La guerra fredda del cardinale Scola

Paolo Naso
www.chiesavaldese.org

Nel consueto messaggio del 6 dicembre l’arcivescovo di Milano, Angelo Scola, ha usato parole forti e chiare contro la neutralità dello Stato in materia religiosa e quindi contro un fondamentale principio giuridico e filosofico alla base dei moderni stati laici. Sembra così concludersi una lunga stagione teologica e culturale che nei decenni scorsi ha portato il cattolicesimo ambrosiano a dialogare con la cultura laica e persino con quella atea.

Con il messaggio del suo arcivescovo, la Chiesa ambrosiana rivendica una sua anomala idea di laicità, distinta e distante da quella del pensiero liberale tradizionale, come è noto fondata proprio sulla neutralità dello Stato riguardo alle questioni religiose: per essere più chiari quel principio che afferma che su alcune materia “di coscienza” lo Stato liberale e democratico non ha un “punto da difendere” ma si affida al libero confronto nello spazio pubblico e nelle sedi istituzionali. Laicità, quindi: a protezione di uno Stato “casa di tutti” che non discrimina chi crede, chi non crede o chi crede in forme diverse da quelle convenzionali o della maggioranza; ma laicità anche a protezione della libertà delle confessioni religiose che non devono sottostare al potere del principe.

Se in altre occasioni l’obiettivo polemico dei vertici cattolici era il relativismo, da Milano è partito uno strale anche contro la “neutralità” che agli occhi del cardinale Scola dissimulerebbe il sostegno “a una visione del mondo che poggia sull’idea secolare e senza Dio”. Di più: l’impostazione neutralista alla base dell’idea di laicità discriminerebbe le identità religiose “tendendo a emarginarle, se non espellendole dallo spazio pubblico”. Non sappiamo a quale scenario il cardinale si riferisca perché il problema italiano è esattamente quello opposto, ovvero quello di una sovra-rappresentazione della Chiesa cattolica, anche al di là dei suoi reali consensi in un contesto religioso che cambia rapidamente in senso pluralistico; ma certo colpisce la nettezza della parole, quasi una dichiarazione di guerra contro la moderna cultura della laicità. Guerra fredda s’intende ma che ,se alle parole faranno seguito i fatti, potrebbe produrre conseguenze importanti nella strategia ambrosiana di dialogo con la cultura laica, con le istituzioni e con le altre comunità di fede.

Se capiamo bene, il cardinale arcivescovo di Milano accetta il principio di uno Stato laicamente aconfessionale ma respinge l’idea che questa aconfessionalità debba tradursi in “neutralità” rispetto alle varie opzioni religiose. A suo avviso, infatti, lo Stato aconfessionale dovrebbe contrastare la cultura “secolaristica” e “senza Dio”; al tempo stesso non dovrebbe limitarsi a garantire una semplice “libertà religiosa”, liberty of religion come ha affermato in inglese, con implicito riferimento al modello americano. Lo Stato – conclude – dovrebbe muoversi in “orizzonte propositivo più largo, dotato di una ben articolata gerarchia di elementi”.

Agli osservatori non è sfuggito il fatto che il cardinale Scola abbia pronunciato un discorso molto netto e perentorio alla vigilia dell’anno costantiniano quando, nel ricordo dell’editto di Milano del 313, cessarono le persecuzioni contro i cristiani e si affermò un inedito principio di tolleranza religiosa. Di Costantino e del suo Editto si discuterà molto nei prossimi mesi, ma alla vigilia di Sant’Ambrogio l’arcivescovo di Milano ha voluto dare il la alle celebrazioni esprimendo una “direttrice” molto precisa: non si ricordi Costantino per parlare di pluralismo, né si immaginino tortuose attualizzazioni per ragionare di laicità e dialogo interreligioso. L’Editto è semmai il fondamento di quel regime di cristianità che, con i dovuti aggiornamenti, il cardinale sembra auspicare anche per l’Italia di oggi: non un insostenibile (e anticostituzionale) neo-confessionalismo, certo, ma la definizione istituzionalizzata e istituzionalmente garantita di una “ben articolata gerarchia di elementi”. E non è rivendicazione da poco.

Su questi temi, dalla cattedra di Sant’Ambrogio eravamo abituati ad ascoltare altri discorsi.

