per possesso di materiale pedopornografico.??Il cardinale indiano Telesphore Placidus Toppo, arcivescovo di Ranchi, ha lanciato un allarme sulla situazione degli ordini religiosi. “Vorrei rivolgere – ha detto – un umile appello agli ordini religiosi, affinché diventino di nuovo missionari. Nella storia dell’evangelizzazione, tutti gli ordini religiosi, guidati dallo Spirito Santo, hanno fatto cose straordinarie e meravigliose. Possiamo dire lo stesso, oggi, delle congregazioni religiose? È possibile che abbiano iniziato a operare come multinazionali, svolgendo tanto lavoro buono e necessario per rispondere ai bisogni materiali dell’umanità, dimenticando tuttavia che il fine principale della loro fondazione era quello di portare il kerygma, il Vangelo, a un mondo perduto? Dobbiamo apprezzare i numerosi gruppi giovanili e i nuovi movimenti ecclesiali che stanno raccogliendo la sfida. Tuttavia, ritengo che questo sinodo debba invitare i religiosi e le religiose a svolgere in modo esplicito e diretto il lavoro di evangelizzazione e di trasmissione della fede, in collaborazione con i vescovi locali. Vorrei anche chiedere alla congregazione per la vita consacrata di essere più attiva nella promozione del ‘sensus ecclesiae’ tra tutti i religiosi”.

Anche il prefetto della congregazione per i vescovi, il cardinale canadese Marc Ouellet, ha espresso critiche a proposito dei religiosi, quando ha notato che “nelle relazioni tra gerarchia e vita consacrata sono sorti non pochi disagi: talora per una certa ignoranza dei carismi e del loro ruolo nella missione e nella comunione ecclesiale, talaltra per l’inclinazione di alcuni consacrati alla contestazione del magistero”.

Ma diametralmente opposto è apparso il giudizio formulato dal superiore del più numeroso degli ordini religiosi, il preposito generale della Compagnia di Gesù, Adolfo Nicolas, uno spagnolo vissuto a lungo in Asia. Leggendo il suo resoconto del sinodo sul mensile gesuita “Popoli” è facile notare la differenza di accenti rispetto all’indiano Toppo, soprattutto laddove padre Nicolas insiste sulla “santità” e la “salvezza” già presenti fuori della Chiesa visibile più che sul primario impegno di propagare la fede cristiana, auspicato dal cardinale.

Il vescovo olandese Everardus Johannes de Jong ha espresso un auspicio che in altri tempi poteva essere scontato, ma non oggi: “Dobbiamo promuovere la preghiera agli angeli e agli arcangeli nella nuova evangelizzazione. Molti pontefici e santi hanno praticato questa devozione e l’hanno promossa”.

In tutt’altra direzione ha guardato il vescovo di Atakpamé in Togo, Nicodème Anani Barraigah-Bénissan, quando ha denunciato il fatto che “le società segrete ed esoteriche, in particolare la franco-massoneria, regnano sovrane ai vertici dello Stato, nelle più importanti istituzioni e in tutti gli ambienti intellettuali del nostro paese”.

Il cardinale George Pell, arcivescovo di Sydney in Australia, ha denunciato gli attacchi alla libertà di professare la religione cristiana “in alcuni paesi europei e anglofoni”, ove tale libertà è “limitata da tribunali, da norme, talvolta dai parlamenti”. E lo ha fatto richiamando positivamente il fatto che “l’anno prossimo si celebrerà il 1700.mo anniversario dell’editto di Milano, con il quale l’imperatore Costantino promulgò la libertà di religione nell’impero romano”.

Il cardinale Giuseppe Versaldi, presidente della prefettura degli affari economici della Santa Sede, ha dedicato al tema scottante del malaffare ad opera di ecclesiastici un intervento che i media hanno ritorto contro la Chiesa. “Nei casi possibili di cattiva amministrazione dei beni ecclesiali – ha detto – come terapia deve valere nella Chiesa la medicina evangelica della correzione fraterna. Prima della denuncia all’autorità deve valere il confronto personale per dare la possibilità di ravvedimento e riparazione. Trasparenza non significa automaticamente pubblicizzazione del male che porta allo scandalo. Solo se non c’è conversione si deve ricorrere all’ autorità competente, alla quale spetta il compito di verificare le accuse senza che queste siano già considerate prova di malgoverno”. “I panni sporchi si lavano in famiglia”, hanno tradotto impietosi i media italiani.

