Basta privilegi, la nuova sfida della Chiesa al mondo laico

Raffaello Morelli, saggista e presidente della Federazione dei Liberali Italiani
www.lucidamente.com

I laici, invece di attaccare la Chiesa, costruiscano regole laiche del convivere. Specie dopo la rinuncia di Benedetto XVI, che ha riconosciuto come la fede non prescinda dal mondo fisico, con ciò desacralizzando la Curia. E dopo la conseguente rapida elezione di Jorge Mario Bergoglio, con cui la Chiesa Universale ha tarpato la Curia come epifania di potere. Infine, dopo i numerosi atti di Francesco I che indicano la determinazione del sogno di una Chiesa povera, capace di colloquiare con il Sultano (come predicava il Santo di Assisi) e insieme fermissima nella fede (come Benedetto XVI e come la tradizione dei gesuiti).

La frugalità nella Curia investe il residuo potere temporale, di cui Francesco I pare incline a spogliarsi. Tale via finirà per riflettersi anche sul mondo laico, rendendo obsoleti i vecchi slogan. Con Francesco sta per compiersi il processo, iniziato col Concilio Vaticano II, di compressione delle pulsioni temporalistiche della Chiesa. E ora i laici sono di fronte a una nuova sfida. Che non possono combattere interloquendo con la Chiesa e sentendosene vittime. Prima di tutto perché non è la linea della Chiesa ma è la pratica del metodo laico a trovare piena conferma sperimentale nello svilupparsi civile. Non è la fede che governa il mondo, ma la libertà umana attraverso il confliggere critico tra individui diversi. Dunque, essendo vincenti nel clima e nei costumi civili, i laici non debbono comportarsi da perdenti. Oltretutto, in Italia i problemi di rilievo stanno sul piano delle istituzioni, ancor oggi improntate al privilegio di un culto e non a una chiara separazione Stato-religioni.

Se i laici incolpassero la Chiesa, minerebbero il loro fondare la convivenza di cittadini diversi sulla libertà religiosa. I veri e forti avversari dei laici sono quei cittadini che vogliono la fede come fonte legislativa. Tanto più ora che Francesco I toglie argomenti sul potere mondano ecclesiale, i laici devono costruire istituzioni che applichino la centralità del cittadino. Nessun privilegio in chiave religiosa, tanto meno a una confessione sola. Ed è urgente farlo. Non a caso in campagna elettorale non hanno parlato di tematiche laiche né i principali gruppi politici né i presunti nuovi del M5S (un po’ fondamentalisti), proprio perché i temi laici spazzano via il conformismo di potere cui vogliono ancorare la politica. E le logiche concordatarie proseguono nel nuovo parlamento. Basti pensare al discorso della neopresidente della Camera Laura Boldrini («Anche i protagonisti della vita spirituale e religiosa ci spronano a osare di più»), che schiera la Camera tra chi vuole affidare alla fede un ruolo propulsivo nelle scelte legislative, con ciò ribaltando la visione laica.

Temi laici non sono il rapporto fede-rinnovamento civile oppure conquistare il voto cattolico. Invece è laico impegnarsi con ferma coerenza per modellare le leggi italiane sulla neutralità istituzionale. La spinta ai programmi laici chiari non sono gli anatemi religiosi e le contorte convenienze elettorali bensì far maturare la consapevolezza laica tra i cittadini, credenti e non credenti. Del resto, una differenza essenziale tra impostazioni religiose e laiche è sulla partecipazione. Per la religione cattolica la partecipazione è pura testimonianza di fede, i cui indirizzi sono riservati alla Chiesa del papa e dei vertici cardinalizi. Per i laici, la partecipazione è discutere per decidere tra cittadini quali regole aperte dare al concreto convivere tra diversi.

I due temi più immediati su cui sollecitare la fattiva partecipazione laica dei cittadini? Togliere i privilegi di culto nei vari servizi pubblici e nell’otto per mille. Non sono due bandiere indistinte. Sono due esempi precisi per mobilitarsi su battaglie legislative di tipo separatista e dar corpo al convivere tra diversi. Non si può sostenere che decidere spetta ai cittadini e poi scimmiottare affabulatori e profeti nel rincorrere promesse avulse dalla realtà. È tempo non di dirsi laici ma di praticare la laicità nel convivere.

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Francesco e gli atei: cambiare tutto, per non cambiare niente

Alessandro Baoli
www.cronachelaiche.it

Dopo lo show in mondovisione della sua intronizzazione, papa Francesco si è dedicato ai rappresentanti delle altre religioni. Nella Sala Clementina del Vaticano, il pontefice che ha voluto per sé il nome del santo che andò dal sultano di Babilonia, ha incontrato, tra gli altri, Bartolomeo I, patriarca ecumenico di Costantinopoli, e il metropolita Hilarion del patriarcato di Mosca. Ma nel suo discorso si è rivolto anche ai rappresentanti degli ebrei e ai musulmani; e, infine, a quegli individui che «pur non riconoscendosi in alcuna tradizione religiosa sono in cerca della verità, della bontà e della bellezza, che è verità, bontà e bellezza di Dio».

Dunque, sulla scia di Karol Woytjla e – in misura minore – del predecessore Joseph Ratzinger, Jorge Mario Bergoglio ha subito esibito un rinnovato impegno verso l’ecumenismo. All’appello, ovviamente e come al solito, mancava il vasto e variegato mondo dell’ateismo: anche verso la non credenza il neo papa ha subito messo le cose in chiaro, seguendo – pure in questo caso – le orme dei predecessori. Infatti, dopo aver parlato ai rappresentanti delle altre religioni, ha esternato verso il resto del mondo: «Dobbiamo tenere viva nel mondo la sete dell’assoluto», ha detto in conclusione del suo discorso Francesco, «non permettendo che prevalga una visione della persona umana ad una sola dimensione, secondo cui l’uomo si riduce a ciò che produce e a ciò che consuma: è questa una delle insidie più pericolose per il nostro tempo. Sappiamo quanta violenza abbia prodotto nella storia recente il tentativo di eliminare Dio e il divino dall’orizzonte dell’umanità, e avvertiamo il valore di testimoniare nelle nostre società l’originaria apertura alla trascendenza che è insita nel cuore dell’uomo».

Quanto alla violenza, inutile fare la conta dei morti prodotti dalla credenza e dalle religioni, metterli sopra un vassoio (magari dell’Ikea, che costano poco, in ossequio alla sobrietà sbandierata in questi giorni) e porgerli al papa. Siamo sicuri che lo sa benissimo.

Un pontificato che si è presentato in decisa contro tendenza rispetto ai precedenti quanto allo stile, nei contenuti è rimasto fermo nell’intransigenza e nella superficialità di sempre. Le fonti francescane parlano di un santo che ascoltava persino gli animali: per questo forse qualcuno sperava che un pontefice con il suo nome potesse cambiare disco sull’ateismo, quanto meno andare oltre i soliti luoghi comuni, i discorsi da bar o da pollaio televisivo, magari (chissà) chiudere quell’inutile teatrino che è il Cortile dei gentili, e per una volta almeno aprire le orecchie e ascoltare il “nemico”, che «se amate quelli che vi amano, quale merito ne avete?» (Mt 5,43-48). Ma la solfa è sempre la stessa: sul “nemico” si fa terrorismo semantico, si ribalta la verità, ci si chiude nella solita supponenza.

Il papa ha chiesto ai grandi della Terra venuti ad adularlo di “custodire il creato”; ma accidentalmente, parte integrante del creato sono anche gli atei, prima o poi un papa dovrà prenderne atto. A meno di volerli considerare un errore di dio.