La chiesa italiana e l’inferno dell’antipolitica

Massimo Faggioli
http://www.huffingtonpost.it/massimo-faggioli

La democrazia italiana starebbe meglio senza la presenza pubblica della chiesa cattolica? La chiesa può fare a meno di un ethos democratico? Alla luce della situazione del nostro paese, queste domande vanno al di là della domanda su quanti e quali cattolici saranno attivi e in quale forza politica nella scena italiana. È una questione di qualità sia della democrazia italiana sia del cattolicesimo nella sua vocazione al servizio nel mondo.

Se è vero che i cattolici sono apparentemente molto più inclini ad accettare, all’interno della loro chiesa, il principio monarchico che quello democratico, è anche innegabile che il consenso morale in cui vivono le democrazie occidentali proviene anche dall’humus del cristianesimo: è una delle tante questioni con cui il neo-ateismo non ha mai fatto i conti seriamente. Se si vuole vedere un parallelo con l’oltreatlantico, un articolo pubblicato qualche giorno fa dal New York Times, One Nation Under God?, mostrava il rischio che corre il “consenso morale” americano, un consenso in cui la democrazia statunitense ha beneficiato del contributo delle chiese cristiane come antidoto agli eccessi della mob democracy, la democrazia populistica.

Se si guarda all’Europa, non è un caso che i populismi degli ultimi decenni, dalla Lega Nord fino ai Piraten tedeschi e alle liste di Beppe Grillo, si siano nutriti di una cultura anticlericale che ha come obbiettivo non tanto l’8 per mille o il Concordato, ma l’idea stessa di società e di politica di cui il cristianesimo occidentale è nutrice e parte. La secolarizzazione europea è tra le cause della crisi dell’Europa e dell’europeismo: negare un nesso tra i due fenomeni sarebbe più ottuso che ingenuo, anche se nessuno (se non gli sparuti e saputi neo-conservatori italiani) ovviamente si augura una ri-confessionalizzazione del continente, della sua politica e della sua legislazione.

Ma non v’è dubbio che sia sempre più difficile difendere in pubblico l’idea della convivenza tra chiesa cattolica e democrazia: l’apologetica cattolica è impegnata su tutt’altri fronti. Da una parte, la cultura laicista vede nel cattolicesimo un corpo estraneo che non ha veramente mai accettato l’ethos democratico e che oggi ha gettato la maschera, in virtù della pregiudiziale della “legge di natura” – quel principio usato per formulare i “valori non negoziabili” a cui da ormai un decennio il magistero vaticano ha vincolato l’impegno dei cattolici in politica.

Dall’altro lato, la cultura cattolica ritiene, alla luce delle sfide provenienti dalle questioni morali bioetiche, di aver ormai avuto prova provata dell’intrinseca pericolosità di una democrazia pluralista che deve anche essere relativista. Ma la chiesa ha bisogno della democrazia e che la democrazia ha bisogno della chiesa. Se i laici italiani non possono permettersi di augurarsi l’estinzione del cattolicesimo pubblico, i cattolici italiani non devono augurarsi la dipartita dei partiti a favore di una tecnocrazia apparentemente più incline dei partiti a mantenere un cattolico status quo della morale familiare (matrimoni omosessuali) e dei rapporti Stato-Chiesa in Italia.

L’anima del cattolicesimo contemporaneo, che è ben più grande del magistero di questo o quel papa, ha infuso e respirato, almeno dalla Seconda guerra mondiale in poi, un ethos della democrazia che è di qualità diversa e superiore a quella della tecnocrazia. Quella italiana rischia di diventare una democrazia in cui molti di coloro che si candidano alla sua guida (incluso il premier Monti) ostentano un sovrano disdegno nei confronti della politica, dei partiti, dei sindacati, e della mediazione tra forze sociali diverse e diseguali di cui i partiti e i sindacati sono i primi interpreti.

Nel romanzo White Noise, lo scrittore americano Don DeLillo definiva l’inferno come “quel momento in cui nessuno crede in niente”. Ai cattolici italiani è richiesto, per primi, quel granello di fede in una politica di cui essi conoscono, non meno di altri, la differenza rispetto all’inferno dell’antipolitica. Per troppo tempo molti vescovi, teologi e cattolici italiani hanno fatto mostra di un agnosticismo costituzionale che è soltanto un passo prima dell’abisso.