Cattolici e politica: Il “laboratorio” della Sinistra Indipendente

Luca Kocci
Adista Segni Nuovi n.4 2013

L’intuizione fu di Ferruccio Parri, il partigiano “Maurizio”, vicecomandante del Corpo volontari della libertà – la prima struttura di coordinamento generale della Resistenza italiana – e presidente del Consiglio del primo governo di unità nazionale dal giugno al dicembre 1945: «Se riuscissi a portare al Senato un gruppetto di uomini non di partito, fortemente rappresentativi della Resistenza – scriveva ad Alessandro Galante Garrone alla metà degli anni ‘60 –, avremmo fatto un colpo grosso, l’ultima degna ed energica sortita della Resistenza, di effetti politici indubbi» e «di forte ripercussione morale, capace di orientare fuori dai partiti e non ad uso dei partiti, in condizioni di raccordarsi con quel vasto, indistinto, dispersivo, fluttuante movimento dei giovani che a me interessa più che non l’operazione politica».

E il progetto riuscì: nel dicembre 1967 sull’Unità comparve l’Appello per l’unità della sinistra, lanciato da Parri e firmato da intellettuali laici, cattolici non clericali e comunisti eterodossi; poi ci furono i contatti con alcuni «credenti poco disposti a piegar la schiena ad ogni “stormir di fronda” clericale», come Adriano Ossicini, partigiano catto-comunista e fondatore del partito della Sinistra cristiana; infine la decisione del Partito comunista italiano di costituire al Senato un gruppo autonomo, indipendente, senza obblighi di iscrizione e di disciplina di partito, anche «per dare valore dirompente alla “disubbidienza” rispetto all’unità politica dei cattolici nella Democrazia cristiana», come scriveva don Lorenzo Bedeschi, uno dei mediatori dell’operazione, a Giorgio Napolitano, allora giovane dirigente del Pci. Nasce così, mentre soffiava il vento del ’68 e del post Concilio, la Sinistra Indipendente che, subito dopo le elezioni politiche del maggio 1968 (con la Dc al 39,1% e il Pci al 26,9%), si installò nell’ufficio da senatore a vita di Parri, al secondo piano di Palazzo Madama, dove settimanalmente si riuniva anche la redazione della rivista diretta dall’ex partigiano azionista, L’Astrolabio.

Il periodico sarà una delle fucine della Sinistra Indipendente: 9 eletti (a cui si aggregò l’ex sindacalista socialista Delio Bonazzi per arrivare a 10, numero minimo per formare un gruppo parlamentare) fra cui, oltre ad Ossicini, Luigi Anderlini, Franco Antonicelli e i cattolici Gian Mario Albani (ex Acli e Cisl), Ludovico Corrao (Azione cattolica) e l’ex cristiano sociale Sergio Marullo. La storia della Sinistra Indipendente (a cui è intrecciata anche la storia di Adista, soprattutto negli anni ’70 e nei primi anni ’80), dalla sua nascita fino al 1992, quando l’esperienza si concluderà, è ricostruita con rigore documentario e raccontata con passione civile da Giambattista Scirè, ricercatore di Storia contemporanea all’Università di Firenze – già autore di altri saggi storici sugli anni ’70 e sui rapporti fra laici e cattolici –, nel suo ultimo lavoro Gli indipendenti di sinistra. Una storia italiana dal Sessantotto a Tangentopoli (Ediesse, Roma, 2012, pp. 318, 18€).

Un gruppo “eretico” quello degli indipendenti di sinistra, sia nei confronti del Pci che della Chiesa cattolica, con lo sguardo rivolto soprattutto «alla contestazione studentesca, alla protesta operaia, al dissenso cattolico», prima manifestazione «di quella allora sconosciuta società civile», estranea alle burocrazie di partito ma non alla politica, «che intendeva porsi in un ruolo di fiancheggiamento ai partiti della sinistra tradizionale, con l’intento di contribuire all’ammodernamento del Paese». Per esempio sul piano dei diritti civili – con le battaglie per il divorzio e per l’obiezione di coscienza al servizio militare –, ma anche sul terreno della partecipazione, intuendo con grande lungimiranza i rischi di una progressiva separazione fra i cittadini e i partiti – che è cronaca di oggi –, di cui denunciarono con notevole anticipo i costi sempre più alti e le dinamiche di cooptazione e clientelismo che di lì a pochi anni sarebbero sfociate ed esplose in corruzione; tanto che, ricorda Scirè, la «fama di implacabili moralizzatori della politica» avrebbe fatto loro guadagnare i posti chiave di un ipotetico «governo degli onesti» emerso da un’inchiesta e da un sondaggio svolto dall’Espresso nel 1980.
Nel 1976 la storia della Sinistra Indipendente arriva ad una svolta.

