“Dimissioni”: un terremoto che ci deve interessare

Roberto Davide Papini
www.vociprotestanti.it

«Contrordine compagni! La frase pubblicata sull’Unità: “Nell’ora della tempesta è necessario avere l’ammirevole salma del compagno Togliatti”, contiene un errore di stampa, e pertanto va letta: “…è necessario avere l’ammirevole calma del compagno Togliatti”» (dal “Candido” del 25 aprile 1948).

I fratelli e le sorelle cattolici non se la prendano, ma certe reazioni ufficiali alle “dimissioni” (ok, non è il termine esatto, ma così ci capiamo meglio) di Benedetto XVI ricordano un po’ quelle che i “trinariciuti” personaggi di Giovanni Guareschi avevano di fronte alle direttive del partito comunista. Dopo aver esaltato per anni le non dimissioni di Giovanni Paolo II, nonostante una lunga e grave infermità (e l’oggettiva incapacità di svolgere il proprio ruolo), adesso tutti a dire, invece, che Benedetto XVI ha fatto bene, che è stato coraggioso ed è giusto così e che se uno non ce la fa più è bellissimo che lo ammetta.

A livello ufficiale, purtroppo, tra alti prelati, giornalisti, politici e via dicendo, nel mondo cattolico e tra gli “atei devoti” siamo ancora al “contrordine compagni” (o forse “fratelli e sorelle”) con acritica adesione a qualsiasi cosa faccia e dica il Papa, anche se oggi smentisce quanto detto ieri. Dietro le prese di posizioni ufficiali e a livello delle persone “normali”, dei fedeli cattolici, il discorso è molto diverso e la vicenda viene affrontata con più maturità.

Certo, non mancano i “trinariciuti” (questa categoria, purtroppo, c’è un po’ dappertutto), ma in maggioranza emergono posizioni più problematiche, spesso tormentate. In tanti si interrogano su questo gesto e, magari, rivedono criticamente quello che avevano pensato del caso di Giovanni Paolo II, altri danno il loro appoggio al gesto umano e sofferto di Joseph Ratzinger in nome dell’amore per la chiesa, altri ancora si dichiarano delusi dalle “dimissioni” e altri sospendono il giudizio, cercando di capire meglio.

Per una parte notevole del mondo cattolico sono giorni anche di speranza in una riforma della chiesa romana, anche se colpisce il fatto che questa potrebbe partire non dall’azione dei contestatori “riformisti”, ma proprio dal vertice contestato e, forse, in risposta a spinte conservatrici. Soprattutto in Italia, va detto, i cattolici del dissenso avranno di che riflettere su una strategia che ha posto al centro della contestazione (piuttosto blanda, in verità) per lo più le posizioni etico/politiche del Vaticano, senza mettere realmente in discussione il nodo centrale, il problema a monte, ovvero il vincolo di obbedienza verso la gerarchia e il magistero. Diversamente, va detto, di quanto accaduto in Austria con la “pfarrer initiative” (l’iniziativa dei parroci) e il suo esplicito “appello alla disobbedienza”.

Tornando alle “dimissioni”, quanto interessano noi protestanti? Ora, a parte alcune posizioni snobistiche, la cosa ci interessa e molto, come confermano i tanti commenti ufficiali e personali che circolano in questi giorni. Non c’è dubbio, infatti, che il disorientamento del mondo cattolico di fronte a questo gesto di Benedetto XVI stia a indicare che difficilmente questo sarà un gesto senza conseguenze nella chiesa cattolica romana e, quindi, nella cristianità tutta. Infatti, se noi evangelici non abbiamo bisogno del Papa (come ha giustamente e lucidamente argomentato Peter Ciaccio nel suo articolo su Voci Protestanti) sarebbe sbagliato guardare all’evento come a un problema interno di un ente a noi estraneo. Pur con tutte le differenze che sappiamo, siamo fratelli e sorelle nella fede e al di là delle varie denominazioni siamo parte dell’unica Chiesa di Gesù Cristo.

Ecco perché questo terremoto in ambito cattolico ci deve interessare e lo dobbiamo guardare con rispetto fraterno e con ecumenica franchezza. E, a prescindere dalle motivazioni (condizioni di salute, scandali, veleni curiali o altro) la rinuncia di Benedetto XVI apre prospettive molto interessanti sulla dottrina del “vicario di Cristo” (inevitabilmente messa in discussione), sulle prerogative papali, sul governo della chiesa cattolica romana (che potrebbe evolversi in senso più collegiale) e, di conseguenza, anche sul rapporto con il mondo protestante. Faremmo bene a seguire da vicino questo processo e, magari, ad incoraggiarlo verso una “riforma” che possa avvicinare ancora di più le varie componenti del mondo cristiano, per impegnarci insieme nel compito centrale della Chiesa di Gesù Cristo: annunciare l’evangelo. E un’evangelizzazione ecumenica è certo più efficace di quella fatta in ordine sparso.