La vera Chiesa dei poveri

Michael Löwy *
Le Monde, 31 marzo 2013 (traduzione:www.finesettimana.org)

Il primo papa latinoamericano, Francesco, sembra volersi distinguere dalle idee e dalle pratiche del suo predecessore, facendo riferimento a san Francesco d’Assisi e mettendo la povertà al centro del suo pontificato. Avendo la stessa origine sudamericana, papa Francesco è vicino alla teologia della liberazione? Possiamo dubitarne…

Ciò che viene normalmente designato come teologia della liberazione – un corpus di testi prodotti dal 1971 da figure come Gustavo Gutierrez, Hugo Assmann, Frei Betto, Leonardo Boff, Pablo Richard, Enrique Dussel, Jon Sobrino, Ignacio Ellacuria, per non citare che i più conosciuti – non è altro che l’espressione intellettuale e spirituale di un vasto movimento sociale, nato almeno una decina d’anni prima, che si manifesta attraverso una stretta rete di pastorali popolari della terra, operaia, urbana, indigena, della donna), di comunità ecclesiali di base, di gruppi di quartiere, di commissioni giustizia e pace, di formazioni dell’Azione cattolica, che hanno assunto in maniera attiva l’opzione preferenziale per i poveri.

Non nella forma tradizionale della carità, ma come solidarietà concreta con la lotta dei poveri per la loro liberazione. Senza la pratica di questo movimento sociale – che potremmo chiamare cristianesimo della liberazione -, non si possono comprendere fenomeni sociopolitici importanti nella storia recente dell’America Latina come l’avanzata della rivoluzione in America centrale – Nicaragua, El Salvador -, l’emergere di un nuovo movimento operaio e contadino in Brasile, o l’insurrezione zapatista nel Chapas.

Il cristianesimo della liberazione e in particolare le comunità ecclesiali di base non rientrano né nel paradigma di “Chiesa” né in quello di “setta”, ma piuttosto di ciò che il sociologo Max Weber (1864-1920) chiamava nel 1915 una religione comunitaria di salvezza; cioè una forma di religiosità fondata su un’etica religiosa di fraternità – la cui sorgente è l’antica etica economica di vicinato – e che può sfociare, in certi casi, in un “comunismo d’amore fraterno”.
Se occorresse riassumere l’idea centrale del cristianesimo della liberazione in una sola formula, ci si potrebbe riferire all’espressione consacrata dalla Conferenza episcopale latinoamericana di Puebla (1979): “Opzione preferenziale per i poveri”.

Qual è la novità? La Chiesa non è stata da sempre caritatevolmente attenta alla sofferenza dei poveri? La differenza – capitale – , è che per il cristianesimo della liberazione i poveri non sono più percepiti come semplici oggetti (d’aiuto, di compassione, di carità), ma come i soggetti della loro storia, gli attori della loro liberazione.
Il ruolo dei cristiani socialmente impegnati, è di partecipare a questa lunga marcia degli oppressi verso la Terra promessa, la libertà, dando il loro contributo alla loro auto-organizzazione ed autoemancipazione sociale.

L’altra differenza con la posizione caritatevole e la tradizione di assistenza della Chiesa – ben rappresentata dal nuovo papa argentino – è stata formulata diversi anni fa dal cardinale brasiliano dom Helder Camara: “Finché dicevo che bisognava aiutare i poveri, mi consideravano un santo; quando ho chiesto perché c’erano così tanti poveri, mi hanno trattato da comunista…”.

Nel corso degli anni ’60 e ’70 del secolo scorso, dei regimi militari si sono imposti in molti paesi dell’America Latina: Brasile, Cile, Argentina, ecc. I militanti del cristianesimo della liberazione hanno partecipato attivamente alla resistenza a queste dittature e hanno molto contribuito al loro declino a partire dagli anni ’80. Sono stati un fattore importante, e talvolta addirittura decisivo, della democratizzazione di questi Stati. In Brasile, nel corso degli anni ’70, la Chiesa dei poveri è apparsa, agli occhi della società civile e dei militari stessi, come l’avversario principale della dittatura; un nemico più potente (e radicale) di quanto non fosse l’opposizione parlamentare tollerata (e docile).

A differenza del caso brasiliano, in Argentina, la Chiesa, storicamente vicina all’autoritarismo dell’esercito, ha in maggioranza sostenuto l’atroce dittatura militare responsabile, nel corso degli anni, dal 1976 al 1983, di trentamila morti o “scomparsi”. Molti cristiani, membri del clero o laici, hanno pagato con la vita il loro impegno nella resistenza ai regimi autoritari in America Latina, o semplicemente la loro denuncia delle torture, degli assassini e delle violazioni dei diritti umani.

