Ritratto di cattolico, la politica e l’arte d’infiltrarsi

Alessandro Baoli
http://cronachelaiche.globalist.it

In prossimità delle elezioni, che stavolta saranno quanto mai importanti, e i temi legati alla laicità e ai diritti civili eleveranno al cubo l’impegno fanatico e il tono delle dichiarazioni dei politici cattolici militanti (detti a volte cattolicisti, ma che qui definiremo cattolici in politica) e delle lobby che li sostengono. Come guastatori, quei cattolici si spargono nei vari schieramenti in corsa, sgomitando per guadagnare spazio, e si affannano a difendere la dottrina ed eseguire gli ordini del clero.

Di laico e liberale nel panorama elettorale odierno c’è rimasto ben poco: i partiti che hanno maggiori probabilità di ritrovarsi al governo presentano contraddizioni e opacità d’intenti a dir poco desolanti. Del Pd conosciamo le divisioni e le paure, nonché l’ostruzionismo dell’ala cattolica interna, che ne bloccano qualunque tentativo di prendere una posizione chiara al di là dei programmi elettorali (che valgono – appunto – solo in campagna elettorale).

A sinistra, Nichi Vendola, che ha sempre rivendicato il suo status di gay cattolico, intervistato da SkyTg24 sul matrimonio e la genitorialità omosessuale tranquillizza l’alleato Bersani (e nel caso servisse, anche Mario Monti): non insisterà troppo sui diritti civili. Della destra nemmeno a parlarne: solo da dire che l’idea di Gianfranco Fini di una destra liberale ed europea è stata affogata (dallo stesso Fini) nel mar clericale di Monti. Di quest’ultimo, infine, c’è ben poco da dire: la parola laicità è completamente assente nell’Agenda della sua Lista civica. Agli elettori ancora indecisi, in ogni caso, è importante ribadire cosa significa cattolico in politica; casomai qualcuno ancora non l’avesse capito.

Un piccolo vademecum per le elezioni, destinato non solo a chi ha a cuore i temi legati alla (mancata) laicità dello Stato, non può che avere un solo ed unico punto: rifuggire i candidati cattolici come la peste. L’aggettivo cattolico, infatti, è per niente neutro: è associabile a una lunga storia di intromissioni nella vita privata delle persone (credenti e non), di oscurantismo verso i diritti civili e libertà individuali che dovrebbero essere garantiti in qualunque società civile e democratica; e di posizioni reazionarie e lobbistiche intransigenti nella vita politica di quei paesi dove i cattolici sono presenti, fossero pure in minoranza. Sinonimi di quell’aggettivo sono: prepotenza, vittimismo, disonestà intellettuale, discriminazione, stolidità ideologica, intolleranza, difesa del privilegio.

Il cattolico in politica crede di essere il proprietario esclusivo del mondo intero; di avere diritto di vita e di morte su chiunque, dimostrando in maniera molto chiara di rimpiangere la teocrazia, al di là delle sue dichiarazioni rassicuranti di elogio della democrazia. Identifica le sue convinzioni e i suoi interessi particolari con quelli di tutti: crede che l’intera società debba necessariamente fondarsi sulla sua ideologia, che non esistano alternative possibili. Crede che istituzioni antichissime (comunque pre esistenti alla nascita della sua ideologia) come il matrimonio e la famiglia, siano invenzioni cattoliche, e di conseguenza ne rivendica il copyright alla sua organizzazione di riferimento.

Come una madre ansiosa e possessiva, il cattolico in politica si danna per tenere il più a lungo possibile l’umanità sotto una campana di vetro: ogni cosa che odora di progresso civile è nemica, perché rischia di contaminare suo il piccolo mondo incantato. Vive totalmente fuori dalla realtà: ad esempio ritiene di poterci persuadere che la sua qualità di cattolico lo metta automaticamente al riparo da corruzione e malaffare; vediamo tutti i giorni, invece (si prendano – per fare solo un esempio – le vicende della cattolicissima giunta regionale lombarda presieduta da Roberto Formigoni), come l’adesione all’ideologia cattolica non è affatto garanzia di onestà e trasparenza.

