Vaticano

Franco Buffoni
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Scrive Fabio Cleto al termine del suo recente Intrigo internazionale uscito dal Saggiatore (che a dispetto del titolo è un approfondito e godibile trattato sul camp corredato da ricco apparato iconografico): “Un camp nuovamente elitario forse lo si ritroverà in un pontefice radicalmente demodé, lontano da folle e populismi, capace di conferire sacralità persino a delle scarpette rosse. Un pontefice che sembri uscire da un copione di 007. Così perfidamente elegante, così inesorabilmente medievale. Divino”.

Finito di stampare nel febbraio 2013, il saggio di Cleto preconizza eventi che la cronaca di queste ultime settimane sembra voler stravolgere: si è persino giunti ad evocare – nomina sunt omina – con Benedetto il monaco che accompagnò la Chiesa nel Medio Evo e con Francesco il frate che ne segnò l’uscita.

Tutti i pontefici vissuti nell’ultimo secolo – con l’eccezione di Luciani, sulla cui morte per cause “naturali” permangono gravi dubbi – sono diventati ottantenni e hanno trascorso gli ultimi anni accuditi e riveriti, con validi collaboratori in grado di svolgerne le funzioni: da Pacelli a Roncalli, da Montini, a Woytila. Emblematica la via crucis del 2005, in cui proprio Ratzinger fece le veci dell’ormai morente omofobo predecessore personalizzandone lo speech: parlò infatti di grande necessità da parte della chiesa cattolica di fare pulizia: “C’è sporco negli angoli”, disse. E il mondo si interrogò: chi sta minacciando il capo dell’Inquisizione? A che cosa si sta riferendo? Alla disinvolta gestione dello Ior, noto per l’abilità nel riciclare denaro al di fuori di ogni controllo (del quale Woytila aveva approfittato a piene mani per la buona causa della liberazione polacca)? Oppure si sta riferendo ai preti pedofili coperti da potenti cardinali?

Poche settimane dopo, Ratzinger – da Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede (appunto: ex Inquisizione) – divenne papa, sconfiggendo nettamente l’ala “spiritualista” del conclave (desiderosa di riaprire un discorso “applicativo” sul Vaticano II) rappresentata da Martini. Il quale, già ammalato, fece convergere i propri voti sull’altro cardinale gesuita presente in conclave: Bergoglio.

Negli otto anni di regno ratzingheriano la situazione dello Ior e la questione pedofilia non solo non sono state risolte, ma appaiono se possibile ancora più incancrenite. In aggiunta a ciò, il papato di Benedetto XVI si aprì col discorso di Ratisbona, che come gaffe politica sta all’altezza del riconoscimento immediato della Croazia da parte del suo predecessore Woytila (che fu la scintilla scatenante la guerra nella ex Jugoslavia).

Perché Ratzinger non ha accettato di inserirsi nella consolidata tradizione dei papi ottantenni accuditi? La risposta può suonare banale: perché evidentemente ha ritenuto di non potersi fidare dei “collaboratori”. Collaboratori dimostratisi capaci di scatenare enormi scandali pur di danneggiarsi a vicenda: basta ricordare il caso Boffo o quello del “maggiordomo”, che videro sbranarsi Segreteria di Stato (Bertone) e Cei (Bagnasco).

Sulla fedeltà assoluta di un solo collaboratore – e come molti da sempre sussurrano: ben più di uno stretto collaboratore – Ratzinger poteva e può contare: l’affascinante Georg Gaenswein, da lui recentemente nominato vescovo, e – cosa sfuggita ai più – anche Prefetto della Casa Pontificia.

Chi è il Prefetto della Casa Pontificia? Trattasi di carica onorifica? Oppure è carica operativa che decade con l’uscita di scena del pontefice? Né l’una né l’altra cosa. Il Prefetto della Casa Pontificia è colui che tiene l’agenda del papa, che ne filtra gli impegni e decide quali interlocutori accogliere e quali respingere. Ma non è un semplice segretario, funzione che Gaenswein ha sempre ricoperto con Ratzinger. Il Prefetto è una carica istituzionale; è una sorta di potente ministro che sfugge all’autorità del Segretario di Stato. E soprattutto: non decade. In altri termini: Bergoglio se lo deve tenere.