Non pochi padri sinodali hanno citato e elogiato il concilio Vaticano II e i suoi frutti nella vita della Chiesa. Ma non sono mancati argomentati accenni critici a quanto accaduto negli anni successivi al concilio.

Il cardinale statunitense Raymond Leo Burke, prefetto del supremo tribunale della segnatura apostolica, ha sottolineato come “l’euforia postconciliare, tesa all’instaurazione di una Chiesa nuova all’insegna di libertà e amore, ha favorito fortemente un’attitudine di indifferenza verso la disciplina della Chiesa, se non addirittura una ostilità. Pertanto la riforma della vita ecclesiale auspicata dai padri conciliari è stata in certo senso impedita, se non tradita”.

Un altro cardinale americano, Timothy M. Dolan, arcivescovo di New York, ha amaramente ricordato: “Il concilio Vaticano II ha fatto appello a un rinnovamento del sacramento della penitenza, ma purtroppo e con tristezza quello che abbiamo ottenuto è stata la sparizione del sacramento”.

Il cardinale polacco Zenon Grocholewski, prefetto della congregazione per l’educazione cattolica, ha notato come “nonostante ci siano al riguardo le indicazioni del concilio Vaticano II e del magistero postconciliare” rimane “ancora nella prassi poca chiarezza circa la relazione fra il ruolo della teologia e del magistero della Chiesa. Gesù non ha lasciato la nostra comprensione della Sacra Scrittura e della Tradizione in balia delle diverse opinioni, che evidentemente possono essere anche molto divergenti e stravaganti, nonché seminare continuamente incertezza e confusione, ma ci ha lasciato il grande tesoro del magistero”, che però purtroppo “viene spesso vanificato”. E così accade che “la mania di diventare grande, originale, importante, riduce non pochi vescovi ad essere ‘pastori che pascono se stessi e non il gregge’ (cfr. Ez 34, 8; Sant’Agostino, Discorso sui pastori), in realtà diventando poco rilevanti nel regno dei cieli e controproducenti per la crescita della Chiesa e per l’evangelizzazione”.

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Infine ecco tre interventi di cui è utile riportare per intero la sintesi diffusa dal sinodo.

Il primo è quello che, secondo più testimoni, ha ricevuto la dose più forte di applausi dell’intero sinodo. E ha per autore un giovane catechista laico di Roma, nominato dal papa tra gli uditori. Gli altri due sono quelli che Benedetto XVI, intervenendo in sinodo il 27 ottobre, ha detto di aver apprezzato in modo particolare, come testimonianze di una Chiesa che “cresce e vive” proprio dove è piccola e povera. Sono quelli del vescovo croato di Tromso, in Norvegia, e del vescovo, di origini francesi, di Phnom-Penh, in Cambogia.

TOMMASO SPINELLI, catechista di giovani catecumeni presso l’ufficio catechistico della diocesi di Roma, Italia:

“La nuova evangelizzazione ha bisogno di sostanza: di catechesi di spessore che sappiano dire qualcosa di serio alla nostra vita, ma anche e soprattutto di vite di spessore che mostrino nei fatti la solidità di chi è cristiano. A maggior ragione oggi che le famiglie sono disunite e spesso abdicano al loro ruolo educativo, i sacerdoti testimoniano ai giovani la fedeltà ad una vocazione e la possibilità di scegliere un modo di vivere alternativo e più bello rispetto a quello proposto dalla società. Ciò che mi preoccupa è che però tali figure di spessore stanno diventando la minoranza. Il sacerdote ha perso fiducia nell’importanza del proprio ministero, ha perso carisma e cultura. Vedo sacerdoti che si adattano al pensiero dominante. E lo stesso è nelle liturgie che nel tentativo di farsi originali diventano insignificanti. Sacerdoti, vi chiedo di trovare il coraggio di essere voi stessi. Non temete, perché lì dove sarete autenticamente sacerdoti, lì dove proporrete senza paura la verità della fede, noi giovani vi seguiremo. Sono nostre infatti le parole di Pietro: ‘Signore da chi andremo? Tu solo hai parole di vita eterna!’. E noi abbiamo una fame infinita di qualcosa di eterno e di vero.

