Pillola giorno dopo, svolta della Chiesa tedesca: «Sì, ma in caso di violenza»

Francesco Peloso
www.cronachelaiche.it

Dalla Germania arriva una decisione shock per la Chiesa tedesca e quella universale: il cardinale Joachim Meisner, arcivescovo di Colonia, ha autorizzato gli ospedali cattolici a prescrivere e somministrare la pillola del giorno dopo a una donna nel caso quest’ultima sia stata vittima di violenza sessuale. «Se dopo una violenza – ha spiegato l’arcivescovo in una nota ufficiale – viene impiegato un preparato il cui principio attivo è l’impedimento di un concepimento con l’intenzione di impedire la fecondazione, questo è a mio avviso giustificabile». Si precisa quindi che si tratta di pillola contraccettiva e non abortiva (per questa seconda resta il divieto), ma poco cambia; anzi, la decisione dal punto di vista dottrinale è clamorosa e per questo in Vaticano sulla vicenda per ora si registra un evidente imbarazzo anche perché l’arcivescovo di Colonia è personalità di primo piano della Chiesa tedesca ed considerato assai vicino a Benedetto XVI. Secondo il porporato «i medici in istituti cattolici sono invitati ad andare incontro senza riserve al bisogno di donne violentate» e ancora, si afferma nella nota, gli stessi medici possono informare le donne sulle pratiche rifiutate dalla dottrina cattolica e però anche sulla loro “accessibilità”. «In ogni caso l’aiuto a donne violentate deve andare ben al di là della discussione su tali questioni».

La questione è tutt’altro che secondaria dal punto di vista della bioetica vaticana. Nel 2008, infatti, il documento della Congregazione per la dottrina della fede dal titolo Dignitas personae, a proposito della pillola del giorno dopo il cui scopo è quello di intercettare l’embrione prima del suo impianto nell’utero materno, affermava: «Ssi deve notare che in colui che vuol impedire l’impianto di un embrione eventualmente concepito, e pertanto chiede o prescrive tali farmaci, l’intenzionalità abortiva è generalmente presente». Ancora più deciso nel 2009, l’intervento dell’allora vicepresidente della Pontificia accademia per la vita, monsignor Jean Laffitte che, sull’Osservatore romano, precisava gli aspetti della questione relativi allo stupro: «Se da una parte la donna vittima di una terribile aggressione alla sua dignità ha il diritto di difendersi, anche attraverso l’uso di mezzi che potrebbero impedire l’ovulazione e la fecondazione, occorre d’altra parte ribadire che va difeso anche il diritto alla vita dell’essere umano eventualmente già concepito». Quindi «se ci fosse una qualche incertezza al riguardo, non sarebbe lecito utilizzare mezzi che potrebbero avere un effetto anche abortivo«. E poi confermava: «La persona che chiede una contraccezione di emergenza lo fa perché ha avuto un rapporto sessuale che sa essere potenzialmente fecondo e desidera che questa eventuale gravidanza venga interrotta». Di conseguenza «la sua intenzione non è solo contraccettiva: ha anche un’intenzione abortiva». Già nel 2000, del resto, lo stesso dicastero vaticano si era pronunciato sulla pillola del giorno dopo decretandone «l’illeicità assoluta». Se questa era la dottrina, l’arcivescovo Meisner l’ha messa in discussione sia pure a partire da un caso limite.

