Abbattere le strutture del potere patriarcale. La lotta delle donne indiane contro la violenza di genere

Ingrid Colanicchia
Adista Documenti n. 24/2013

Da qualche anno a Lucknow, capoluogo dell’omonimo distretto nello Stato federato dell’Uttar Pradesh, nel nord-est dell’India, drappelli di ragazze vestite di rosso percorrono le vie della città: sono le Red Brigades fondate da Usha Vishwakarma, un’insegnante di 25 anni, per dire no alla violenza di genere. Quasi tutte le ragazze che le compongono hanno subito violenze sessuali o, come nel caso di Usha, sono sfuggite a un tentativo di stupro. Una realtà drammatica che, negli ultimi mesi, è stata al centro delle cronache e del dibattito politico in India, a seguito dello stupro di gruppo che in dicembre ha condotto alla morte una giovane di 23 anni. La tragica vicenda di Nirbhaya, questo lo pseudonimo usato per indicarla, ha indotto il governo – sollecitato in tal senso anche dalla UN Women, la Commissione delle Nazioni Unite per l’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne – a rivedere le leggi in materia di violenza di genere: nel marzo scorso è stato così approvato il Criminal Law (Amendment) Act che ha rafforzato il Codice penale in materia riconoscendo l’ampia gamma di reati sessuali e non (come per esempio le aggressioni con l’acido) di cui le donne possono essere vittime.

Un passo importante – così come la creazione del Fondo Nirbhaya cui il governo ha annunciato che devolverà 180 milioni di dollari – ma non risolutivo. Pur avendo sconvolto il Paese, quello del dicembre scorso non è certo un fulmine a ciel sereno. Nel Rapporto 2012 sul Global Gender Gap – l’indice stilato dal World Economic Forum che analizza il divario di genere nel mondo sulla base di quattro parametri: Economic partecipation and opportunity, Educational attainment, Political empowerment, Health and survival – l’India si attesta, su un totale di 135 Paesi analizzati, al 105.mo posto.

Il cambiamento qui, come nel resto del mondo, ha bisogno di ben altro. Passa per il diritto all’istruzione, per l’accesso al lavoro, per un diverso coinvolgimento delle donne a tutti i livelli della politica, della società, finanche delle Chiese. Precisamente ciò su cui hanno posto l’accento, nel corso del loro ultimo incontro annuale, svoltosi dal 2 al 4 maggio scorsi a Bangalore, le teologhe indiane riunite nell’Indian Women Theologians’ Forum (IWTF). «L’ingiunzione scritturale “Egli dominerà su di te” (Gn 3,16) – si legge nella loro dichiarazione finale – sembra il sigillo religioso che legittima il controllo maschile sulle donne all’interno della famiglia, della Chiesa e della società in generale». È necessario, proseguono le teologhe, «considerare in modo critico le radici della violenza di genere nelle strutture di potere patriarcale che continuano a influenzare la vita delle donne». Prendendo ispirazione «dai modelli di leadership femminili della tradizione biblica» – è l’invito del Forum -, le donne dovrebbero «rivendicare il loro legittimo spazio sul modello delle donne nella Chiesa primitiva»: «È ora di riconoscere i doni degli uni e delle altre – concludono le teologhe – e di unire le nostre forze per considerare con nuovi occhi la visione femminista, che è egualitaria, inclusiva e compassionevole».

Di seguito, in una nostra traduzione dall’inglese, il testo della Dichiarazione finale dell’Indian Women Theologians’Forum.

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Leadership femminista: una forza di trasformazione

Forum delle teologhe indiane
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Il Forum delle teologhe indiane (IWTF) si è riunito dal 2 al 4 maggio al Montfort Spirituality Centre, a Bangalore, per riflettere sul tema “Donne e leadership”. La condivisione della nostra personale esperienza di donne leader in vari settori ha rivelato un tratto comune nell’esperienza del divino da parte delle donne e nella loro capacità di rispondere con fede e coraggio.

L’ingiunzione scritturale «Egli dominerà su di te» (Gn 3,16) sembra il sigillo religioso che legittima il controllo maschile sulle donne all’interno della famiglia, della Chiesa e della società in generale. Oggi il cattivo uso di questo potere ha assunto proporzioni violente, come si nota nella criminalizzazione politica; nell’espulsione dei poveri dalle loro terre e nell’usurpazione delle loro risorse; nella corruzione che usa la politica per proteggere ricchezza, frodi, stupri, crimini, impunità e difendere lo status quo. La povertà sta cedendo spazio a livelli di indigenza tali da sfuggire a percentuali e statistiche.L’abuso di potere si riflette su questioni di governabilità, di legge e di ordine che stanno assumendo in questi tempi un significato cruciale e critico. Di primaria importanza è il problema dell’aumento della violenza contro le donne, per grado, diffusione e brutalità. Tale violenza si sviluppa tra nuove categorie di persone in dimensioni sconosciute e riguarda tutte le fasce di età. Le attuali istituzioni giuridiche non riescono ad affrontare adeguatamente la situazione delle vittime e a rendere loro giustizia. Dobbiamo considerare in modo critico le radici della violenza di genere nelle strutture di potere patriarcale che continuano a influenzare la vita delle donne.