“Pertanto propongo di: 1) Aumentare la formazione dei sacerdoti, non solo spirituale ma anche culturale. Troppo spesso vediamo oggi sacerdoti che hanno perso il ruolo di maestri di cultura che li aveva resi importanti per tutta la società. Oggi se vogliamo esser credibili ed utili dobbiamo tornare ad avere buoni strumenti culturali. 2) Riscoprire il Catechismo della Chiesa Cattolica nella sua conciliarità: in particolare la prima parte di ogni sessione dove i documenti del concilio illuminano i temi tradizionali. Il Catechismo ha infatti la sapienza di premettere alla spiegazione del ‘Credo’ una parte ispirata alla ‘Dei Verbum’, in cui viene spiegata la visione personalistica della rivelazione, ai sacramenti la ‘Sacrosantum concilium’, e ai comandamenti la ‘Lumen gentium’ che mostra l’uomo creato a immagine di Dio. La prima parte di ogni sezione del catechismo è fondamentale perché l’uomo di oggi senta la fede come qualcosa che lo riguardi da vicino e che sia capace di dar risposta alle sue domande più profonde. 3) Infine la liturgia: troppo spesso è trascurata e desacralizzata, va rimessa con dignità al centro della comunità sia parrocchiale che territoriale”.

BERISLAV GRGIC, vescovo prelato di Tromso, Norvegia:

“Nei paesi nordici – Danimarca, Finlandia, Islanda, Norvegia e Svezia – la Chiesa cattolica è una piccola minoranza e quindi non ha né i vantaggi né gli svantaggi che si riscontrano spesso nelle regioni in cui il cattolicesimo è tradizionale e/o prevalente. Malgrado la sua limitata rilevanza, sotto il profilo numerico e sociale, la nostra è tuttavia una Chiesa in crescita. Vengono costruite o acquistate nuove chiese, istituite nuove parrocchie, vengono ad aggiungersi riti non latini, il numero delle conversioni e dei battesimi adulti è relativamente alto, non mancano le vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa, il numero dei battesimi supera di gran lunga quello dei decessi e di quanti abbandonano la Chiesa, e la presenza alla messa domenicale è abbastanza alta.

“In alcuni settori della società c’è grande interesse per la fede e per la spiritualità, sia da parte dei non credenti, che cercano la verità, sia da parte di cristiani impegnati di altre confessioni, che desiderano un approfondimento e un arricchimento della vita religiosa. Va inoltre osservato che negli ultimi anni sono piuttosto numerosi gli ordini contemplativi che vi hanno aperto le proprie case.?Tuttavia, la trasmissione della fede spesso è resa più difficile dalle grandi distanze. I nostri sacerdoti devono viaggiare molto (talvolta fino a 2000 km al mese) per visitare i fedeli che abitano in luoghi distanti e celebrare con loro la messa. Nei mesi invernali ciò diventa molto faticoso”.

OLIVIER SCHMITTHAEUSLER, M.E.P., vicario apostolico di Phnom-Penh, Cambogia:

“Il genocidio perpetrato dai khmer rossi ha ucciso vescovi, sacerdoti, religiosi e la maggior parte dei cristiani. Da vent’anni, viviamo nuovamente l’epoca degli Atti degli Apostoli con un primo annuncio della buona novella praticato dai pochi sopravvissuti e sostenuto dall’arrivo in massa dei missionari. Oggi abbiamo circa 200 battesimi di adulti all’anno. La piccola Chiesa della Cambogia è in qualche modo un laboratorio di evangelizzazione in un mondo buddista che ha pienamente aderito al processo di secolarizzazione veicolato dalla globalizzazione, un po’ come i draghi asiatici. La missione ‘ad extra’ è intimamente legata alla missione ‘ad intra’. ‘Ad extra’ e ‘ad intra’ si arricchiscono reciprocamente esortandosi a servire una sola e unica missione di evangelizzazione!

“Ecco alcuni punti significativi per un primo annuncio di Gesù Cristo che possono essere estesi anche a una riflessione sulla nuova evangelizzazione. Due sono fondamentali: 1) Il vero incontro con Gesù Cristo apre il cuore alla carità e all’esperienza del perdono per condurre alla scoperta del dono della vita. 2) I laici sono apostoli in questo mondo (‘Apostolicam actuositatem’).

“E come sarà la Chiesa sacramento di Cristo nel mondo per una nuova evangelizzazione in atto e in verità? 1) Una Chiesa che tocca il cuore. 2) Una Chiesa semplice. 3) Una Chiesa ospitale. 4) Una Chiesa orante. 5) Una Chiesa gioiosa”.