Le convinzioni che sono alla base delle sue battaglie ideologiche di retroguardia (ad esempio il tentativo di ingabbiare la mutevole natura e le molteplici forme della famiglia, o la lotta contro l’autodeterminazione delle donne e la libertà di scelta alla fine della vita) sono confutate dalla realtà dei fatti, ma egli rifiuta ostinatamente di prenderne atto. Per lui viene prima il dogma e dopo – semmai – l’essere umano. Piuttosto, ricorre quasi sempre al terrorismo semantico e paventa una rovina totale e globale, quando i suoi interessi particolari sono minacciati, o semplicemente quando crede che ciò possa avvenire.

Il cattolico in politica mistifica e distorce l’idea di democrazia, confondendola (per dolo o ignoranza, o per compiacere la Chiesa) ora con la dittatura della maggioranza, ora con la difesa di un inesistente “diritto naturale”, ora con una fraintesa idea di tradizione culturale, che poggia sull’assunto – sballato – che culture e forme di società siano o debbano restare fisse ed immutabili, nei secoli e nei millenni. Comunque sia, si muove sempre con infinita arroganza e prepotenza, come quegli spettatori che vanno ai concerti rock solo per pogare: si piazzano strategicamente in prima fila e, iniziata la musica, prendono a scalciare e sgomitare facendo il vuoto intorno a loro, incuranti del fatto che tutti gli spettatori – non solo loro – hanno pagato il biglietto per partecipare allo spettacolo. O quelli che lasciano sistematicamente la macchina in doppia fila, perché le sue necessità vengono sempre prima di quelle di tutti gli altri.

Il cattolico in politica demonizza la sua controparte, e mente accusandola di volersi comportare esattamente come lui si comporta nella realtà: applica alla lettera e con grande perizia la tecnica vittimistica del chiagni e fotti. Salvo tentare di affogarla nella palude del confronto (la beffa dopo il danno), dopo averla guardata dall’alto in basso con la classica puzzetta cattolica sotto al naso. La controparte del cattolico in politica, per la cronaca, è costituita da chi sogna una società civile ed equa, l’unica possibile, quella dove le libertà individuali sono garantite e tutelate, e dove ciascuno può esprimere il proprio talento liberamente perché tutti hanno le stesse opportunità. Il passo successivo non è già più democrazia, ma qualche altra cosa, che invariabilmente tende – più o meno da vicino – alla dittatura. Non a caso, spesso la Chiesa cattolica ha simpatizzato per le dittature, se esse hanno potuto garantire la difesa della sua ideologia e il guadagno o il mantenimento di svariate forme di privilegio.

Una volta preso il potere, il cattolico in politica immancabilmente mette in pratica tutti questi comportamenti, impone la sua etica, serve la sua ideologia e le lobby che la incarnano, ignorando le esigenze e legittime aspirazioni di una grande massa di cittadini che ha il solo torto di non averlo sostenuto, assecondato ed eventualmente votato; cittadini che aspirano legittimamente ad ottenere per loro uno spazio di libertà che – nonostante le bugie cattoliche – non lede quelle altrui (al contrario della libertà avocata per loro da certi cattolici, che in questo modo distorcono anche il significato delle parole applicando il meccanismo orwelliano per cui una parola significa esattamente il suo contrario). Il cattolico in politica, in effetti, già ora detiene il potere, ma non gli basta: vuole lo strapotere. Ricorre a un raffinato e truffaldino uso del linguaggio, giustificando le proprie azioni con la difesa del “bene comune”, ma alla fine si tradisce goffamente, e chiude ogni discussione sbattendo sul tavolo i “valori non negoziabili”, supremo atto di stolida arroganza. Ecco perché va evitato come la peste.

Attenzione quindi a non sottovalutare tutto questo, per non ritrovarsi ai piedi del pero quando sarà cominciato il nuovo medioevo. Ci smentissero coi fatti, se credono.
Infine una nota: quando si parla di categorie di persone e delle loro qualità, è sempre opportuno non generalizzare e premettere al discorso un’affermazione del tipo: «Tolte le eccezioni». In effetti, è difficile paragonare, ad esempio, Ignazio Marino con Eugenia Roccella o Maurizio Sacconi. Ma in questo caso viene da domandarsi se sia opportuno fare quella premessa, visto che i cattolici meno inclini all’arroganza e prepotenza di stampo ecclesiale (e non solo in politica ma anche nella società) comunque se ne stanno in silenzio (c’è solo una cosa che fa più rabbia: l’indolenza dei laici), e quindi sono complici. Chi tace, dovrebbero sapere, acconsente.