In realtà la decisione presa dal cardinale è frutto – ancora una volta – di uno scandalo realmente accaduto che ha suscitato l’indignazione dell’opinione pubblica tedesca. E’ infatti venuta alla luce la vicenda di una giovane di 25 anni, drogata e violentata il 15 dicembre scorso, che si è poi rivolta a due strutture sanitarie cattoliche chiedendo aiuto. I due ospedali hanno rifiutato di prestare assistenza alla ragazza in quanto nel caso di stupro si deve far ricorso alla pillola del giorno dopo, farmaco vietato dalla dottrina della Chiesa. La storia è diventata di pubblico dominio e ha visto finire sul banco degli accusati le congregazioni religiose e l’episcopato. D’altro canto i responsabili sanitari non avrebbero aiutato la ragazza per non violare le regola vigente negli ospedali cattolici relativa al rispetto della ‘dottrina’ della Chiesa, norma contenuta nello stesso contratto di lavoro e la cui violazione implicherebbe il licenziamento. Insomma sia il giuramento d’Ippocrate che lo stesso principio della carità cristiana, veniva sottolineato dall’opinione pubblica tedesca, lasciavano il passo alle rigide norme stabilite dalla Santa Sede e quindi dai vescovi in materia sanitaria.

Si tratta di un caso per molti versi simile a quello recentissimo che ha fatto scalpore in Irlanda. Qui una donna la cui gravidanza metteva in grave pericolo la sua stessa vita, si è vista rifiutare in ospedale ogni tipo di intervento in quanto – hanno detto i medici – la dottrina della Chiesa è contraria all’aborto. La donna è poi morta per il mancato aborto e la vicenda ha avuto ovviamente un forte impatto sul dibattito pubblico. Da rilevare che Meisner – alla guida delle diocesi tedesca dal 1988 – è figura di primo piano della Chiesa tedesca ascrivibile pienamente al partito ratzingeriano e al fronte conservatore. Nel 2011 parlò dell’aborto come di un pericolo più incombente per l’umanità di un disastro nucleare; nel 2008 in un libro-intervista dichiarò di aver contribuito a convincere Ratzinger, nei giorni fatidici del conclave, a diventare Papa. Del resto l’arcivescovo di Colonia è uno dei non molti amici che Benedetto XVI può vantare nell’episcopato tedesco. Va infine ricordato che il caso della ragazza stuprata segue le nuove polemiche che hanno scosso la Chiesa tedesca criticata dai media in relazione al tema degli abusi sessuali e alla presunta scarsa volontà di fare chiarezza fino in fondo al suo interno.

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Germania, l’interesse pubblico si scontra con la morale cattolica

Frank Hornig, Barbara Schmid, Fidelius Schmid, Peter Wensierski
Articolo originale su Der Spiegel, traduzione di Belinda Malaspina

L’origine della congregazione delle sorelle Cellitine (ramo femminile dei fratelli Celliti o Alessiani di Aquisgrana) e della loro attività nel campo della salute risale alla Colonia del tredicesimo secolo, quando le suore erano dedite alla «cura dei malati, dei deboli e dei poveri». La loro originaria missione si è espansa in una corporazione che include 16 case di cura e 10 ospedali. Il problema è che ultimamente è stato proprio il concetto di “cura” a mancare da quelle parti. Non volendo avere niente a che fare con la possibilità di interrompere la gravidanza prima del suo termine, i medici che prestano servizio per le Cellitine si sono rifiutati di accogliere una donna in disperato bisogno d’aiuto poco prima del Natale scorso, nonostante il forte sospetto che la donna fosse stata stuprata. La scorsa settimana, quando l’accaduto è balzato agli onori della cronaca, la congregazione ha minimizzato, definendo il fatto «un triste malinteso».

Il rifiuto di soccorrere le vittime di stupro può dirsi assai difficilmente «un malinteso». Lo scorso 10 gennaio Sylvia Klauser, la responsabile delle questioni morali dell’ordine, illustrò a un medico d’emergenza le procedure dell’ospedale per trattare le vittime di stupro. Le osservazioni che il dottore ha fatto riguardo il colloquio rivelano un aspetto sorprendente della politica di accoglienza della congregazione: nella misura in cui le pazienti stuprate sono «lucide e in grado di essere trasferite», esse devono essere spostate verso «strutture cittadine». Lo scopo di tale politica è quello di assicurarsi che le suore e i loro medici non si trovino faccia a faccia con la possibilità dell’aborto.

