Il rischio di essere Ong e non messaggeri dell’Evangelo

Roberto Davide Papini
www.vociprotestanti.it

«L’impresa eccezionale, dammi retta, è essere normale», cantava Lucio Dalla in uno dei suoi più grandi successi (“Disperato erotico stomp”, 1977) e questo viene in mente vedendo le reazioni entusiastiche del mondo cattolico di fronte a un papa che saluta dicendo addirittura «buongiorno», oppure esagera con un «buonasera»; un papa che non mette sfarzose (e un po’ kitsch) scarpe rosse e paga il conto dell’albergo.

Cose normali, ma per una chiesa cattolica romana che ha visto i suoi vertici vivere in modo del tutto slegato dalla realtà delle persone comuni, dire «buongiorno», sembra rivoluzionario. Al di là di questo e del solito “trinariciutismo” dei commentatori cattolici (se ci fossero stati i talk show al tempo di Alessandro VI, papa Borgia, di certo ne avrebbero esaltato la castità e la morigeratezza) papa Bergoglio può rappresentare davvero un segnale incoraggiante nel cammino ecumenico e una sfida per noi protestanti sul terreno comune dell’evangelizzazione. Più volte ha insistito sulla necessità per la chiesa di uscire da sé stessa e di «evangelizzare le periferie».

In particolare, colpisce una delle prime frasi pronunciate da Jorge Mario Bergoglio, nella sua prima messa come papa: «Noi possiamo camminare quanto vogliamo, noi possiamo edificare tante cose, ma se non confessiamo Gesù Cristo, la cosa non va. Diventeremo una Ong (organizzazione non governativa, ndr) assistenziale, ma non la Chiesa, sposa del Signore».

Una frase che termina con un’espressione tipicamente cattolica, ma il succo del discorso è assolutamente condivisibile. Ecco, anche per le nostre chiese riformate, il rischio è quello di avere un po’ la tendenza a essere delle associazioni caritatevoli o degli enti culturali, delle realtà assistenziali o dei movimenti per i diritti civili, dimenticando (o mettendo in secondo piano) l’annuncio di Gesù Cristo.

Sul terreno dell’evangelizzazione (tra l’anno della fede della chiesa cattolica e la ricerca valdese/metodista di trovare forme per una campagna di evangelizzazione nazionale, come stabilito dal Sinodo), forse con questo papa può nascere un incontro fecondo. Non cercando di avvicinare le reciproche posizioni su questo o su quel tema, ma riscoprendo insieme la centralità dell’annuncio dell’Evangelo. Una prospettiva che va affrontata con coraggio (non solo con i cattolici ovviamente) perché l’evangelizzazione fatta da soli, ogni chiesa singolarmente, è assai meno efficace dell’annuncio della morte e risurrezione di Gesù Cristo proclamato da tutte le chiese, unite (almeno) in questa comune fede.

Certo, ci sarà tempo e modo per valutare se i fatti seguiranno alle premesse; già sappiamo di posizioni decisamente divergenti dal mondo riformato su molti temi, a partire da bioetica, diritti civili. Insomma, ci sarà modo e tempo per fare polemica col nuovo papa.

Intanto, però, c’è un passato in Argentina di buoni rapporti ecumenici (anche se più verso le chiese evangelicali che verso i protestanti storici) e di grande impegno evangelizzatore. Le attese sono molte e anche in casa protestante si guarda con speranza a una possibile svolta di rinnovamento nella Chiesa cattolica romana.

«Sono rimasto sorpreso ascoltando le prime parole di papa Francesco, i suoi primi atti, di valore essenzialmente simbolico —ha scritto nei giorni scorsi Eugenio Bernardini, moderatore della Tavola valdese— e poi affermare che la scelta del nome Francesco (un nome che nessun papa prima di lui aveva osato o voluto scegliere) dipendeva proprio dal volersi richiamare a quel Francesco a cui tutti avevamo pensato, a Francesco d’Assisi. Elementi che andavano ben oltre le più rosee previsioni anche del più scettico degli osservatori, quale io mi considero».

Poi ci sono i piccoli grandi gesti come quello della benedizione “in silenzio” durante l’incontro con i giornalisti, per non urtare le sensibilità di ognuno: «Molti di voi non appartengono alla chiesa cattolica, altri non sono credenti. Di cuore imparto questa benedizione, nel silenzio, a ciascuno di voi, rispettando la coscienza di ciascuno, ma sapendo che ciascuno di voi è figlio di Dio. Che Dio vi benedica».

Dovrebbe essere normale, direte voi… ma è proprio vero che in Vaticano “l’impresa eccezionale è essere normale”.