Ior, blitz di Bertone sulle casse di Pietro

Luca Kocci
il manifesto 15 febbraio 2013

La patata bollente dello Ior agita, più di ogni altra cosa, gli ultimi giorni del pontificato di Benedetto XVI. Il papa può anche tuonare contro gli «individualismi», le «rivalità» e gli «interessi personali» che albergano nei sacri palazzi – come ha fatto nel mercoledì delle ceneri –, poi però si finisce sempre lì, cioè a dover decidere, in tutta fretta, chi sarà il nuovo presidente della banca vaticana, priva di una guida dal maggio del 2012, quando Ettore Gotti Tedeschi venne allontanato in maniera piuttosto brusca.

Sembrava, e forse appariva logico, che la partita venisse rinviata al nuovo pontefice, visto il peso della nomina e considerato che, avendo atteso 8 mesi, ne poteva trascorrere anche un altro. Invece negli ultimi giorni si è diffusa in maniera sempre più insistente la voce che il nuovo presidente sarebbe stato nominato prima del 28 febbraio, giorno del definitivo addio di Ratzinger e dell’azzeramento di tutte le cariche in Curia. La prima a far filtrare la notizia è stata la segreteria di Stato, ovvero il cardinal Bertone, particolarmente interessato alla nomina, a margine dell’incontro fra Santa sede e governo italiano per l’anniversario dei Patti lateranensi. Poi è arrivata la conferma ufficiosa di padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa vaticana: «È possibile che nei prossimi giorni ci sarà la nomina del presidente dello Ior. Era un processo avviato da molto tempo e non vedo perché debba essere interrotto se il papa ha annunciato le sue dimissioni».

Ieri sono circolati anche dei nomi: il Corriere della Sera ha parlato di un «banchiere belga», che poi le agenzie hanno individuato in Bernard De Corte. Subito però è arrivata la smentita di padre Lombardi: «Non mi risulta, non confermo. La decisione è imminente, ma non è una gara al primo che indovina». Nei prossimi giorni, quindi, la nomina dovrebbe effettivamente arrivare.

Una urgenza di difficile interpretazione. Una delle spiegazioni plausibili pare risiedere nel ruolo di Bertone che, in qualità di presidente della Commissione cardinalizia di vigilanza, ha di fatto potere di nomina. E siccome anche Bertone il 28 febbraio decadrà dall’incarico, questa potrebbe essere la sua ultima opportunità per piazzare allo Ior – a cui è stato sempre particolarmente interessato fin da quando è stato nominato segretario di Stato – un uomo di sua fiducia. La conferma si avrà quando, nei prossimi giorni, verrà rinnovata anche la Commissione cardinalizia: se al posto di Attilio Nicora – uno degli “avversari” di Bertone nella gestione della finanza vaticana – subentrerà il presidente dell’Apsa (Amministrazione del patrimonio della sede apostolica), il bertoniano Domenico Calcagno, il segretario di Stato avrà segnato una doppietta pochi minuti prima di essere sostituito e di uscire dal campo.

Ieri è stata anche la seconda uscita pubblica del papa dimissionario, che ha incontrato in Vaticano i parroci romani. Ha parlato del Concilio ribadendo, seppure con meno rigidità del solito, la sua interpretazione di un evento non di rottura ma di rinnovamento nella continuità. L’idea del Concilio come “rivoluzione” appartiene ai media, non alla realtà: «Mentre il Concilio dei padri si realizzava all’interno della fede», quello dei mezzi di informazione è stato comunicato attraverso «un’ermeneutica politica», che vedeva «una lotta di potere tra diverse correnti nella Chiesa». Ma la forza reale del Concilio, ha aggiunto, «sempre più si realizza e diventa la vera forza che poi è anche vera riforma». Nella continuità della tradizione però.

«Anche se ora mi ritiro, sono sempre vicino in preghiera a tutti voi, e voi sarete vicini a me anche se rimango nascosto per il mondo», ha detto il pontefice salutando i parroci. Tuttavia un punto di contatto con il mondo più tangibile della preghiera ci sarà. Padre Lombardi ha infatti confermato che mons. Georg Gaenswein, attuale segretario del papa, resterà accanto a Ratzinger anche dopo le dimissioni e conserverà l’incarico – assegnatogli due mesi fa dallo stesso papa tedesco – di prefetto della casa pontificia, ovvero responsabile di tutti coloro che svolgono un servizio diretto alla persona del papa. Un ruolo quindi che lo farà stare a stretto contatto con il nuovo pontefice. E contemporaneamente anche con il vecchio.

