Non diciamo eresie di A.Esposito

Alessandro Esposito – pastore valdese
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La notizia, in verità, risale al marzo di due anni fa: ma si sa che, qui in Italia, una velata forma di censura mediatica ritarda la diffusione di determinati provvedimenti. Quello in oggetto è relativo al libro della teologa Elizabeth Johnson In cerca del Dio vivente (edito in lingua inglese nel 2007 con il titolo: Quest for the Lliving God), finalmente dato alle stampe anche in lingua italiana[1].

Contro le tesi ivi esposte dall’autrice con il consueto rigore argomentativo, l’irreprensibile Commissione Dottrinale dell’episcopato cattolico statunitense, presieduta dal cardinale Donald Wuerl, non ha tardato a scagliare i suoi strali.

Inutile dire che le argomentazioni fornite dalla Commissione, in numero di sette, non sono passibili di replica, poiché non prevedono in alcun modo la possibilità di un contraddittorio o di un sereno confronto con l’autrice: le tesi di quest’ultima, infatti, non sono oggetto di discussione, ma di condanna, dacché, veniamo informati, esse si troverebbero «in disaccordo con l’autentico insegnamento cattolico su punti essenziali».

Nonostante non siano state rese note le circostanze che hanno dato luogo all’indagine avviata dalla Commissione nei confronti del suo testo, la Johnson ha ugualmente deciso di replicare alla medesima in data 6 giugno 2011, sostenendo che i contenuti della sua opera erano stati fraintesi poiché letti fuori contesto e, dunque, non considerati nella loro completezza. Alle parole della Johnson la Commissione Dottrinale ha risposto in data 11 ottobre 2011, affermando che questa sua ultima replica, anziché dissipare i dubbi circa l’ortodossia delle tesi sostenute dall’autrice, non ha fatto che legittimarli. Motivazione principale di quella che, inevitabilmente, non può che suonare come una sentenza inappellabile, il reciso rifiuto da parte della Johnson di riconoscere la fede in Cristo quale unica via di salvezza per tutte le donne e tutti gli uomini.

Quest’ultima convinzione è sostenuta in maniera perentoria dall’allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede e novello pontefice dimissionario Joseph Ratzinger nella Dominus Jesus del 6 agosto 2000, non a caso definita «Dichiarazione circa l’unicità e l’universalità salvifica di Gesù Cristo e della Chiesa». L’indeclinabilità di una pretesa verità oggettiva, dogmaticamente codificata, ha costituito la prerogativa della teologia ratzingeriana, che della tanto decantata umiltà del papa tedesco non reca alcuna traccia. Letteralmente prese di mira, sotto il suo ventennato da irreprensibile censore dell’eterodossia, sono state tutte le elaborazioni più originali ed acute della riflessione teologica contemporanea: una di esse, sostanzialmente sconosciuta nel panorama culturale italiano, è la teologia femminista, di cui la Johnson è una delle esponenti più feconde e stimate. Ma le deviazioni dal pensiero unico ed omologante della teologia reazionaria, nell’arco di quest’ultimo trentennio oscurantista, non sono state ammesse e, men che meno, analizzate e discusse: il diktat è stato e continua ad essere quello dell’estromissione radicale e intollerante, propria di tutti quei pensieri (sempre che così li si possa definire) che propugnano un’accezione della verità rigida e monolitica, che ignora ogni forma di raffronto e di interlocuzione.

Men che meno, in questo quadro avvilente, può essere contemplato il dialogo con quelle istanze della riflessione teologica che pongono l’accento sugli aspetti femminili di Dio e delle scritture ebraico-cristiane: si tratta di sottolineature semplicemente inconcepibili, di veri e propri vaneggiamenti, di assurde rivendicazioni che in alcun modo possono trovare spazio in seno ad un’istituzione rigorosamente declinata al maschile, che del maschilismo ha fatto un tratto costitutivo e, pertanto, irrinunciabile, della propria organizzazione e della propria teologia.

Ciò ha prodotto una sfilza di eretici, le cui fila sono andate progressivamente ingrossandosi. Eppure eresia, parola il cui etimo rinvia all’atteggiamento nobile della scelta consapevole, è termine che dovrebbe essere, questo sì, estromesso dal linguaggio religioso del ventunesimo secolo, all’alba del quale, invece, sembra ancora faticare ad affermarsi la pluralità degli approcci al senso e al divino a cui l’ermeneutica, non ultima quella femminista, ha provato e prova tuttora, spesso invano, ad educarci.

Ma la tentazione di una verità posta arbitrariamente oltre i confini dell’umano e, in tal modo, resa in definitiva estranea nella sua indimostrabile esattezza, continua a rappresentare il sostrato comune a tanta superstizione a cui, impropriamente, si affibbia il nome di fede, la quale, invece, si nutre di dubbio, ricerca, provvisorietà, mancando di approdi definitivi e di certezza, ma mantenendo quella fedeltà alla terra a cui, più di un secolo fa, ci richiamava uno spirito abissale e lungimirante come quello di Friedrich Nietzsche che, assai meglio di tanti sedicenti cristiani, aveva inteso il cuore del messaggio, profondamente terreno, del profeta di Nazareth.