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La Chiesa ambrosiana non coincide con il card. Scola

Giuseppe Platone
www.riforma.it

Ho ascoltato con attenzione, venerdì 7 dicembre, la riflessione del cardinale Scola nel giorno di Sant’Ambrogio. Eravamo insieme, come membri del Consiglio delle chiese cristiane, a condividere questa liturgia nel giorno del patrono della città. La lezione accademica di Scola ci ha proposto una lunga serie di riflessioni sulla libertà religiosa (un intervento più da convegno che da cerimonia religiosa senza contraddittorio). Al richiamo storico dell’Editto di Costantino del 313, definito un «inizio mancato» della libertà religiosa è mancata, nel seguito della lunga riflessione, la prosecuzione di questa denunciata mancanza. Del come quella libertà di culto concessa ai cristiani sia presto diventata imposizione alle coscienze e «caccia al diverso».

L’anno anniversario costantiniano ha effettivamente avuto venerdì 7 dicembre qui a Milano un «inizio mancato». Il discorso alla città di Scola, dopo avere messo all’angolo, tra l’altro la laïcité alla francese e la riforma sanitaria di Obama («che impone a vari tipi di istituzioni religiose, specialmente ospedali e scuole, di offrire ai propri impiegati polizze di assicurazione sanitaria che includono contraccettivi, abortivi e procedure di sterilizzazione»), ha avanzato la proposta di «ripensare il tema della aconfessionalità dello Stato nel quadro di un rinnovato pensiero della libertà religiosa». Un rinnovamento, quello proposto, che prende le mosse dalla sottovalutazione del contributo che l’Illuminismo ha dato alla nostra civiltà (e alla cultura dei diritti che ne consegue) e dalla svalutazione del concetto di Stato neutro in materia religiosa.

Questa lezione di «nuova laicità» che ci lascia amareggiati è una delle opzioni possibili. Ed essa discende direttamente da una logica concordataria. In una Milano la cui Amministrazione sta portando avanti con determinazione l’Albo delle Associazioni e organizzazioni religiose, che intende, senza prevaricazioni, assicurare a tutti i soggetti interessati, in termini di rispetto della legalità e di spazi adeguati alle norme, la lezione di Scola ha comunque il vantaggio della chiarezza. Esprime un orizzonte di pensiero e di progettualità giuridica e politica che non è il nostro. C’è da chiedersi sino a che punto la posizione del cardinale sia realmente condivisa nell’ambito della chiesa ambrosiana. Esiste una pluralità di posizioni e correnti interne allo stesso cattolicesimo ambrosiano, che prudentemente evitano di entrare in rotta di collisione le une con le altre. La scialuppa protestante naviga in un altro mare, la nostra rotta punta ad approdare a una legge quadro sulla liberta religiosa, che abroghi una volta per tutte le normative del ventennio fascista e che abbia come bussola d’orientamento la laicità dello Stato.

Riteniamo che proprio l’equidistanza dello Stato in materia religiosa, che non è indifferentismo ma neutralità, possa produrre relazioni attente e partecipi con le varie espressioni religiose. Proprio la laicità dello Stato è la migliore garanzia di una vera coesione sociale che non produce privilegi per gli uni e discriminazioni per gli altri. Insomma, per dirla con Jean Baubérot che di laicità s’intende: «Se le chiese, per poco che sia, sovrastano la società civile anziché esserne parte integrante, allora il clericalismo fa capolino».

Il cardinale Scola ci ha crudamente messi di fronte al fatto di trovarci, sul tema della libertà religiosa, su posizioni lontane, contrapposte, che in prospettiva rischiano di rendere il cammino ecumenico ancora più faticoso di prima. Una provocazione che preoccupa. Non siamo comunque di fronte a degli ultimatum o diktat ma a posizioni, teologicamente e culturalmente, diverse dalle nostre, che possono (e forse desiderano) un confronto leale, senza scomuniche ma anche senza sconti. Dopo quindici anni di un cammino che ha visto cadute e energici risollevamenti, il Consiglio delle chiese cristiane di Milano è posto di fronte, alla vigilia dell’anniversario della «svolta costantiniana», a una sfida seria che deve trovare la sua risposta nella fedeltà all’evangelo del Cristo che ha dato tutto se stesso senza prendere nulla per sé. Come dire che le religioni, che camminano con le gambe di credenti e di cittadini, devono imparare a fare un passo indietro per il bene comune.