Insegnare un’etica delle decisioni sofferte

Sergio Rostagno
www.vociprotestanti.it

Nelle questioni di Bioetica coloro che affermano la necessità di regole strette hanno in parte ragione. In certi casi non basta appellarsi alla libertà di coscienza, perché vi sono materie che non possono essere lasciate alle scelte individuali dell’operatore sanitario, o del paziente, ma occorre stabilire in generale il protocollo da seguire. Sotto tale profilo occorrerebbe che il protocollo comportasse comunque una certa elasticità, perché il “caso” è sempre individuale.

A questo punto la necessità dalla quale siamo partiti comincia a non essere più del tutto imperativa. Al suo posto si delinea la tesi che non esistono ragioni ultime da far valere in tutti i casi, ma orientamenti di fondo, che vanno adattati al caso singolo. Se la mia sorte dovesse dipendere da un medico preferirei che fosse un medico coscienzioso che prende una decisione sensata piuttosto che un medico che, avendo applicato ciecamente delle regole, penserebbe di aver fatto il mio bene, mentre ha fatto forse solo un omaggio a degli ordini ricevuti.

Nei casi in cui i protocolli e gli indirizzi generali arrivano davanti a un caso specifico, occorre che le scelte che riguardano strettamente la persona restino libere per ogni cittadino e cittadina. Direi che questo deve essere il criterio generale per ogni alternativa tra due valutazioni di pari livello, ciascuna delle quali sostenibile con argomentazioni ugualmente attendibili. Alcuni esperti invocano un paternalismo protettivo e pensano che il paziente debba accettare anche di dipendere da altri e non solo da se stesso.

Questa tesi è ragionevole, ma lo è soltanto in parte. Può essere ammessa come tesi subordinata e può essere sostenuta in quanto nella maggior parte dei casi chi non è competente in materia scientifica deve necessariamente dipendere da chi invece possiede le risorse della competenza. Ma se invece ne va della dignità personale del paziente, allora l’unico vero competente è la persona interessata e non vi è nessuno che possa prendere il suo posto. La persona non è subordinata a nessuno.

Naturalmente nella pratica esistono dosaggi e decisioni equilibrate, nonché situazioni che non si possono prevedere del tutto. Ciò si iscrive nella indeterminatezza della vita umana. Molte situazioni sono irrisolvibili, se considerate unicamente alla luce di un solo principio assoluto. Devono quindi essere risolte mediante un confronto tra vari principi diversi e a volte opposti. In questo caso si può, anzi si deve, lasciare libera la scelta.

Ma tutti i problemi si caricano di nuovi pesi qualora intervengano considerazioni a carattere religioso. Per quanto riguarda la bioetica protestante, le considerazioni fin qui svolte dovrebbero mantenere la loro validità. Nessun Dio tormenta l’essere umano con regole intollerabili. Dio piuttosto sostiene la creatura nelle scelte che quest’ultima, entro i suoi limiti, ha creduto opportuno fare. La libertà di scelta avviene sempre entro i confini che la natura pone “naturalmente”; ciò è ovvio, come è ovvio che la coscienza da parte sua può interloquire con la preghiera o con la riflessione, finché prende la decisione che le spetta.

Occorre allora che si insegni un’etica delle decisioni sofferte, che non mettono mai la coscienza del tutto al riparo da successive domande, ma che permettono tuttavia che le decisioni siano prese e le scelte compiute, con un relativo sollievo.

È importante che le scelte umane siano tenute nel campo del relativo e non continuamente messe di fronte a dilemmi creati da qualche assoluto. Assoluto che non risolve nessun problema, perché ne è assolutamente incapace, ma pone sulle persone pesi insostenibili. Gesù diceva che il suo giogo è leggero; e condannava con forza coloro che sulle spalle di altri mettono pesi che essi stessi non porterebbero.

La fede protestante sostiene chi è messo di fronte a scelte difficili. Le decisioni possono essere prese sul piano umano di fronte a Dio, che nella sua misericordia le integra nei suoi disegni, senza che noi abbiamo bisogno di altre spiegazioni o teorie.

Quando si parla di divisione tra laici e cattolici in Italia si compie una semplificazione non corretta che non depone a favore di una buona cultura. Laico è chi difende, contro il clericalismo di ogni colore, una zona di pubblica utilità, di libertà interiore e esteriore, necessaria per il formarsi di libere convinzioni. Non laico è chi vorrebbe imporre le proprie convinzioni e le proprie scelte a tutti i cittadini. Una visione libera e laica può perciò essere molto coerente con la fede cristiana; quest’ultima può, da parte sua, scegliere le stesse soluzioni pratiche dei laici, senza per questo confondere i rispettivi punti di vista. Nelle motivazioni ultime si può essere diversi così come nulla vieta che si arrivi alle stesse conclusioni pratiche.