Islam, dalle teocrazie alla democrazia: un cammino possibile?

Alan Marri, filosofo delle religioni e islamista
www.cronachelaiche.it

La via del diritto, la via del dovere Per gli uomini occidentali del terzo millennio il termine democrazia è un concetto “normale”, un concetto “acquisito”, ma per una buona parte del mondo, ancora oggi, democrazia rimane una parola sconosciuta, ascoltata in qualche discorso alla televisione, riportata dai giornali, ma mai assolutamente vissuta, una parola affascinante ma spesso priva di qualsiasi contenuto. Il concetto di democrazia, al giorno d’oggi, è visto in modo dinamico, come una necessità per la forma di governo di adattarsi agli sviluppi economici e sociali in modo da garantire al popolo i diritti fondamentali.

Il termine democrazia deriva dal greco démos (popolo) e krátos (potere-forza), ed etimologicamente significa “governo del popolo”. I popoli occidentali del terzo millennio identificano la democrazia con un qualcosa di assolutamente positivo, ma questa idea positiva è stata il frutto di uno sviluppo millenario. Sul concetto moderno di democrazia hanno avuto grossa influenza le idee illuministe, le rivoluzioni dei secoli XVIII e XIX (in particolare la Rivoluzione francese), la carta costituzionale americana del 1787 e quella francese del 1791, che vertevano sul principio della separazione dei poteri.

Agli antipodi della democrazia vi è, però, un altro modo di governare, un altro modo di intendere il potere: la teocrazia. Questa è una forma di governo in cui il potere politico è stabilito su base religiosa. Anche il termine teocrazia deriva dal greco: theós (dio) e krátos (potere-forza), ed etimologicamente significa “governo di dio”. Il creatore del termine teocrazia fu lo scrittore e storico romano Giuseppe Flavio, che dette un’impronta greca ad un concetto teologico ebraico. La teocrazia si sviluppò nel corso dei secoli in differenti forme ed alterne fortune.

Calvino, ad esempio, riorganizzò la città di Ginevra instaurando una teocrazia: chi dissentiva dalla dottrina ufficiale, improntata a un rigido autoritarismo fisico e morale, veniva esiliato e talvolta messo a morte.Al giorno d’oggi, il potere teocratico viene esercitato direttamente dal clero, come in Iran con gli âyatollâh, o indirettamente, come avviene nel caso dei re per diritto divino. La teocrazia è concepita in antitesi alla democrazia, che fonda la legittimità del potere politico e la fonte del diritto sulla volontà del popolo, e non sul volere di dio.

Nel terzo millennio il termine teocrazia è riferito quasi esclusivamente ai regimi islamici e viene associato a forme politiche irrazionali o sottosviluppate. Che la maggior parte dei paesi islamici siano Stati teocratici è un dato di fatto, ma bisogna capire se è un dato incontrovertibile o se invece vi è la possibilità anche per i paesi musulmani di progredire verso la democrazia. Per capire i motivi che hanno portato i musulmani a rimanere ancorati, tranne poche eccezioni come la Turchia e l’Indonesia, ad una forma di governo teocratico, bisogna risalire sino all’origine dell’Islam, bisogna risalire all’anno zero islamico.

L’origine della sottomissione: dallo shirk alla rahma La libertà di opinione e di religione, di cui parla la democrazia, ai musulmani richiama l’idea di qualcosa di estremamente negativo, qualcosa che essi hanno voluto e dovuto dimenticare e rinnegare, il periodo della razionalità, dell’individualismo sfrenato, gli anni bui della jahiliyya (il periodo pre-islamico), il caotico mondo pagano che precedette l’Islam. Gli arabi pre-islamici resistettero per molti secoli al monoteismo che era diffuso nei paesi vicini, preferendogli una molteplicità di dèi che non esitavano ad insultare e minacciare se non soddisfacevano i loro desideri.

Nel tempo della jahiliyya, alla Mecca vi erano 360 dèi insediati nella Ka’ba, ma erano soprattutto tre dee a regnare su tutti gli altri, dee che si nutrivano di sacrifici e di sangue, dee di guerra e di morte: al-‘Uzza, il cui nome significa “potere” nel senso militare della parola; Manat, il cui nome deriva dalla stessa radice di maniyya (morte); al-Lat, che è una contrazione di ilahat (dee). Queste divinità erano le più potenti e condividevano il titolo di taghiya (tiranno). Quando Maometto entrò alla Mecca nel 630, tutti gli dèi della Ka’ba vennero cancellati.

A quel punto il contratto sociale dell’Islam venne concluso: pace in cambio di libertà, rahma in cambio di shirk. Maometto promise pace al prezzo del sacrificio, il sacrificio non solo della libertà ma anche dell’egoismo individuale e del desiderio (hawa).L’hawa era considerata dal Profeta la fonte della discordia e della guerra, l’hawa era la crepa attraverso la quale il disordine poteva infiltrarsi, e doveva quindi essere eliminata. Da quel fatidico e nefasto momento la ta’a (obbedienza a dio) divenne l’unica possibile scelta per i musulmani. Il ra’y (l’opinione personale), l’ihdath (innovazione) e l’ibda’ (creazione) vennero banditi come blasfemi e pericolosi.

Da quel momento la vera pace sarebbe stata il frutto della rinuncia alla libertà di pensiero, alla libertà di religione, all’individualismo, all’opinione personale, alle passioni; queste caratteristiche pre-islamiche sarebbero state sostituite dalla rahma, una sensibilità profonda nei confronti degli altri, nei confronti dell’intera comunità (‘Umma). I tradizionalisti sostengono che non si può essere musulmani ed abbracciare la democrazia (dimuqratiyya3) allo stesso tempo, perché essa è straniera alla cultura islamica.