Il caso rivela quanto la Chiesa cattolica sia ormai distante dalla società tedesca, specialmente – ma non solo – nel campo della sessualità. Le strutture cattoliche vanno man mano chiudendosi, comportandosi spesso come se fossero una sorta di Stato dentro lo Stato, un microcosmo soggetto alle sue regole interne che vengono monitorate dal papa e dai vescovi, e un mondo nel quale le autorità statali, federali e locali hanno ben poco da dire. Ogni anno le diocesi cattoliche ricavano miliardi dalle tasse obbligatorie pagate dai membri delle chiese. Ma se succedono scandali, ad esempio quando l’abuso sessuale è sistematicamente coperto e rimane non investigato per interi anni, allora i cittadini contano poco e non resta loro che sperimentare con quanta veemenza la Chiesa difenda i suoi privilegi.

Il processo di allontanamento è ormai avviato, e sarebbe un errore vederlo semplicemente come un problema dei frequentatori delle parrocchie tedesche, rimasti ormai in pochi. In realtà la circostanza coinvolge milioni di persone in Germania. La Chiesa è coinvolta in molte aree della società, tra cui asili infantili, scuole, ospedali e case di cura. Dopo il Governo, la Chiesa è il secondo più grande datore d’impiego nel Paese. Detta legge nello stile di vita dei suoi dottori, educatori, insegnanti e persino degli impiegati delle imprese di pulizie. Determina come i bambini debbano essere allevati. E decide, sulla base della sua propria autorità, in quali casi i pazienti degli ospedali debbano essere accolti e in quali casi respinti. «Lo scandaloso incidente di Colonia contraddice la missione sociale cristiana», commenta Sylvia Löhrmann, deputata e ministro dell’istruzione della regione della Renania Settentrionale-Vestfalia. Il partito dei Verdi è membro del Comitato centrale dei cattolici tedeschi, che rappresenta i laici in seno alla Chiesa cattolica tedesca, e al quale la deputata vuole appellarsi per l’accaduto. «Non fornire aiuto a una donna vittima di violenza sessuale è una violazione dei diritti umani. Così facendo, la Chiesa colpisce se stessa prima che tutti gli altri», aggiunge la Löhrmann.

La cosiddetta pillola del giorno dopo, farmaco che può essere somministrato alle vittime di stupro per prevenire una eventuale gravidanza, è al centro della disputa. Il 15 dicembre scorso, una donna di 25 anni si era rivolta a un ambulatorio nei dintorni di Colonia, affermando di essere stata stuprata. La dottoressa in servizio, Irmgard Maiworm, notificò l’accaduto alla polizia e prescrisse il contraccettivo d’emergenza. La dottoressa informò poi il vicino ospedale di San Vincenzo, gestito dalle Cellitine, che avrebbe trasferito la paziente presso quella struttura per la verifica dell’evidenza di stupro. Ma la controparte cattolica si rifiutò di accogliere la paziente. Anche l’Ospedale del Santo Spirito, ugualmente gestito dalle suore, non volle accogliere la donna. «Non potevo crederci», ricorda la dottoressa Maiworm. La riluttanza dei medici cattolici è conforme alla linea di Joachim Meisner, l’arcivescovo ultraortodosso di Colonia. «Le vittime di stupro vengono trasferite in altre strutture», dichiara il portavoce del vescovo, «quando l’intenzione di assumere la pillola del giorno dopo è evidente».

Forti le proteste delle organizzazioni per i diritti delle vittime. «Il rifiuto di somministrare la pillola del giorno dopo alle donne che sono state stuprate costituisce una mancanza di assistenza del tutto ingiustificabile da parte di chi professa valori biblici e cristiani», afferma Annegret Laakmann dell’associazione nazionale Frauenwürde. «Con questa posizione, la Chiesa ufficiale discrimina ancora una volta le donne vittime di stupro». Anche Annette Diehl di Frauennotruf, telefono di emergenza per le donne, auspica un cambiamento nelle politiche della Chiesa. «Una donna che ha subito violenza sessuale ha un comprensibile bisogno di assistenza. Non può semplicemente essere messa alla porta per motivi religiosi, nel mezzo del trattamento o del colloquio».