E allora ripassiamo lo scenario: altro che Celestino V che si chiude in monastero! Ratzinger si ritira con Georg a 300 m dal Palazzo apostolico, ma Georg ogni mattina riattraversa il giardino e svolge il suo nine to five job col nuovo papa, poi torna a riferire per cena… magari sulla fine che farà il rapporto dei tre cardinali anziani – appena consegnato a Ratzinger e da lui “congelato” – su pratiche curiali contrarie al sesto e al settimo comandamento… Per la cronaca: “non rubare” e “non fornicare”. Sempre lì siamo, con lo Ior sordo alle rogatorie internazionali e il gossip montante su una presunta potentissima lobby gay vaticana.

Ratzinger ha affermato di essersi dimesso “in piena libertà”: anche un ingenuo comprende che – se così fosse stato – non avrebbe sentito il bisogno di affermarlo in primis e con tale determinazione. Ma ha avuto la forza di imporre Gaenswein anche al successore, restando in tal modo in gioco. Domandiamoci: come potrebbe il successore snominare Gaenswein se il nominatore è lì, buon dirimpettaio, che lo contempla mentre snomina?

Nessun “ritiro”, dunque: solo un colpo micidiale inferto alla sovranità assoluta del successore. E dei successori a venire. Forse è per questo che il sacro collegio ha voluto eleggere Bergoglio: come schiaffo a Ratzinger, che era giunto a trasferire Scola da Venezia a Milano per indicare il successore. E ancor più: come ammissione di avere sbagliato nel 2005 mettendo Martini in minoranza. E forse è per questo che Bergoglio ha deciso di abitare a santa Marta, rifiutando di avallare la ricostituzione di una “corte” nell’appartamento pontificio con Gaenswein in posizione dominante.

Vuoi vedere che il conservatore Ratzinger, magari per ragioni indicibili, è riuscito ad assestare a una monarchia assoluta – all’avanguardia nel Cinquecento in quanto elettiva, oggi pateticamente residuale – un colpo mortale? Affermazione, questa, che mutuiamo da Hans Küng, la vera mente teologica della Germania novecentesca, da sempre con Ratzinger in un rapporto che definire conflittuale è riduttivo.

Ci sarebbe ben altro da dire su questa monarchia, per trovare analogie istituzionali con la quale occorre volgersi ad Arabia Saudita, Oman, Qatar… Una monarchia assoluta rappresentata all’Onu e capace di votare con gli stati africani e slavi contro la mozione francese che chiedeva la messa al bando di ogni discriminazione contro le persone omosessuali. Della serie: a noi il celibato (con un’ampia tonaca bianca o nera che tutto ricopre), a voi solo il matrimonio eterosessuale indissolubile a scopo procreativo.

Va ricordato che il Vaticano è sempre stato sessuofobico, perché traumatizzare le persone sul sesso è un modo molto efficace per tenerle legate, innescando il collaudato meccanismo peccato-confessione-assoluzione. Ma oggi che, con la sessuofobia e le confessioni non si va più da nessuna parte, il Vaticano si è specializzato in omofobia: un vero e proprio nervo scoperto per un’organizzazione androcentrica e misogina, dominata da persone che nella loro formazione hanno interiorizzato dosi massicce di omofobia.

La lobby però si è anche scaltrita. Sono lontani i tempi in cui Montini ingenuamente replicava allo scrittore francese Roger Peyrefitte che non era vero, lui non era omosessuale, e il suo grande amore non era stato l’attore Paolo Carlini, e non ne aveva assunto il nome diventando papa…

E se ci domandassimo su che cosa si regge l’intero impianto vaticano?

Chi scrive, come forse molti di coloro che lo stanno leggendo, è stato educato da persone che ancora credevano la Terra al centro dell’Universo, la Chiesa al centro della Terra, e l’Uomo al centro delle creature. Tale impianto cosmogonico e teogonico, che per le persone intellettualmente più avvertite cominciò ad andare in crisi cinque secoli fa, è ormai franato. I “luoghi” sono praticamente scomparsi: abolito il limbo, l’inferno vacilla, il purgatorio svanisce e il paradiso latita.

Diventa anche sempre più arduo parlare del dio unico degli abramitici che volle generi e specie così come sono: l’ordine del creato. Ma anche discettare di incarnazione e di resurrezione crea sempre più imbarazzo. Per non parlare di assunzioni in cielo con propellente autonomo e/o di vergini che partoriscono…

All’interno dello stesso mondo cristiano numerose sono le voci che desiderano ridiscutere l’impianto dalle fondamenta, ripartendo non dal Vaticano II (frettolosamente concluso da Montini, poi insabbiato da Woytila e sepolto da Ratzinger), ma dal concilio di Nicea del 325, magari cominciando a tradurre correttamente le fonti, e quindi definendo Cristo “messaggero di dio”, alias profeta, e non “figlio di dio”.

