La Spagna laica protesta contro la riforma della scuola: conservatrice, classista, sessista

Eletta Cucuzza
Adista Notizie n. 24/2013

Spagna, la legge di riforma della scuola – il progetto di Legge Organica per il Miglioramento della Qualità Educativa (Lomce, v. Adista n. 20/13) – licenziata dal governo e allo studio del Parlamento in questo mese di giugno è oggetto tanto di critiche quanto di apprezzamenti. Apprezzamenti che le vengono ovviamente dalla parte politica e sociale conservatrice che si riconosce nel Partito Popolare, al governo con il presidente del Consiglio Mariano Rajoy, e dalla Chiesa, che vede tornare la religione come materia di studio in tutti i gradi scolastici, valutata nella media del profitto dello studente come tutte le altre e che avrà obbligatoriamente come alternativa, per chi non volesse avvalersene, un corso di “Valori culturali e sociali” (scuola primaria) e “Valori etici” (scuola secondaria). Punto quest’ultimo che maggiormente irrita i socialisti che lo considerano, secondo quanto detto dal portavoce di Educazione del Psoe, Mario Bedera, «un attacco alla neutralità dello Stato». Ma è il complesso della riforma a far insorgere la parte più laica della società spagnola, tanto che il Partito socialista è deciso a presentare un emendamento alla totalità del progetto di legge e, se questo non verrà modificato, interporrà un ricorso di incostituzionalità. Parecchie le novità messe in campo dalla Lomce: da prove esterne di valutazione alla convalida di quelle interne per ogni tappa formativa alla scelta fra lo studio per un diploma e la formazione professionale; dalla diversificazione fra «materie fondamentali» (matematica, scienze, castigliano, storia e una lingua straniera) e materie cosiddette di specializzazione di carattere opzionale che saranno elaborate dalle comunità autonome al ridimensionamento del Consiglio di istituto che deve cedere al dirigente scolastico decisioni su bilanci, progetti educativi, ammissione di alunni e la stessa facoltà di eleggere il dirigente; dall’autonomia dei centri educativi, che potranno specializzarsi (anche in sport) all’«insegnamento privato concertato» – per cui l’offerta di posti nelle aule dipenderà dalla «domanda sociale» e solleverà lo Stato dal dovere di garantirli a tutti – e agli accordi con le scuole che separano gli alunni per sesso e che, malgrado contravvengano a precise direttive europee, continueranno ad ottenere fondi pubblici.

Opposizione sociale alla riforma

Fra le levate di scudi contro quello che viene considerato uno snaturamento del sistema scolastico pubblico, la protesta, il 22 maggio a Madrid, di 45 associazioni, secondo le quali la Lomce vulnera l’uguaglianza di opportunità, esclude gli alunni con maggiore difficoltà di apprendimento, promuove la separazione dei sessi, delle credenze e delle provenienze; disattende alle necessità delle persone, sottomette ai dettati di imprese e banche, non garantisce l’educazione alla cittadinanza, sopprime la democrazia partecipativa. L’associazione Ciudadan@s por la Educación Pública esprime la sua contrarietà alla Lomce elencando gli aggettivi che qualificherebbero la riforma: ingiustificata, espressione di un solo partito, conservatrice, neoliberista, classista, sessista, ricentralizzatrice, antieducativa, autoritaria, denigrativa dei docenti. Altrettanto critici, i Professori Cristiani della Scuola Pubblica che accusano la riforma di penalizzare la scuola materna, tappa fondamentale, di fomentare rivalità e segregazione fra gli studenti, di «mettere in dubbio la capacità dei docenti di valutare il progresso educativo» degli alunni delegandola ad attori esterni alla comunità scolastica e riducendo il Consiglio di istituto ad una mera funzione consultiva; di aprire le porte alla privatizzazione. «Come cristiani – concludono – chiediamo ai nostri massimi rappresentanti che le loro espressioni pubbliche sulla questione educativa tengano conto dell’interesse del bene comune di tutti e della diversità di opinioni e opzioni». Analogo giudizio negativo sulla Lomce da parte del Foro dei Cristiane/i di Base di Cartagena, che dichiarano di «non capire che l’insegnamento della religione cattolica sia una materia curricolare nei centri pubblici di uno Stato che si dichiara aconfessionale». «Con tristezza constatiamo – concludono – che questa legge è un inchino del governo alle esigenze delle Conferenza episcopale», alla quale ricordiamo che «Gesù non evangelizzò i poveri dall’alto, dal potere e dalla ricchezza, ma dal basso in solidarietà con i più deboli e bisognosi».

Una generazione di analfabeti

I vescovi, che hanno preso più volte parola affinché si equiparasse la religione alle altre materie, ora tacciono. Con qualche eccezione: il vescovo di Placencia, mons. Amadeo Rodríguez Magro, ha inviato dal sito della sua diocesi una lettera ai genitori per spiegar loro quanto sia fondamentale scegliere per i propri figli l’ora di religione a scuola. «Come possiamo capire la nostra cultura – chiede fra l’altro – senza conoscere la religione cattolica come un elemento culturale che la configura? Creerebbe analfabeti e, cosa peggiore, renderebbe le prossime generazioni molto vulnerabili». «Abbiamo bisogno dei dati culturali e morali della religione cattolica per capire il mondo nel quale viviamo». Perché tanta ostilità, si domanda, nei confronti di uno studio «fonte dei valori e dei diritti più essenziali per la formazione dei futuri cittadini?».