Quanto è laica la stampa “laica”?

Uaar, Unione degli atei e degli agnostici razionalisti
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A molti sarà venuto da ridere, venendo a conoscenza dell’album di figurine su papa Bergoglio. C’è sempre chi cerca di far soldi sul trend del momento, in questo caso la Gedis, casa editrice che fa capo al sindacato dei giornalai italiani (Snag-Confcommercio). Ma un comportamento del genere è diffuso, in Italia, anche in sfere che si pretendono più elevate, come i massimi quotidiani italiani.

Il Corriere della sera, in teoria il quotidiano “laico” e liberale di riferimento in Italia, sull’onda della papolatria ha venduto qualche giorno fa il libro-intervista Papa Francesco. Il nuovo papa si racconta scritto dai giornalisti Sergio Rubin e Francesca Ambrogetti. Ma anche un dvd celebrativo sull’elezione del nuovo pontefice con immagini gentilmente fornite dal Centro televisivo vaticano e con la collaborazione di Rai Eri. Anche sul versante di sinistra Repubblica vende un Il cielo e la terra, libro scritto a quattro mani da Bergoglio e il rabbino argentino Abraham Skorka, con riflessioni su varie tematiche tra cui l’ateismo e l’omosessualità.

Moda del momento, si dirà. Non proprio. Se si analizza il comportamento della grande stampa “laica”, quella che si vuole indipendente, tanto indipendente che è sempre prodiga di consigli sulla formazione di governo, la situazione non è affatto delle migliori. Ovunque vaticanisti che pensano di ingraziarsi il personale dei Sacri palazzi per avere in anteprima qualche scoop. La tendenza al vatigossip è ormai endemica, con numerosi articoli su indiscrezioni, voci, smentite su qualsiasi fatto che possa coinvolgere la Santa Sede, non solo quando attua ingerenze verso lo Stato italiano. Persino su Repubblica c’è da anni Joaquín Navarro Valls, direttore fino al 2006 della Sala stampa vaticana. E ora anche Paolo Rodari, che ha scritto un libro con le testimonianze dell’esorcista padre Gabriele Amorth.

Il Fatto Quotidiano è invece più anticlericale che laico. Si ricorderà la posizione di un giornalista di riferimento come Marco Travaglio sull’affaire crocifisso, che per difendere l’imposizione del simbolo cattolico negli uffici pubblici contro la prima sentenza della Cedu nel 2009 esaltava proprio lo stereotipo moralistico e celebrativo – accettato acriticamente da tantissimi che si dichiarano laici – che vuole Gesù simbolo di “libertà”, “umanità”, “sofferenza”, “speranza”, “resistenza inerme di giustizia ma soprattutto di laicità”. Proprio come vuole la propaganda revisionistica pilotata dal Vaticano, che ora esalta Cristo come “laico” sulla base del “date a Cesare”. Ciò va in senso diametralmente opposto rispetto alla dottrina professata dalla Chiesa, che con quella frase storicamente ha sempre inteso piuttosto esaltare la propria superiore autorità rispetto a qualsiasi altro ordinamento.

È questa la logica esposta da Tarcisio Bertone, non a caso segretario di Stato vaticano. E che porta poi a ribaltare totalmente il concetto di “laicità”, che in maniera orwelliana diventa “sana” solo se accetta supinamente l’influenza in ogni ambito della religione, e quello di “libertà religiosa”, che diventa la facoltà di imporre senza alcun ostacolo i proprio dogmi a tutti i cittadini, anche coloro che non li seguono. Si arriva al punto che un alto prelato come il cardinale Angelo Scola, già papabile in quota Cielle e già formatore politico di Berlusconi, può tranquillamente affermare che la “neutralità” dello Stato mina la “libertà religiosa” ricevendo solo alcune sporadiche critiche.

Ora che è uscita la sua ultima fatica in libreria (Non dimentichiamoci di Dio) in cui ribadisce tali concetti, invece latitano intellettuali e giornalisti che dalle colonne dei giornali denuncino la gravità di certe affermazioni e ribadiscano come è proprio questa neutralità uno dei cardini dello stato moderno e della democrazia, tale da garantire a tutti, credenti o meno, la libera espressione della propria fede senza però imporla ad altri.