Così accadde, nel Salvador, all’arcivescovo Oscar Romero, uccido da paramilitari nel marzo 1980, e a Ignazio Ellacuria e a suoi cinque colleghi gesuiti dell’Università centroamericana di El Salvador, assassinati nel novembre 1989 dall’esercito.
Il Vaticano ha condannato nel 1985, tramite la Congregazione per la Dottrina della Fede (di cui era prefetto il cardinale Joseph Ratzinger, futuro Benedetto XVI), la teologia della liberazione come un’eresia “tanto più pericolosa in quanto vicina alla Verità”…

Per il Vaticano, la regola resta: Roma locuta, causa finita (Roma ha parlato, la causa è decisa). Ma i teologi della liberazione hanno continuato, ognuno a suo modo, a difendere la loro interpretazione del cristianesimo. Certi, come Leonardo Boff, hanno preferito lasciare la Chiesa per mantenere la loro libertà di espressione; altri, come Gustavo Gutierrez, evitano i conflitti intraecclesiastici, senza però rinunciare alle loro convinzioni e al loro impegno.

Ciò non vuol dire che il loro pensiero non abbia avuto un’evoluzione. Al contrario, ha aperto nuovi cantieri, analizzando l’oppressione delle donne, delle comunità nere, degli indigeni; ha accolto le sfide del multiculturalismo e dell’ecologia, del pluralismo religioso e del dialogo interconfessionale. E, per cominciare, ha sottoposto a critica, teologica e politica, il neoliberalismo, la forma nuova che in America Latina ha assunto questo sistema, ai loro occhi intrinsecamente perverso, che è il capitalismo.

In questo contesto, certi teologi svilupperanno un rapporto nuovo con il pensiero di Marx, per criticare il capitalismo neoliberale come una falsa religione, fondata sull’idolatria del mercato e del dio Mammona. Per questi teologi, come Hugo Assmann o Franz Hinkelammert, i nuovi idoli capitalistici che sono il profitto, il denaro, il debito esterno, come quelli denunciati dai profeti dell’Antico Testamento, sono dei Moloch che esigono sacrifici umani, un’immagine usata da Marx stesso nel Capitale. La lotta del cristianesimo della liberazione contro l’idolatria mercantile è ai loro occhi uno scontro tra dei, tra il Dio della vita e gli idoli della morte (Jon Sobrino) o tra il dio di Gesù Cristo e la molteplicità degli dei dell’Olimpo capitalista (Pablo Richard).

Nel corso degli ultimi anni, la critica del capitalismo è sempre più associata, per i teologi della liberazione, alla problematica ecologica. Il pioniere, in questo campo, è stato Leonardo Boff, da tempo preoccupato per l’ambiente, che affronta, sia in uno spirito di amore mistico e francescano per la natura. sia in una prospettiva di critica radicale del sistema capitalistico. Il nuovo paradigma di civiltà dovrà essere fondato su un’etica della vita e su una solidarietà planetaria.

Senza dubbio, l’influenza della teologia della liberazione è regredita in molti paesi del continente. In seguito alla nomina di vescovi da parte di Wojtyla (Giovanni Paolo II) e Ratzinger (Benedetto XVI), l’episcopato latinoamericano è diventato molto più conservatore. Anche coloro che adottano posizioni progressiste a livello sociale condividono le opzioni conservatrici del Vaticano contro il diritto delle donne di disporre del proprio corpo (divorzio, contraccezione, aborto).
Ciò detto, in un paese come il Brasile, il cristianesimo della liberazione mantiene una presenza importante, all’interno delle comunità di base, delle pastorali popolari, dei movimenti laici o delle reti come Fede e politica, animata dal teologo domenicano Frei Betto, che riunisce migliaia di aderenti in tutto il paese.

Inoltre, i cristiani socialmente impegnati sono una delle componenti più attive del movimento altermondialista nel corso degli anni 2000, in particolare, ma non solo, in Brasile, cioè nel paese che ha accolto le prime riunioni del Social Forum mondiale. Uno degli iniziatori del Forum, Chico Whitaker, membro della Commissione giustizia e pace della Conferenza episcopale brasiliana, appartiene a questa tendenza.

È difficile prevedere quale sarà il futuro del cristianesimo della liberazione in America Latina. Il suo radicamento socio-religioso gli ha permesso di mantenersi malgrado l’opposizione attiva degli ultimi due pontefici. Indipendentemente dall’atteggiamento di papa Francesco nei suoi confronti, è probabile che esso continui ostinatamente a praticare quel “comunismo d’amore fraterno” di cui parlava Max Weber…

* Michael Löwy è un sociologo franco-brasiliano. Ricercatore emerito al CNRS. I suoi libri e i suoi articoli sono dedicati all’attualizzazione del pensiero marxista e del suo rapporto con lo spirito dell’utopia e del messianismo religioso. Tra le sue opere: “La Guerre des dieux. Religion et politique en Amérique latine”, ed. du Felin, 1998; “Rédemption et utopie. Le judaïsme libertaire en Europe centrale. Une étude d’affinité élective”, ed. du Sandre, 2009; “La Cage d’acier. Max Weber et le marxiste wébérien”, Stock.