Elezioni: Comunione e liberazione si sgrana e gioca su più tavoli

Bruno Vergani
www.cronachelaiche.it

L’ufficio stampa di Comunione e liberazione, dopo le confuse vicende politiche dei ciellini Maurizio Lupi rimasto nel Pdl, Mario Mauro migrato a Monti e Formigoni rimasto nel contempo di qua e di là, ha diramato una nota di chiarimento in vista delle prossime scadenze elettorali. A documento pubblicato, Formigoni ha aderito al progetto del Pdl rimangiandosi l’appoggio dato a Gabriele Albertini e ritrovandosi così alleato con Maroni che, per settimane, aveva sistematicamente attaccato.

La nota di Comunione e liberazione tenta di far ordine comunicando alla piazza la posizione ufficiale del movimento. Dettagliando la netta separazione di Cl dagli schieramenti partitici in quanto movimento ecclesiale, dunque teso «a vivere e a testimoniare la fede come pertinente alle esigenze della vita»; tuttavia, ricordando l’auspicio di Benedetto XVI, «l’intelligenza della fede diventa intelligenza della realtà», Cl guarda «con simpatia chi, tra i suoi aderenti, decide di assumersi il rischio di un tentativo politico» teso a portare nella società i valori del cristianesimo. La nota, nell’attardarsi nel distinguere il movimento di Cl dai ciellini militanti nei partiti, cita un intervento di don Giussani risalente agli anni Settanta: «C’è fra noi tutti in quanto Cl, ed i nostri amici impegnati nel Movimento Popolare e nella Dc, un’irrevocabile distanza critica». Le parole di Giussani separano il movimento – ritenuto espressione storica di Dio stesso, dunque giusto e buono a prescindere – dai ciellini impegnati nei partiti invece imputabili.

Michele Fusco da Linkiesta commenta con durezza la nota di Cl con l’articolo: «Se Cl è tecnicamente fallita, la colpa è di voi ragazzi», dove individua precise responsabilità nei giovani ciellini militanti, ritenuti responsabili «di non avere mai dubitato, di avere applaudito sempre e comunque, acriticamente, di aver pensato che aderire al movimento equivalesse ad avere fede».

Il direttore di Tempi Luigi Amicone risponde a Fusco appoggiando nel merito il documento e testimoniando che Cl è viva e vegeta. Amicone difende i “ragazzi” ciellini ribattendo a Fusco: «In nome di quale criterio di valore ci si rivolge loro, li si giudica e li si sentenzia? In nome del criterio di valore che suppone la mia giustizia e la mia onestà al servizio della tua alloccaggine e della tua disonestà. C’è un’evidente presunzione asimmetrica in questo atteggiarsi a emancipatori dell’altrui ignoranza e disonestà».

Michele Fusco, di fatto, sbaglia la mira: insidioso giudicare dei giovani che nell’abbracciare un ideale abbiano ad abdicare, almeno per un momento e in buona fede, al pensare; imputazione che condannerebbe la stragrande maggioranza dei giovani, dagli anarchici militanti, ai fanatici della Rap music, agli innamorati. Se qualcuno è da imputare è invece proprio l’ideale di una concezione ritenuta coincidente con la presenza di Dio nella storia. Una esaltazione comunitaria con vincoli di fiducia e obbedienza assoluti, all’interno di una corporazione ritenuta dagli aderenti sovrumana e divina che, perseguendo precetti autoreferenziali, tutto vincerebbe, ricomporrebbe, giustificherebbe, salverebbe.

Ciò premesso il documento che vede una separazione netta tra i militanti politici e il movimento ciellino che li ha generati appare un sofisma grossolano. Noto che, all’interno di Cl, sono impartite indicazioni di voto perentorie a sostegno di specifici candidati ciellini ritenuti soggetti che incarnerebbero, di fatto e indipendentemente dal comportamento personale, la presunta sacralità di Cl stessa. Figure prescelte dal destino, rappresentanti di Dio in terra, anfibi terro-celesti in missione per conto di Dio che permetterebbero al Creatore invisibile di manifestarsi nella società grazie alla loro presenza militante nei partiti politici, così da plasmare verso la luce la storia degli uomini. Tutto questo fino alla vigilia delle elezioni. Presi tanti voti dai ciellini obbedienti gli è poi concesso di ritornare umani.

