Funerale della Melato, il parroco vieta il discorso di saluto alla Bonino di M.Mantello

Maria Mantello

12 gennaio, funerali di Mariangela Melato, Chiesa degli Artisti a Piazza del Popolo.

Renzo Arbore ha preso contatti col prete informandolo che ci sarebbe stato un discorso di Emma Bonino per ricordare l’attrice. Sono le volontà della defunta. Nessun problema. Si fa sempre, è consuetudine, si fa sempre… Insomma tutto ok. Ma poi, all’ultimo momento, il prete fa marcia indietro: ci sarebbero nuove disposizioni, nessuno può parlare in chiesa tranne il sacerdote, e quasi a scusarsi lo ripete anche durante la funzione: «tutti i saluti devono avvenire fuori dalla chiesa».

Così, Renzo Arbore si attrezza. Si trova un altoparlante e un microfono per rispettare l’ultimo desiderio della defunta. Fuori dalla chiesa, pazienza! (ancora non sa che quella della normativa nuova è ipocrita menzogna).

In una calca impossibile si aspetta l’uscita della bara, con grande fatica si riesce infine a fare un minimo di spazio. Quel discorso è davvero una conquista, e infine Emma Bonino, non certo in veste da comizio, può nonostante tutto ricordare la Melato con affetto pacatezza sincerità.

Il suo discorso l’ho trascritto dalla registrazione e ve lo riporto, perché ognuno giudichi:

«Grazie. Grazie davvero, mi ha sorpreso, mi commuove e mi onora che sia stato chiesto a me di ricordare oggi Mariangela. E se così si è voluto, penso che oggi si voglia ricordare di lei non solo la grande attrice, la professionista rigorosa ed esigente innanzitutto verso se stessa.

Ma la donna dalle sfide impossibili perché della sua vita artistica e del suo talento, altri sarebbero più qualificati di me a parlarne, a partire dai tanti di voi qui presenti: colleghi attori, registi cinematografici ed esperti teatrali.

Da questo punto di vista io sono solo una dei tanti milioni di italiani che di volta in volta ho riso di gusto, sorriso amaro, ma che ho sempre riflettuto vedendola a teatro o sugli schermi. Ho pensato che oggi si volesse ricordare soprattutto la persona, la donna Mariangela nei suoi aspetti forse meno noti ma ben definiti e caratterizzanti della sua vita artistica ma anche del suo percorso personale.

Io, non ho avuto con lei frequentazioni assidue, non eravamo amiche come si dice, che vanno insieme ai cinema o al mare. Peccato, ho perso molto!

Ma, me la sono spesso trovata affianco determinata e vitale in alcune sfide radicali apparentemente impossibili. E più erano difficili e più lei c’era.

Perché era convinta che il mondo può essere cambiato. E poiché si può, qualcuno lo deve tentare. Coetanee, ci siamo spesso sfiorate e incrociate, riconoscendo a distanza una sintonia forte di intenti comportamenti e passione civile. In queste ore mi sono chiesta ed ho chiesto in giro come definirla in poche parole. Ho chiesto aiuto a chi la conosceva di più a chi non la conosceva affatto e a chi l’amava, perché volevo mettere in questo breve ricordo qualcosa di più corale e non solo mio, di personale.

Tra le lacrime Renzo ieri ha usato questo trittico: passione pulizia impegno; Irene, di getto ha detto: grazia simpatia leggerezza; Mimmo l’ha detta: una lottatrice, una combattente anche nell’affrontare la malattia e il dolore; mia cognata ha scritto: elegante, nel senso di dire elegante nel pensiero, nel comportamento, nella sua autonomia; Maurizio ha ricordato che con lei si rideva molto, perché era anche spiritosa, ironica, soprattutto autoironica – qualità rarissima segnalo – semplice, una insomma che non se la tirava.

So che Beppe Servillo ha detto: «modello raro di autonomia femminile». Condivido!

So anche che non amava essere definita una donna forte. La capisco.

Per parte mia, mi rimarrà dentro come una donna autenticamente coraggiosa, se per coraggio non s’intende non avere paura, ma saper governare le proprie fragilità e le proprie paure per farne forza e consapevolezza collettiva, potenzialmente contagiosa.

Per tutte queste ragioni e molte altre ancora, Mariangela Melato, antidiva regina del palcoscenico, anticonformista per autenticità e non per moda, appassionata cittadina italiana, ci mancherai. Ciao Mariangela».

Ecco di questo discorso della Bonino la Chiesa romana ha avuto paura. Perché non ammette il valore dell’autodeterminazione, la possibilità della responsabilità di intervenire nel mondo per costruire la felicità sulla terra e non dilazionarla (per chi ci crede) in cielo.

Un Chiesa pavida, che manca del coraggio del dialogo vero perché vuole sottomissione, obbedienza.
Una Chiesa fuori dal mondo che non sa parlare alle menti e si chiude nel ritualismo di potere e di convenienza… la cui regola è “o stai con me o contro di me”, senza mediazione dialettica.
Una Chiesa tridentina, che parla di umanità ma che anche di fronte alla morte non si inchina all’individualità, perché quel che conta è l’appartenenza identitaria al suo gruppo-clan.
Una Chiesa dogmatica, che preferisce la sua assoluta verità, alla sua assoluta carità. Contrariamente a Colui per conto del quale dice di parlare.
Una Chiesa che parla di umanità, ma per omologarla al suo catechismo.