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Lo IOR non è una banca

Dario Morelli
http://www.huffingtonpost.it/ 15 febbraio 2013

L’Istituto per le Opere di Religione (IOR) – che non è una banca, come tengono sempre a precisare in Vaticano – nasce in piena guerra mondiale, il 27 giugno 1942, con lo scopo di custodire e amministrare i fondi destinati alle opere di carità senza dover dipendere dalle banche nazionali, all’epoca in guerra come i rispettivi Stati.

Sin dalla sua fondazione, le istituzioni italiane non hanno mai avuto giurisdizione sullo IOR. Il giornalista Philip Willan, autore de “L’Italia dei poteri occulti”, spiega come le attività dello IOR fossero

controllate simbolicamente da una commissione di cinque cardinali. Questa si riuniva raramente, e in quei pochi casi ai cardinali veniva distribuito un breve rapporto delle attività della banca, che non erano autorizzati a portar via dalle mura vaticane. Queste restrizioni venivano solitamente ricompensate con un assegno equivalente a cinquemila dollari consegnato in una busta direttamente allegata al rapporto dello IOR, con su scritto: «Per le opere a fin di bene di Sua Eminenza».

Sono sempre stati pochi i laici a cui è concesso di aprire un conto personale, seppure a condizione che una parte del deposito fosse messa a disposizione della Chiesa per opere di bene.

Prima che la Chiesa si impegnasse, negli anni ’80, a rispettare le norme fiscali italiane nei suoi rapporti coi clienti italiani, a un privilegiato correntista italiano dello IOR bastava attraversare la Porta di Sant’Anna a Roma per depositare qualsiasi somma in contanti su una banca off-shore, senza dover dichiarare nulla al fisco italiano.

Gli anni ’80 conobbero anche la grande ribalta internazionale dello IOR in occasione dello scandalo del fallimento del Banco Ambrosiano: gli amministratori dell’Istituto per le opere di religione, indagati per “avere esercitato l’attività bancaria in Italia al di fuori (e contro) le disposizioni normative e regolamentari che la disciplinano” (cit.), non sono stati processati in Italia perché le attività dello IOR sono state ritenute coperte da immunità extrafunzionale assoluta ex art. 11 del Trattato Lateranense.

Da notare che in quell’occasione si giunse però a un “accordo, per larga parte coperto dal segreto di stato, tra Italia e Santa Sede, a seguito del quale la banca vaticana, pur senza giungere al formale riconoscimento di sue responsabilità, ha versato allo Stato italiano la somma di 406 milioni di dollari”.

Con l’ingresso della Città del Vaticano nell’euro si è creata una situazione totalmente inedita: l’indipendenza della Santa Sede come organo sovrano dello Stato vaticano ha conosciuto per la prima volta delle limitazioni in ambito monetario, dovendosi rapportare con l’Unione Europea su un tema così delicato. Lo sviluppo di questi rapporti è probabilmente la questione centrale dell’odierna agenda dello IOR.

Un fatto però è certo: a prescindere dalla realtà dello IOR, il posto occupato da questo istituto nell’immaginario collettivo forgiato dalla rappresentazione mediatica è estremamente tetro. Nell’immaginario collettivo lo IOR è assimilabile alla Spectre, un luogo oscuro di maneggi e intrighi inconfessabili, in cui il mistero della Chiesa trasmuta in un mistero gotico alla Bram Stoker.

L’omicidio di Calvi, la figura di Marcinkus, i più recenti scandali denunciati da Nuzzi nel suo “Vaticano S.p.a.” e l’atteggiamento comunicativo spesso errato della Chiesa hanno costruito negli anni un’immagine da incubo di quello che nasceva come un ente di carità.

L’ingresso così prepotente dello IOR nella discussione sulle dimissioni di papa Benedetto XVI e sul prossimo conclave è – da un punto di vista mediatico – come una secchiata d’inchiostro in una vasca da bagno: tinge improvvisamente di nero, a un livello irrazionale ed emotivo, il quadro generale.

Perché Ratzinger abbia voluto agire così e con questa tempistica non è ancora chiaro, e probabilmente risulterà più comprensibile solo col trascorre del tempo.