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TANTI SFORZI, POCHI CANDIDATI. E LA GERARCHIA ECCLESIASTICA VOLTA LE SPALLE A MONTI

Valerio Gigante
Adista Notizie n. 2 del 19/01/2013

In principio fu Todi. Era l’ottobre 2011, il governo Berlusconi scricchiolava sotto il peso degli scandali politici e di quelli personali del presidente del Consiglio e la gerarchia cattolica stava seriamente vagliando la possibilità di cambiare cavallo, dopo quello cavalcato con successo per più di 15 anni, ottenendo innegabili vantaggi in termini di presenza politico-mediatica, di agevolazioni, esenzioni e privilegi, oltre ad una serie di provvedimenti (legge 40, “difesa” della famiglia, lotta alle unioni civili, caso Englaro, fine-vita, testamento biologico, scuola privata, ecc.) che ammiccavano alle “radici cristiane” del Paese, ai “valori non negoziabili” ed ai temi eticamente “sensibili”.

Nella cittadina umbra, sette associazioni cattoliche legate al mondo del lavoro (Acli, Cisl, Coldiretti, Compagnia delle Opere, Confcooperative, Confartigianato, Mcl), benedette (e anche opportunamente sostenute) dalle gerarchie ecclesiastiche, si incontrarono per preparare una alternativa cattolico-moderata al berlusconismo, prima che esso fosse definitivamente travolto dagli eventi. Di lì a pochi mesi, tre delle personalità che più avevano lavorato al successo di quell’assise – Andrea Riccardi, Corrado Passera e Lorenzo Ornaghi – entrarono nel nuovo governo guidato da Mario Monti, come garanti degli interessi (spesso contrapposti, comunque distinti) dei vertici della Cei, della Curia vaticana e del card. Camillo Ruini. Ad ottobre 2012 un nuovo incontro, sempre a Todi, di quelle stesse realtà (con una posizione, quella di Coldiretti, decisamente più tiepida e defilata) sanciva il varo di un rassemblement cattolico a sostegno dell’“agenda Monti”, in vista delle elezioni del 2013

Todi al tramonto

Poi, sul finire del 2012, le dimissioni dell’esecutivo e la fine anticipata della legislatura, con l’ufficializzazione della “salita in politica” di Mario Monti, sembravano aver ulteriormente accelerato i tempi del matrimonio “religioso” tra la neonata “Scelta civica con Monti per l’Italia” e i vertici della Chiesa. Osservatore Romano e presidente dei vescovi italiani, Avvenire e segretario di Stato vaticano avevano infatti unanimemente plaudito al progetto politico-elettorale del presidente del Consiglio uscente.

E l’associazionismo cattolico istituzionale stava avviando la sua potente macchina organizzativa. Il 10 gennaio era stato fissato un terzo appuntamento delle sigle promotrici dei primi due incontri di Todi per ufficializzare la nuova “gioiosa macchina da guerra” del centro cattolico. Poi, però, qualcosa in quella macchina si è rotto, e l’incontro, che doveva svolgersi nella sede nazionale della Cisl a Roma, in via Po, è stato rinviato a data da destinarsi. Un fulmine a ciel sereno, che seguiva di pochi giorni l’annuncio che in ogni caso Monti non avrebbe preso parte all’iniziativa, nonostante la sua presenza fosse stata data ormai per certa. Dietro la decisione, tanto quella di Monti che quella appena successiva di cancellare l’incontro, ci sono stati – certo – i timori che l’evento potesse trasformarsi in un abbraccio troppo soffocante tra il mondo cattolico (oltre alle 7 sigle “fondatrici” era prevista infatti anche la presenza di Neocatecumenali, Focolarini, Azione Cattolica, Forum delle Famiglie, Scienza&Vita) e il progetto montiano; c’è stata – altrettanto indubbiamente – la scelta delle gerarchie ecclesiastiche di una maggiore prudenza dopo le prime, forse troppo entusiastiche ed affrettate, dichiarazioni a sostegno di Monti; ma, soprattutto, a determinare il precipitare degli eventi c’è stata una improvvisa crisi nell’idillio tra la Chiesa e l’ex rettore della Bocconi.

E i valori non negoziabili?

Sul precedente numero di Adista (v. Adista Notizie n. 1/2013) avevamo elencato una serie di nodi critici che rendevano il sostegno delle gerarchie alla “lista Monti” meno scontato di quanto in apparenza potesse sembrare: il fatto che una parte consistente dei vertici ecclesiastici guardi a destra, e che ad essa non è facile far digerire il sostegno al progetto montiano, specie ora che pare contrapposto in maniera più netta al PdL ed alla Lega che all’asse Pd-Vendola, con il quale invece già si prefigura un accordo post elettorale nel caso assai probabile che al centrosinistra manchi la maggioranza al Senato. Poi l’assenza dall’agenda Monti delle questioni etiche, niente affatto casuale, vista l’intenzione del presidente del Consiglio di demandare tali spinose questioni al dibattito parlamentare piuttosto che all’iniziativa dell’esecutivo che uscirà dalle urne. Così, se nella piattaforma firmata a “Todi 2” erano stati inseriti i valori non negoziabili, alcuni giorni dopo quegli stessi valori erano stati espunti dal manifesto per Montezemolo firmato da Riccardi. Infine i sondaggi, secondo i quali la lista Monti non decolla, anche perché gli indicatori economici e quelli su pressione fiscale ed occupazione non giocano affatto a favore dell’esecutivo uscente. A quelle ragioni si potrebbe oggi affiancare l’atteggiamento tiepido che la grande stampa mainstream (con la scontata eccezione, finora, del Tempo diretto da Mario Sechi, peraltro candidato proprio nel listone di Monti, e del Messaggero di proprietà del suocero di Casini, Francesco Gaetano Caltagirone) sta inaspettatamente riservando al “Terzo Polo” ed alla “salita in politica” di Monti