Le organizzazioni cattoliche gestiscono qualcosa come 420 ospedali in tutta la Germania. Nei contratti di assunzione, ai loro 165 mila dipendenti è solitamente imposto di condividere le linee guida dei vescovi e delle altre autorità religiose. In molte aree del Paese, la Chiesa cattolica esercita una grande influenza sul sociale. La Chiesa monopolizza intere aree rurali nelle quali gestisce praticamente tutte le strutture, dagli asili nido fino alle case di riposo passando per gli ospedali. Ciò complica la situazione dei dipendenti. Dal momento che spesso medici, educatori e infermieri non hanno alternative al lavoro per le organizzazioni cattoliche, si trovano in pratica obbligati ad accondiscendere alle linee guida.

Paradossalmente, sebbene il numero dei cattolici praticanti sia diminuito nel corso degli anni, l’influenza dei vescovi è in crescita. Nel 1950, esclusi i membri degli ordini religiosi, le chiese cattolica e protestante in Germania avevano 130 mila dipendenti, un numero che è schizzato al milione di impiegati attuali. Ma c’è di più: la Germania ha pian piano affidato alle chiese gran parte del suo welfare sociale. Ciò è il risultato di una filosofia che incoraggia le organizzazioni private ad acquisire funzioni pubbliche, ad esempio i servizi municipali svolti mediante appalti o gli ospedali e le scuole gestite dalla Chiesa. Ma una tale politica ha ignorato il fatto che tanto i manager delle imprese quanto le autorità ecclesiastiche perseguono i loro obiettivi privati anziché l’interesse pubblico. «Nel delegare le proprie responsabilità alla Chiesa, il Governo accetta così regole particolari che oggigiorno hanno i loro limiti», scrive Eva Müller nel suo recente Gott hat hohe Nebenkosten.

Le conseguenze sono spesso severe per i dipendenti della Chiesa. Ad esempio, un impiegato che ottiene il divorzio può perdere il posto. E non devi essere omosessuale per venire licenziato: certe volte basta esprimere un punto di vista solidale verso i gay. Le coppie che tentano l’inseminazione assistita non hanno spazio tra i dipendenti della Chiesa.

I tribunali hanno più volte sostenuto lo speciale status degli ordini religiosi. Ma i privilegi di cui gode la Chiesa devono proprio non avere limiti? Secondo il credo cattolico, il catalogo dei vizi non include solo la fornicazione e altri peccati carnali, ma anche l’invidia, la rabbia, l’ubriachezza, la ghiottoneria. A non voler essere contraddittoria, la Chiesa dovrebbe punire anche questo genere di vizi.
Tra il 90 e il 100 per cento dei finanziamenti destinati alle attività sociali della Chiesa proviene dallo Stato. Tuttavia, politici e semplici cittadini sembrano non lottare spesso contro tale circostanza. Le cose sono cambiate a Königswinter, una cittadina nei pressi di Bonn, dove la direttrice di un asilo cattolico era stata licenziata dopo aver divorziato. I genitori hanno protestato finché la donna è stata reinserita nel posto di lavoro. In quel caso, la Chiesa cattolica è stata sollevata dall’incarico di gestione dell’asilo. Anche gli ospedali della Renania Settentrionale-Vestfalia, la regione di Bonn, potrebbero cominciare a reagire in questo modo. «Se ci fosse un rifiuto di curare una donna vittima di stupro» afferma Barbara Steffens, ministro della salute della regione, «sarebbe una violazione bella e buona del dovere dell’ospedale di fornire assistenza». In casi estremi, la politica dei Verdi paventa l’eliminazione di interi servizi dal piano ospedaliero. E ciò colpirebbe le chiese laddove sono più vulnerabili: nel portafogli.