Quali priorità ecumeniche?

Luca Maria Negro
www.riforma.it

Per il teologo valdese Fulvio Ferrario l’attuale contesto ecumenico esige un ripensamento delle priorità: lavorare di più all’unità degli evangelici, confrontarsi sull’etica, aprirsi alle comunità di immigrati

Si conclude oggi, 25 gennaio, la Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani. Abbiamo chiesto un commento sull’attuale situazione ecumenica al pastore Fulvio Ferrario, ordinario di teologia sistematica alla Facoltà valdese di teologia (Roma) e coordinatore della Commissione consultiva per le relazioni ecumeniche (Ccre) delle chiese battiste, metodiste e valdesi.

– Secondo l’agenzia Catholic Culture, pochi giorni fa il nuovo Prefetto della Congregazione vaticana per la dottrina della fede, arcivescovo Gerhard L. Müller, parlando in una libreria romana in occasione della presentazione dell’ultimo libro del papa, avrebbe auspicato la creazione di un «ordinariato luterano», in pratica una specie di diocesi speciale per quei luterani che volessero diventare cattolici pur mantenendo la loro identità di luterani. Che cosa ne pensi?

«In primo luogo rimaniamo colpiti dal fatto che casualmente, certo, questa notizia ci raggiunge nel corso della Spuc, il che può essere considerato con un poco di ironia, ma non senza realismo, come un sintomo dell’attuale situazione ecumenica. La natura della possibilità evocata da queste dichiarazioni rende superfluo un commento. Su questa base naturalmente il dialogo ecumenico certo non si bloccherà ma non potrà contare su particolari slanci di entusiasmo. D’altronde questa proposta è stata subito respinta dal vescovo luterano Friedrich Weber che è capo delegazione della Comunione di chiese protestanti in Europa (Ccpe) all’incontro di dialogo sull’ecclesiologia che si terrà dal 7 al 9 febbraio a Vienna».

– Il presidente della Federazione delle chiese evangeliche della Svizzera (Fces), Gottfried Locher, che è anche stato eletto recentemente membro del Presidium della Ccpe, ha recentemente proposto un nuovo indirizzo, un mutamento di prospettiva in campo ecumenico, sostenendo la necessità di investire più nel dialogo interprotestante che in quello con la chiesa cattolica. Che cosa pensi di questa proposta? Non c’è il rischio di un ripiegamento su se stessi, come osservava il teologo svizzero Pierre Bühler in un articolo ripreso da Riforma (n. 48 del 14 dicembre 2012, p. 4)?

«La diagnosi del presidente della Fces mi appare largamente condivisibile, così come la prognosi, cioè l’esigenza di incrementare e di condurre a risultati visibili e operativi il dialogo ecumenico tra le chiese evangeliche. In questa prospettiva mi sembra particolarmente importante che le chiese della Ccpe tengano presente l’esistenza di un ampio mondo evangelico che va dalle chiese battiste a quelle pentecostali: tutto un settore con il quale in una forma o nell’altra un dialogo deve essere stabilito. Non è detto, poi, che questa attenzione debba essere contrapposta al mantenimento di rapporti significativi con la chiesa cattolica romana e, nella misura del possibile, con le chiese ortodosse. Un protestantesimo più coeso costituisce un contributo al dialogo ecumenico con le altre famiglie ecclesiali, non un ostacolo».

– In che misura la posizione del protestantesimo storico su temi eticamente sensibili (sessualità, fine vita ecc.) rende difficile il cammino ecumenico? Vediamo ad esempio come la chiesa cattolica riesca a influenzare su questi temi (riconoscimento delle coppie omosessuali) la campagna elettorale in Italia. Non si rischia di andare verso un nuovo «ecumenismo» che sui temi etici affratelli, in chiave conservatrice, cattolici, ortodossi e area «evangelicale», tagliando fuori il protestantesimo storico (e i molti cattolici che la pensano diversamente dalle gerarchie)?

«È indubbio che la discussione sui temi cosiddetti eticamente sensibili costituisce in questo momento un fattore problematico. Io ritengo che essa potrebbe anche costituire una notevole opportunità, e precisamente in due direzioni: in primo luogo le difficoltà e anche lo scandalo spesso manifestati da altre chiese dovrebbero indurre (, io credo,) le chiese evangeliche a riflettere sulle motivazioni di fede che sono alla base delle loro scelte. Credo cioè che sia importante, in questa fase, rendere attente le altre chiese al fatto che le nostre decisioni non intendono essere un servile adeguamento alla «mentalità di questo secolo» bensì un tentativo di essere fedeli a quella che ci sembra oggi l’esigenza che ci presenta Gesù. In secondo luogo, ritengo che questa riflessione potrebbe essere presa sul serio nelle sue intenzioni e nel suo svolgimento dalle altre famiglie cristiane. Che cioè dalla fase dell’accusa e dello scandalo si debba passare a quella della riflessione sofferta ma dialogica su quanto il Signore ci chiede».

– La Ccre sta lavorando a un nuovo documento sull’ecumenismo che aggiorni quello varato nel 1997 dal Sinodo valdese-metodista. Il nuovo documento potrebbe essere sottoposto anche all’approvazione dell’Assemblea battista. Quali criteri state seguendo nella sua elaborazione?

«In effetti la Ccre sta lavorando alacremente a questo documento che dovrebbe presentare la posizione e le prospettive delle nostre chiese nell’attuale contesto ecumenico. Esso è caraterizzato, come è noto, dalle difficoltà con Roma delle quali abbiamo appena parlato, ma anche dall’esplosione di nuove forme di presenza evangelica nel nostro paese. In particolare sono per noi decisive le comunità di origine straniera coinvolte nel processo di «Essere chiesa insieme». Risulta evidente che oltre al tradizionale ecumenismo tra le chiese è oggi prioritario un «ecumenismo culturale» che ponga in dialogo storie, mentalità, eredità diverse nel vivere la stessa fede».

– Per molti anni sei stato impegnato nel Comitato della Comunione di chiese protestanti in Europa. Come valuti la recente assemblea Ccpe di Firenze (settembre 2012)? Quali sono a tuo le prospettive futuro, anche in vista del prossimo incontro di dialogo teologico con il Vaticano?

«Occorre distinguere due livelli. In primo luogo c’è il lavoro di quotidiano approfondimento e consolidamento dei risultati raggiunti. In questo ambito collocherei anche la novità del dialogo tra Ccpe e il Pontificio consiglio per l’unità dei cristiani sui temi ecclesiologici, che verrà avviato a Vienna nelle prossimi giorni. Questo lavoro va visto nell’orizzonte del grande progetto della Ccpe, che è quello di raggiungere forme di unità visibile del protestantesimo europeo che consentano alle chiese di essere più presenti, più riconoscibili e più efficaci nei grandi processi di cambiamento del continente più secolarizzato del mondo. In questo quadro mi sembra utile ricordare ancora una volta che, con tutti i suoi limiti, la Ccpe costituisce l’unica forma organizzata di «unità della chiesa» nella diversità delle chiese».