Non c’era posto per loro nelle liste

Questioni di per sé però non decisive, anche se non prive di importanza. A calare sul tavolo l’asso di briscola è stata la composizione delle liste elettorali. Alla Camera, si sa, Monti ha accettato la presenza di altre liste a fianco della sua, quelle di Udc e Fli. Al Senato, però, ha imposto ai suoi alleati di correre tutti sotto uno stesso simbolo, il suo, vincolando tutti ad un rigido vaglio (sempre il suo, per il tramite di Enrico Bondi e Andrea Riccardi) delle candidature. La gerarchia ecclesiastica, che pensava di trovare ampie praterie per collocare, collegio per collegio, curia per curia, i propri uomini nello scacchiere elettorale di “Scelta civica con Monti per l’Italia” si è perciò trovata spiazzata. Pochi i posti per quelle sigle che avevano contribuito in maniera determinante al decollo del progetto montiano sotto l’egida Cei-Vaticano. Pochi i posti per gli uomini vicini alle curie locali ed alla presidenza della Cei. Insomma, più Monti pretendeva di gestire a suo modo le liste elettorali, più Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egidio, uomo con solidi legami con la Segreteria di Stato e oggi factotum del presidente del Consiglio, veniva visto con crescente diffidenza dai vertici della Cei, i quali peraltro gli avevano spesso contrapposto nei mesi passati il banchiere Passera, non a caso defilatosi nelle ultime settimane man mano che cresceva l’egemonia di Riccardi.

Accusato di non aver svolto un sufficiente lavoro di lobbying a favore dei candidati cattolici graditi alla Cei Riccardi, complice anche una possibile candidatura a sindaco di Roma, si sarebbe fatto da parte, annunciando l’improvvisa decisione di non candidarsi al Parlamento, non senza aver prima lasciato il posto al suo fedelissimo luogotenente, Mario Marazziti, portavoce della Comunità di Sant’Egidio.

Fallito il tentativo, che denunciava fretta e una certa superficialità, di una opzione preferenziale della gerarchia verso un solo partito, la presenza dei cattolici a queste elezioni potrebbe assumere lo schema tradizionale dell’era post democristiana: quello del presentare i propri esponenti in liste separate affinché con più efficacia possano una volta eletti colpire uniti. E se la presenza di cattolici dentro il PdL è ormai tradizione consolidata, più sorpresa ha destato la scelta di alcuni dirigenti dell’associazionismo ecclesiale, di correre nelle liste del Pd. Da via del Nazareno è stata infatti annunciata la candidatura del presidente del Centro nazionale volontariato e organizzatore delle settimane sciali Edo Patriarca (vicino al card. Ruini), della storica cattolica Emma Fattorini, dell’ex vicepresidente dell’Azione cattolica e direttore dell’Istituto Toniolo dell’Università Cattolica Ernesto Preziosi e della segretaria dell’istituto Luigi Sturzo (che già aveva assunto posizioni critiche alla vigilia del secondo appuntamento di Todi) Flavia Nardelli (figlia di Flaminio Piccoli).

E non sarà solo un caso che, mentre l’ormai ex presidente della Acli Andrea Olivero – uno dei principali animatori degli incontri di Todi – ha annunciato la sua candidatura a sostegno di Mario Monti, un altro ex presidente della stessa associazione Luigi Bobba (anche lui vicino al card. Ruini), sarà di nuovo candidato con il Pd. Allo stesso modo, se il segretario generale della Cisl Raffaele Bonanni – considerato il portavoce dell’assise di Todi del 2011 – è tra i sostenitori dell’agenda Monti, ciò non ha impedito al suo vice, Giorgio Santini, di candidarsi con il Pd in quota al cosiddetto listino-Bersani. Insomma, siamo al paradosso che ci sono più cattolici “doc” in lista con il centrosinistra che con la lista civica di Monti.

Che pure, nel cruciale collegio senatoriale della Lombardia (che elegge 49 senatori, di cui 27 vanno al partito o alla coalizione vincente), presenta un tridente formato da Albertini, Ichino e dal leader ciellino Mauro che potrebbe dare parecchio filo da torcere al Pd.