Il segretario del Pci, Enrico Berlinguer, anche sull’onda lunga del movimento dei “cattolici per il no” – che avevano dato un contributo fondamentale alla sconfitta del referendum contro il divorzio del 1974 e che quindi si erano distanziati in maniera netta dalla Dc –, sollecita una più decisa apertura ai cattolici: riprende forma la vecchia ipotesi della candidatura di un intero gruppo cattolico nelle liste del Pci, sotto le insegne della Sinistra Indipendente (che allora era formato quasi esclusivamente da personalità del mondo azionista e socialista). Raniero La Valle, ex direttore del quotidiano cattolico L’Avvenire d’Italia ed esponente di punta dei “cattolici per il no”, è il primo interlocutore, ma tutto viene deciso durante una travagliata due giorni alla Badia fiesolana, con p. Balducci a fare da padrone di casa senza però essere ufficialmente coinvolto, al termine della quale – o meglio durante il viaggio di ritorno in treno verso Roma – in sette decidono di accettare la proposta: Mario Gozzini, Raniero La Valle, il giornalista Piero Pratesi, lo storico del cristianesimo Paolo Brezzi, il critico letterario Angelo Romanò, Massimo Toschi (l’unico che non verrà eletto) e il pastore valdese Tullio Vinay.

Arrivano subito le bacchettate dei vescovi (e la scomunica del card. Benelli, arcivescovo di Firenze, grande sconfitto da Wojtyla nel conclave del 1978, che accusa Gozzini di ingratitudine verso la Chiesa e di aver arrecato «grave disorientamento e vero e proprio danno» ai credenti), ma l’operazione va in porto e, con le elezioni del 1976 in cui il Pci raggiunge il suo massimo storico con il 34,4% dei voti, al Senato gli indipendenti di sinistra saranno 18, con una cospicua pattuglia di cattolici. Saranno anni di importanti battaglie parlamentari e sociali, in cui daranno un contributo fondamentale: la legge 194 sull’aborto e il successivo referendum, il nuovo Concordato firmato da Craxi nel 1984 (contro cui venne condotta una dura battaglia da parte degli indipendenti di sinistra), le iniziative contro gli euromissili a Comiso e il nucleare civile, la riforma dell’ordinamento giudiziario (con l’approvazione della legge Gozzini), la nuova legge sull’obiezione di coscienza approvata dal Parlamento ma bocciata dall’allora presidente della Repubblica Cossiga.

Alla fine degli anni ’80 la crisi, per almeno due ordini di motivi: una conflittualità interna al gruppo – che frattanto si era numericamente ampliato – sempre più marcata («erroneamente» presentata dalla stampa, nota Scirè, come scontro fra cattolici e laici, quando in realtà si trattava di «dissidi personali e punti di vista diversi nella ricerca di una strada percorribile per la sinistra italiana» alla vigilia della caduta del Muro di Berlino) e soprattutto il venir meno di quella indipendenza che Berlinguer aveva sempre garantito, ma che i suoi successori alla guida del partito non intendevano più assicurare, vanificando quindi le ragioni fondanti la Sinistra Indipendente. Che con la fine del Pci, diventato Partito democratico della sinistra (Pds) – una scelta a cui buona parte dei cattolici si mostrò contraria: La Valle scrisse una lettera aperta ad Occhetto criticando «il cambio del nome e il cedimento ad una logica occidentale basata sul mercato che contraddiceva tutta la storia della sinistra comunista italiana» –, esaurì la sua storia durata un quarto di secolo.

La Sinistra Indipendente, oltre che un esperimento unico in cui un partito ha messo a disposizione una parte consistente dei suoi seggi per costituire un gruppo autonomo scisso da vincoli di appartenenza ed obbedienza, è stato un originalissimo «laboratorio politico e culturale», in cui hanno convissuto uomini e donne «di formazione e provenienza diversa», «un microcosmo» della società italiana e delle «contraddizioni della sinistra», nota Scirè. Un’esperienza politica di grande valore, il cui patrimonio però appare tanto disperso quanto ancora di grande attualità ed utilità, in ordine alla definizione delle alleanze a sinistra, alla difesa della laicità dello Stato, alla salvaguardia dei diritti civili e umani. Allora «ci si deve interrogare se si possa oggi recuperare, se non proprio quel progetto di alternativa riformista “militante” (parafrasando le parole di Parri), quanto meno alcuni dei metodi da loro proposti, debitamente aggiornati alla completamente mutata realtà sociale, economica e politica».