Come leader impegnate per il benessere della società, e in particolare delle donne, condanniamo fortemente: l’escalation dei casi di brutale aggressione sessuale contro ragazze e donne; le vessazioni delle vittime da parte della polizia e durante i processi; le procedure legali che si configurano come una tortura psicologica contro le sopravvissute agli stupri, specialmente quelle coinvolte in conflitti comunitari.Per quanto sia apprezzabile l’approvazione del Criminal Law (Amendment) Act 2013, che assicura un processo veloce nei casi di aggressione sessuale, ci auguriamo che questa norma possa essere applicata anche ai casi attualmente in corso.Consideriamo la leadership femminista come un potere di trasformazione. Un potere connesso con l’etica della cura, della compassione e della relazione. Un potere che ascolta le voci delle persone ai margini e alla periferia e vede attraverso gli occhi di chi è senza voce, senza speranza o senza potere.

Una leadership di trasformazione ci chiede di camminare mano nella mano con le persone, di accompagnarle e di favorirne il cambiamento, non attraverso il controllo, ma tramite l’amore. La giustizia dovrebbe poter ricostituire la dignità delle persone promuovendo la riconciliazione piuttosto che alimentando la vendetta e il castigo.La leadership femminista opera per il benessere delle persone, cooperando per fini comuni, creando ambienti che stimolino la crescita di individui e comunità, dando loro potere e libertà per lo svolgimento della loro missione.Con un senso di speranza riconosciamo che gli emendamenti 73 e 74 alla Costituzione (che, approvati nel 1992, hanno regolamentato il funzionamento dei governi locali riservando, tra l’altro, il 33% dei seggi alle donne, ndt) hanno dato spazio, a livello locale, alle donne leader, molte delle quali sono state in grado di produrre un cambiamento rispetto ai consueti giochi di potere politico, affrontando problemi centrali della comunità come acqua, istruzione e salute. E distruggendo così il mito secondo cui le donne sarebbero incapaci di amministrare il potere e di svolgere compiti di responsabilità al di fuori della loro casa.

Tuttavia, siamo preoccupate per il tipo di leadership prospettata per le prossime elezioni, che minaccia il tessuto secolare della nostra nazione emarginando ulteriormente ampie masse di poveri in nome del cosiddetto sviluppo. Vorremmo leader impegnati a promuovere l’etica della cura e della compassione nei confronti delle persone e della terra.

Osserviamo come la Chiesa della periferia viva il messaggio che la Chiesa del centro si limita a predicare. Apprezziamo e sosteniamo l’invito di papa Francesco per una Chiesa dei poveri che predichi «il Vangelo in ogni momento, se necessario usando le parole» (San Francesco d’Assisi). Ciò avvicinerebbe il centro alla periferia per vivere davvero il messaggio evangelico.Siamo preoccupate per il collegamento, acriticamente sostenuto, tra diritto e ordinazione e per la conseguente esclusione delle donne dalla leadership nella Chiesa, tanto più avendo queste molto da offrire ad una “Chiesa dei poveri”.

È ora di riconoscere i doni degli uni e delle altre e di unire le nostre forze per considerare con nuovi occhi la visione femminista, che è egualitaria, inclusiva e compassionevole, in modo da affrontare le diverse forme di violenza nei confronti delle donne e dei poveri.Prendiamo ispirazione dai modelli di leadership femminili della tradizione biblica, particolarmente delle comunità paoline, in cui scopriamo donne leader dinamiche e impegnate ad operare come diaconesse, investite di autorità per insegnare, predicare, amministrare ed evangelizzare. La parola greca diakonos si riferisce sia ai maschi che alle femmine e, dalla citazione di Paolo di Febe come diakonos (Rm 16,1-2), di Prisca come maestra (Rm 16,3) e di Giunia come apostola (Rm 16,7), è ovvio che Paolo riconosceva la leadership delle donne negli ambiti della preghiera, dell’insegnamento, dell’amministrazione e dell’evangelizzazione. Ispirate da questi esempi, esortiamo le donne a rivendicare il loro legittimo spazio sul modello delle donne nella Chiesa primitiva.In conclusione, riconosciamo che fare teologia è un compito politico che richiede capacità critica e invita profeticamente le donne leader a sviluppare nuove visioni e nuove immagini, esercitando un potere che incoraggi quanti si trovano ai margini, in particolare le persone senza voce, dando loro capacità e possibilità di esercitare il loro diritto a vivere la vita in tutta la sua pienezza (Gv 10,10). Ci impegniamo a sviluppare la leadership femminile, radicata nei Vangeli e fonte di vita per tutti.