Una Chiesa del no, che continua ad alimentare lo spirito di crociata contro chi non è conforme ai suoi sacralizzati stereotipi. E per questo, incapace di fare i conti con la secolarizzazione e la laicizzazione della società, ha paura del valore laico della dignità individuale di essere proprietari della vita. Una Chiesa priva di coraggio e fuori dalla storia!

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LA CHIESA A BRACCIA CHIUSE

Marco Politi
il Fatto Quotidiano, 15.01.2013

Da oggi – prepariamoci – nessun amico di un morto potrà parlare in chiesa ai funerali. Amici e parenti saranno invitati a commemorare il defunto, uscendo dal tempio e fermandosi sul sagrato. Così vogliono “nuove disposizioni” della gerarchia ecclesiastica. Naturalmente non è vero. Dalle Alpi al Mediterraneo il sacerdote passerà sempre il microfono a chiunque voglia portare un ricordo.

Ma è con questa bugia che domenica è stato impedito di parlare a Emma Bonino nella Chiesa degli Artisti. Dice Renzo Arbore: “Mi hanno insegnato che se si mente a qualcuno, soprattutto in chiesa, si va all’inferno”. Lo racconta a Repubblica, svelando il meschino retroscena del breve discorso della Bonino sul sagrato dopo i funerali di Mariangela Melato. Le migliaia di romani venuti domenica a salutare l’artista in piazza del Popolo a Roma, avevano pensato che la vicepresidente del Senato volesse farsi sentire meglio dalla folla. Invece era stata silenziata nel tempio. Indegna di parlare, perché radicale.

Ma poiché nessuna autorità ecclesiastica aveva il coraggio di dirlo, ecco la bugia. “Nuove disposizioni” , aveva sussurrato il celebrante ad Arbore prima del rito, impedivano che “altri” parlassero in chiesa durante il servizio funebre. Una pietosa finzione. Un’altra occasione persa per mostrare una Chiesa dalle braccia aperte: specie nel momento drammatico della morte. È inutile che in Vaticano si prendano dall’America consulenti per la “strategia mediatica”, se poi ciclicamente viene esibito il volto duro della Gerarchia. E pensare che i funerali (insieme ai matrimoni) sono i rari momenti in cui tanti non praticanti , tanti “lontani”, tanti agnostici e atei e seguaci di altre religioni tornano a mettere piede in una chiesa cattolica. Non dovrebbe, forse, essere un momento privilegiato per annunciare la “buona novella” ?

Ciclicamente l’autorità ecclesiastica – quasi fosse un raptus – corre a mostrarsi senza pietà. Ricordiamo ancora il gelido comunicato del Vicariato di Roma: “In merito alla richiesta di esequie ecclesiastiche per il defunto Dott. Piergiorgio Welby, il vicariato di Roma precisa di non aver potuto concedere tali esequie, perché…”. 22 dicembre 2006. Un linguaggio aziendale, burocratico, incurante della vigilia del Natale, incurante del dolore della cattolicissima madre che per tutto il tempo delle esequie – celebrate poi laicamente in piazza – terrà la mano incollata alla bara. L’accusa lanciata a Welby era di avere “pubblicamente affermato la volontà di porre fine alla propria vita”.

Il cattolico Antonio Guidi, l’ex ministro disabile del primo governo Berlusconi, esplose : “Questa Chiesa cattolica, che ha aperto le sue porte per i funerali a tiranni, faccendieri, corrotti, nega la sua accoglienza a chi ha tanto sofferto”. E intanto (avrebbe potuto aggiungere) garantisce un posto in cripta nella veneranda basilica di Sant’Apollinare al boss della Magliana Renatino de Pedis. Anche i funerali di Lucio Dalla furono una fiera dell’ipocrisia: “Vai in chiesa e ti concedono i funerali – commentò Lucia Annunziata – basta che non dici di essere gay”.

Di qua il frate Bernardo Boschi che durante il rito si rivolge affettuosamente al compagno di Dalla, citando la crudele dipartita “…vero Marco?”. Di là il provicario generale della diocesi di Bologna, mons. Gabriele Cavina, pronto a citare senza misericordia Marco Alemanno come “collaboratore” del cantante e a proclamare al momento della comunione : “Chi desidera accostarsi all’eucarestia e si trova in peccato mortale, prima ricorra al sacramento della confessione e faccia penitenza”. Perché – si sa – i sodomiticostituiscono un’offesa agli occhi di Dio.

C’è una Chiesa, che dimentica sempre la parabola del Servo senza pietà, di cui parla l’evangelista Matteo. C’era un padrone, racconta, che stava per vendere un servo debitore, che non gli restituiva diecimila talenti (centomila euro, potremmo dire). Di fronte alle suppliche strazianti del servo, gli condonò tutto. Ma lo stesso servo, appena salvato, gettò in prigione un poveraccio che gli doveva cento denari. Finì, dice il Vangelo, che il buon padrone mise il servo malvagio in mano agli aguzzini.

C’è un peccato che Cristo non perdona mai: la durezza di cuore.