Le colpe dell’Occidente: la democrazia fra aspirazione e paura Se gli attuali regimi teocratici islamici possono essere spiegati con l’abbandono della ragione e la fusione di religione e politica, questo non esime gli Stati occidentali dall’ammettere le proprie pesanti colpe nella formazione e nell’aiuto economico e militare agli stessi regimi. Nell’Ottocento e per buona parte del Novecento gli Stati occidentali hanno colonizzato intere regioni islamiche, imponendo la propria forza politica, economica e militare.

L’Occidente non ha portato nelle zone musulmane il suo sviluppo e le sue conoscenze in campo tecnologico per far crescere quelle nazioni, per farle uscire dall’arretratezza, ma solo per poterle sfruttare.Inoltre gli Stati occidentali si sono guardati bene dall’esportare la democrazia, preferendo avere come interlocutori autocrati fantocci, facilmente controllabili. Il risultato è stato un impoverimento delle risorse naturali di quelle nazioni e soprattutto un impoverimento delle risorse finanziarie.

Gli Stati islamici, nel secolo scorso, hanno acquistato dalle potenze occidentali quasi il 40% di tutte le armi vendute nel mondo, sprecando in questo modo importanti risorse che avrebbero potuto essere destinate allo sviluppo industriale, tecnologico, culturale, e soprattutto avrebbero potuto eliminare la piaga peggiore, la disoccupazione, che è stata la causa degli spostamenti di popolazione, quasi di massa, degli ultimi vent’anni verso i paesi europei.

Per Tariq Ramadan, docente di filosofia ed islamistica all’università di Friburgo, vi sono due passi fondamentali da fare per la democratizzazione dei paesi islamici. Il primo passo è quello dell’intervento dei paesi occidentali: «Sono i paesi liberi che devono denunciare in modo costruttivo le ingiustizie che si consumano nei paesi dittatoriali, e non stipulare accordi coi dittatori e le petro-monarchie». Il secondo passo è: «una mobilitazione della realtà civile per riconciliarsi con la politica, riappropriandosi di essa per potersi battere per i propri valori; lottare contro la discriminazione dei poveri, delle donne, perché non è possibile tacere di fronte all’analfabetismo e al delitto d’onore».

Tariq Ramadan spiega che il processo di democratizzazione passa per la presa di coscienza del valore di ogni uomo e di quello delle donne all’interno della società, citando come esempio positivo le esperienze di microcredito promosse in Bangladesh da Mohammad Yunus, banchiere ed economista, nonché premio Nobel per la Pace 2006, che confermano che il processo di sviluppo cammina di pari passo col processo di democrazia. I teocrati musulmani, invece, cercano di associare la paura dell’Occidente, insita nella popolazione musulmana, con l’idea stessa di democrazia. Essi vogliono identificare la democrazia con una malattia occidentale; manipolano la paura popolare dell’ignoto cercando di bollare come nemica e straniera una forma di governo che li farebbe cadere dai loro troni dorati.

Democrazia: tra speranza e possibilità La democrazia non è incompatibile con l’Islam, né con un’altra religione. La democrazia è incompatibile con il fondamentalismo, sia esso di matrice islamica, cristiana o ebraica. D’altronde l’Inquisizione ed i papi guerrieri erano lontani dalla democrazia, tanto quanto lo sono oggi le teocrazie islamiche. La democrazia non è incompatibile nemmeno con i partiti religiosi: ve ne sono in Israele, negli Stati Uniti, in Italia, in Turchia. La democrazia è incompatibile con l’idea che la religione abbia una legittimità superiore alle leggi dell’uomo.

L’esperienza storica dimostra che puntare sulla democrazia paga, sia in termini di progresso sociale, sia in termini di sviluppo tecnologico, sia in termini di benessere economico. Nel Novecento la democrazia sembrava impossibile in Europa. E quando crollarono le democrazie dell’Europa meridionale e orientale, tutte a maggioranza cattolica, gli analisti conclusero che la democrazia era compatibile soltanto con il protestantesimo, non adatta ai popoli latini. Esattamente come ora si dice che non sia compatibile con l’Islam o con gli arabi. Il 90% dei paesi cattolici oggi è amministrato da governi eletti democraticamente. La speranza è che fra pochi decenni si potrà dire la stessa cosa dei paesi islamici, ma per far ciò si deve eliminare la componente fondamentalista e violenta.

Gli scettici convinti che la democrazia in medio oriente non potrà attecchire perché non c’è mai stata, si dimenticano che se fosse vero, la democrazia non esisterebbe in nessun luogo e non sarebbe mai nata, perché la dittatura e l’oppressione sono più antiche della democrazia e della libertà. Prima di essere liberi, siamo stati tutti oppressi. Esiste una speranza che un giorno il mondo possa vivere una pace duratura, guidato da Stati democratici che rispettino i diritti umani e producano sviluppo e non morte, ma per realizzare questo sogno bisognerà trovare soluzioni diplomatiche forti, bisognerà cercare la via del compromesso, bisognerà rispettare il “diverso”, chiunque esso sia.

L’obiettivo mondiale deve essere lo Stato laico, perché non appena si viene a creare un’istituzione religiosa che si pone al di sopra di ogni dubbio, allora si manifestano la tirannia, il controllo del pensiero ed un’assenza di spirito critico che impediscono il progresso intellettuale e morale.