Legge 40 e IMU. Il lato vaticano di Monti

Marco Palombi
Il Fatto Quotidiano del 30/11/2012

Familiarità”. “Grande stima”. “Rispetto”. Dalle parti del soglio di Pietro difficilmente si esprimono così su un politico italiano, specialmente se è un laico in odor di massoneria come Mario Monti. Eppure il rapporto tra il premier e Benedetto XVI, in Vaticano, lo raccontano proprio con quegli aggettivi: d’altronde sette incontri (e qualche telefonata) in un solo anno non sono affatto pochi, per non parlare del fatto che le due udienze private, una in piena estate a Castel Gandolfo, sono state assai “più lunghe dell’usuale”.

Per Joseph Ratzinger, infatti, l’arrivo del preside della Bocconi a palazzo Chigi è stata una benedizione: nonostante la Cei dell’epoca fosse una dei suoi sponsor forti, il Pontefice non ha mai amato Silvio Berlusconi e, soprattutto, la pessima pubblicità attirata sul Vaticano da bunga bunga e amenità simili. 

Prova ne sia quanto successo a monsignor Rino Fisichella, il prelato che più d’ogni altro ha giocato la sua carica a supporto del berlusconismo (mitica l’uscita sulla bestemmia del Cavaliere che andava “contestualizzata”): Fisichella, infatti, pur essendo presidente del Pontificio consiglio per la nuova evangelizzazione, carica in genere appannaggio di un cardinale, non è stato ancora “promosso” nono – stante i due concistori e le oltre venti nomine dell’ultimo anno e mezzo.

Il sobrio Monti a capo del governo italiano, insomma, è il sogno del Papa che si fa realtà. Anche la sua presunta (e sempre smentita) iscrizione alla massoneria, Oltretevere viene derubricata a fatto non interessante: la leggenda dei palazzi romani, d’altronde, vuole Monti seguace del rito scozzese, cui aderirebbero pure molti cardinali.

Al di là delle dicerie, resta un rapporto consolidato (e diretto) tra il liberale cattolico Monti e questo papato. Anche dentro e intorno al suo governo, peraltro, non mancano figure rassicuranti per le gerarchie vaticane: oltre ai ministri cattolicissimi Lorenzo Ornaghi, Renato Balduzzi e Andrea Riccardi (a cui andrebbe aggiunto almeno Corrado Passera, che “debuttò” in politica al convegno neodemocristiano di Todi nel 2011), vanno citati altri tre nomi.

Federico Toniato, giovane braccio destro del premier già funzionario del Senato: discreto, competente, in prima fila per conquistare la direzione generale di palazzo Chigi dopo Manlio Strano, Toniato è accreditato di un solido rapporto col cardinale Tarcisio Bertone.

Anche il secondo nome, che è quello di Marco Simeon, risulta legato al segretario di Stato vaticano (che sulla politica italiana ha sostanzialmente commissariato il capo della Cei, Angelo Bagnasco): trentenne come il braccio destro di Monti, attualmente alto funzionario Rai, si è rapidamente convertito ai tecnici dopo una carriera giocata in quel che restava dell’andreottismo nel potere politico ed economico romano (Geronzi, Bisignani, etc.).

L’ultimo nome è quello di Elena Ugolini, sottosegretario all’Istruzione, preside di una scuola cattolica di Bologna e pezzo grosso di CL nella regione in cui si organizza il meeting di Rimini: forse non è un caso che in quello di agosto scorso – assente il Papa, nascosto Formigoni – sia stato proprio Mario Monti la vera star.

SOLO CHIACCHIERE, se non fosse che questi molteplici rapporti diretti e indiretti tra il “tecnico capo” e il Vaticano non sono senza esiti nell’azione di governo. Il caso più eclatante e meno discusso è quello che riguardo lo Ior. Risulta al Fatto Quotidiano che a Monti sia stato chiesto persino un informale parere sul successore di Ettore Gotti Tedeschi come presidente.

Una considerazione, questa, che il premier s’è guadagnato sul campo visto che, a luglio, il suo governo contribuì non secondariamente a salvare la banca vaticana da una impietosa bocciatura europea in tema di trasparenza e contrasto al riciclaggio: agli ispettori di Bankitalia (che erano già stati assai critici sullo Ior) fu sostanzialmente impedito di parlare al Consiglio d’Europa e palazzo Koch, per reazione, arrivò a ritirare la sua delegazione.

Anche sull’8 per mille Monti si è rifiutato sia di attivare la commissione italo- vaticana per rivederne il gettito ben superiore alla vecchia “con – grua” (come prevede il Concordato) sia di indicare precisamente la destinazione della quota statale (servirà in larga parte per la ricostruzione dell’Emilia, ma la Cei non ama la pubblicità concorrente).

Il premier non s’è fatto mancare nemmeno il ricorso contro la diagnosi preimpianto nella fecondazione assistita depositato mercoledì, il finanziamento alle scuole private (223 milioni di euro) e il condono sull’Imu: gli immobili commerciali di enti religiosi la pagheranno dal 2013 come avrebbe comunque imposto la Ue (“su scuole e mense però bisogna ancora trattare”, avvertono in Vaticano), ma tutto è perdonato quanto all’evasione pregressa.