Patti lateranensi: dalla teocrazia politica a quella ideologica

Enrico Galavotti
www.cronachelaiche.it

La “teocrazia” non è solo un concetto politico (il governo del clero), ma anche un concetto filosofico (qualunque governo in cui dio non possa essere escluso). La teocrazia s’è formata sin dalle prime società schiaviste e da allora non ha mai cessato d’esistere, proprio perché hanno continuato a riprodursi, in forme e modi diversi, i rapporti sociali basati sull’antagonismo di ceto, di classe, di casta. In maniera “diretta”, come governo del clero (del papato in particolare), in Italia è esistita – dicono gli storici – dalla Donazione di Sutri del 729 alla Breccia di Porta Pia, che vi pose fine nel 1870, salvo ripristinarla, questa volta in forma “indiretta”, dapprima con la Legge delle Guarentigie, del 1871, con cui si assicuravano alla Chiesa romana privilegi intollerabili in uno Stato laico, e successivamente col Concordato del 1929, con cui lo Stato fascista tradì definitivamente e vergognosamente l’ispirazione laica dell’unificazione nazionale, sconfessando tutte le idee che, in merito, avevano avuto le correnti politiche che si rifacevano al repubblicanesimo, al liberalismo e al socialismo.

Ancora oggi, in virtù di quel Concordato (parzialmente revisionato dal governo Craxi), recepito nell’articolo 7 della nostra Costituzione, ci troviamo ad avere i crocifissi nelle istituzioni pubbliche, il “ruolo” per gli insegnanti di religione, i finanziamenti statali alle scuole private e così via. Quale paese potrebbe mai dirsi “laico” con un articolo costituzionale che pone tra lo Stato e una particolare confessione un rapporto privilegiato? Dunque se, da un lato la Chiesa romana ha dovuto rinunciare, con la forza delle armi, al proprio “Stato” nella parte centrale della penisola, accontentandosi di una porzione di mezzo chilometro quadrato, avente circa mille abitanti, con cui pur esercita un potere enorme, assolutamente sproporzionato rispetto alla propria entità, dall’altro gli Stati (e più che mai il nostro) continuano a legiferare rispettando tutti i principi di questa confessione. Al massimo le differenze stanno tra Paesi a orientamento cattolico e quelli a orientamento protestante. Sicché ancora oggi tutti gli Stati borghesi occidentali (o capitalistici) restano “confessionali”, anche se formalmente si dicono “laici e democratici”. Esattamente come lo erano gli Stati Sumero, Babilonese, Egizio, Greco, Romano, il cui confessionalismo politeistico impediva l’ateismo e persino il monoteismo, essendo visto, quest’ultimo, come una variante ateistica. Naturalmente anche gli Stati capitalistici a orientamento islamico sono “confessionali”, ma almeno essi si risparmiano l’ipocrisia di dichiararsi formalmente o giuridicamente “laici”.

Ancora oggi presidenti americani (di una nazione che viene detta la più aperta al pluralismo religioso) giurano sulla Bibbia quando vengono eletti, chiedono la protezione divina quando entrano in guerra e fanno stampare banconote con la scritta In God we trust. Gli unici due momenti in cui abbiamo avuto una certa separazione tra Chiesa e Stato sono state le rivoluzioni francese e russa, che però han fatto dell’ateismo una nuova religione, suscitando opposizioni ancora più forti di quando c’era lo Stato confessionale. Questo insomma per dire che la teocrazia esiste, come principio di vita, da quando sono nate le civiltà basate sui conflitti di classe e non è ancora finita. Che poi questa teocrazia sia stata un governo “diretto” del clero o “indiretto” degli Stati politici, e che l’oggetto in cui credere sia stato un unico dio o molti dèi, non cambia molto la sostanza delle cose. Non possiamo illuderci che, siccome non esiste più uno “Stato della Chiesa”, come ai tempi di Bonifacio VIII, lo Stato è finalmente diventato “laico”. Anzi, persino la nozione di “Stato laico” è, in parte, un controsenso, in quanto fino a quando vedremo la presenza degli “Stati” tout-court, dovremo anche supporre che esistano società in cui dominano rapporti fortemente conflittuali. In situazioni del genere gli Stati possono sempre usare la religione per regolamentare detti conflitti. Si può persino usare un’ideologia “laica” come se fosse una religione. Non l’hanno forse fatto tutti i dittatori che si richiamavano alle idee del socialismo?

Un uso strumentale della religione rende automaticamente “confessionale” qualunque Stato. Oggi anzi dovremmo dire che lo diventa anche quello che usa in maniera “religiosa” la propria laicità, come quando per esempio i governi francesi dicono che nelle loro scuole non vogliono vedere negli studenti dei simboli di appartenenza specifica alla loro propria religione. La teocrazia finirà soltanto quando i rapporti umani non avranno motivi oggettivi per vivere in maniera antagonistica, e di questi motivi il primo resta senza dubbio quello della proprietà privata dei fondamentali mezzi di sussistenza. La libertà di coscienza sarà davvero autentica quando sul piano pratico s’imporra la gestione collettiva delle risorse di un determinato territorio, senza condizionamenti esterni impropri. Solo allora “dio” diverrà davvero una questione di “coscienza” e non di “governo”. E non basterà semplicemente smettere di pronunciare il suo nome o vederlo trasformato in mille modi diversi per sentirsi davvero liberi, proprio perché, volendo, anche un cosiddetto “governo democratico”, oggi, potrebbe acconsentire a questo desiderio. Occorrerà che tale rinuncia nasca da una convinzione interiore, non condizionata dai poteri forti di uno Stato che vuole dominare la società.