Mistraduzione che tanti equivoci ha generato.

Cristo nei primi secoli non era affatto designato come il figlio di dio. Fu soltanto il concilio di Nicea a divinizzarne la figura, parallelamente alla divinizzazione in corso delle figure degli imperatori romani defunti; mentre l’imperatore in carica cominciava ad essere definito – per l’appunto – “figlio di dio”. Da ben due successori parallelamente viventi di quel “messaggero” si vorrebbe – magari dal “ritiro” o da santa Marta – almeno un twit filologicamente onesto.

Se si dovesse fare sul serio sul piano filologico, tuttavia, del secolare impianto non resterebbe più nulla. Per quanto concerne l’Italia, per esempio, in mancanza o quasi di valori civili condivisi, il Vaticano non potrebbe più operare come opera, alias come una specie di banca dei valori assoluti.

Senza quella “banca” gli italiani, per quel poco che gliene importa, probabilmente si sentirebbero più soli. L’etica vaticana è predeterminata, assoluta, rivelata, autoritaria. Dunque è deresponsabilizzante. Per questo piace tanto a un popolo arretrato, superstizioso, cialtrone e mafioso, con Padre Pio nel portafoglio e il gratta e vinci in mano.

Staremo a vedere. Da sbattezzato quale sono il mio interesse è esclusivamente culturale e di costume. E naturalmente politico. Vorrei che cessassero le ingerenze vaticane nella politica italiana giunte al culmine con Ruini e Bagnasco.

Bergoglio non pronuncia volentieri la parola “papa”. Ha dato del “vescovo” a se stesso e del “vescovo emerito” a Ratzinger. Vedremo se sarà coerente, per esempio non “nominando” il futuro presidente della Cei, ma consentendo che venga eletto, come avviene per le conferenze episcopali di tutti i paesi del mondo: unica eccezione, guarda caso, la terra dell’8 per mille e dell’esenzione Imu.

Di preoccupante nella sua storia è la mancata e netta opposizione al regime dei colonnelli argentini, nonché la sua misoginia e la sua omofobia, manifestate in numerose occasioni in qualità di arcivescovo di Buenos Aires.

Di positivo c’è che – durante la crisi socio politico-economica culminata nel 2001 con il default dell’Argentina – in quel paese Bergoglio ha fatto molto per sfamare i poveri. La nostra crisi, per il momento, non è paragonabile a quella. Ma ci stiamo impegnando. E Bergoglio – che qui ha feticisticamente cominciato baciando i piedi degli adolescenti nei riformatori, come se l’onta della chiesa nei loro confronti fosse solo un lontano ricordo – saprà come agire.

Di positivo c’è anche che Bergoglio proviene da un paese che, grazie alla sua presidente Cristina Kirchner, dal 2009 ha concesso il matrimonio civile (e sottolineo civile, cosa che i cattolici dimenticano sempre di dire) a tutti gli argentini. Matrimonio civile per tutti al quale Bergoglio si oppose con veemenza. Come per altro, nel 2007, si oppose all’elezione della stessa Kirchner – in quanto donna – in termini inequivocabili: “Le donne sono naturalmente inadatte per compiti politici. L’ordine naturale e i fatti ci insegnano che l’uomo è un uomo politico per eccellenza; le Scritture ci mostrano che le donne da sempre sostengono il pensare e il creare dell’uomo, ma niente più di questo”.

E allora: che cosa ci sarebbe di positivo? Che Bergoglio – a differenza dei suoi predecessori – ha avuto modo di costatare per quattro anni in Argentina che la possibilità di godere di un diritto non danneggia chi di quel diritto non intende avvalersi. Quindi, forse, è legittimo sperare che la sua opposizione all’estensione dei diritti civili in Italia sarà un po’ più intelligente (proprio nel senso etimologico del termine) rispetto ai suoi predecessori.

Questo è il mio augurio a lui. E la mia speranza per quegli italiani che non si identificano nella ipocrita schiera di coloro che definiscono “questioni etiche” i diritti civili (degli altri).