Rimane in generale, nella stampa di sinistra, il vezzo di criticare in superficie e in maniera moralistica la Chiesa per le sue ricchezze e perché non si adegua agli ideali di utopica povertà che professa. Come se il pauperismo spinto debba essere necessariamente un modello e non porti invece a un sostanziale abbrutimento della persona e della società. Cosa che porta all’esaltazione della sobrietà e alla tendenza al deliquio nei confronti di personaggi, come proprio papa Bergoglio, che sapientemente utilizzano i media per photo opportunity in atteggiamenti ostentatamente caritatevoli, o che si lanciano in dichiarazioni di principio tendenti al buonismo.

Uscite che sembrerebbero totalmente banali o fin troppo zuccherose e ipocrite se non provenissero da un religioso. In generale, nella migliore situazione l’atteggiamento preferito è quello di dare molto spazio alla dissidenza interna alla Chiesa: quindi al teologo Vito Mancuso, al vaticanista Marco Politi, ad Altrachiesa sul sito della rivista MicroMega diretta dall’ateo Paolo Flores d’Arcais. Su una simile lunghezza d’onda il quotidiano comunista il Manifesto. L’Unità poi è embedded per ragioni di ditta, considerando che il Partito democratico è composto anche da correnti di derivazione cattolica e l’attuale direttore, Claudio Sardo, era già attivo nella stampa cattolica.

Tirando le somme, sulla stampa italiana è riservato tanto spazio alla religione “buona”, poco spazio alle critiche e quasi nessuno spazio all’incredulità, che pure raccoglie un sesto della cittadinanza. Abbiamo solo il già citato Flores d’Arcais qui e là, Piergiorgio Odifreddi talvolta e nascosto a centro giornale, e pochissimi altri. Oppure si dà ampio spazio agli “atei devoti”, come i filosofi che “dialogano” (ovvero accettano senza discutere troppo ciò che dice un qualsiasi prelato) e che ribadiscono la propria sottomissione intellettuale al pensiero religioso. Ma non è proprio laico coprire, quasi sempre inginocchiati, una sola convinzione del mondo. Ormai sta diventando tabù qualunque tipo di critica rispettosa e ragionata alla religione sui giornali: non sta bene e non è serio infatti parlare di certe cose, ci rassicurano i soloni che si proclamano “laici” dalle loro colonne, quasi si passasse automaticamente da anticlericali beceri se si osasse esprimere un’idea non allineata al diffuso inginocchiamento clericale.

Più frequente che si parli di laicità, ma solo quando è impossibile non farlo. Curioso che si critichino le uscite clericali delle gerarchie ecclesiastiche, quasi con tono di sorpresa, come se rovinino il quieto vivere. D’altronde è da sempre che la Chiesa fa sentire il suo peso a livello politico cercando di orientare governi e amministrazioni. In quel caso i commentatori sostengono che quella dei vescovi è solo “una voce fra le tante”, che non deve interessarsi degli affari correnti. Bene, ma sarebbero più credibili se seguissero questa linea sempre, e non soltanto quando diventa impossibile seguirla. Sono proprio loro a enfatizzare l’importanza della religione, perché poi lamentarsi se i cardinali si danno importanza?

Sui giornali (e soprattutto) nei telegiornali passa tranquillamente un’opera esplicita esaltazione del cattolicesimo. In tv si distinguono da destra il clericalizzato Tg2, che infila in ogni occasione qualche spot alla religione (cattolica), e da sinistra, con la nuova devota direzione e l’overdose di “notizie” che vedono protagonista il nuovo papa, RaiNews24. Non mancano poi notizie di dubbia provenienza, ma tali da esaltare la religione o creare un immaginario favorevole, rilanciate in maniera acritica e senza nessuna banale verifica delle fonti da parte dei giornalisti, ridotti al ruolo di semplici megafoni.

Non ci soffermiamo troppo sulla Rai solo perché, più onestamente, non ambisce nemmeno a definirsi laica. Proprio l’ex direttore vicina all’Opus Dei, Lorenza Lei, in un convegno vaticano aveva parlato di una comune mission. Ma se in Italia siamo ancora qui a chiedere il minimo sindacale laico – come unioni civili, testamento biologico, rimozione degli enormi ostacoli a fecondazione artificiale e all’interruzione volontaria della gravidanza – è anche colpa di questo atteggiamento di sudditanza dei media nei confronti della Chiesa.