No ai funerali religiosi per i mafiosi. L’interdizione del vescovo di Acireale

Luca Kocci
Adista Notizie n. 25/2013

Fino ad ora c’erano state solo le iniziative isolate ed estemporanee di qualche parroco o di qualche vescovo più coraggioso di altri, come mons. Michele Pennisi, di Piazza Armerina, che qualche anno fa disse no ai funerali solenni per il boss Daniele Emmanuello, celebrati poi in forma privata presso la cappella del cimitero di Gela, per decisione del questore di Caltanissetta per prevenire eventuali problemi di ordine pubblico (v. Adista n. 17/08). Adesso invece, ed è la prima volta che accade, il vescovo di Acireale, mons. Antonino Raspanti, ha formalizzato il divieto in un decreto ufficiale – promulgato lo scorso 20 giugno – valido in tutta la diocesi: niente funerali religiosi per i condannati per mafia.

«Sia privato delle esequie ecclesiastiche in tutto il territorio della diocesi di Acireale chi è stato condannato penalmente per reati di mafia, con sentenza definitiva, dal competente Tribunale civile, se prima della morte non diede alcun segno di pentimento», si legge nel decreto firmato da mons. Raspanti, che in tal modo precisa in maniera inequivocabile – facendo esplicito riferimento ai mafiosi – quanto già previsto dal Codice di diritto canonico, al n. 1184: «Se prima della morte non diedero alcun segno di pentimento, devono essere privati delle esequie ecclesiastiche: 1) quelli che sono notoriamente apostati, eretici, scismatici; 2) coloro che scelsero la cremazione del proprio corpo per ragioni contrarie alla fede cristiana; 3) gli altri peccatori manifesti, ai quali non è possibile concedere le esequie senza pubblico scandalo dei fedeli». «La privazione delle esequie ecclesiastiche comporta anche la negazione di qualsiasi messa esequiale (can. 1185)», prosegue il decreto, che tuttavia non esclude «la possibilità di pregare e di celebrare messe di suffragio, se ciò non causi pubblico scandalo nei fedeli». Il «rifiuto delle esequie ecclesiastiche – si legge ancora –, che si configura come una sanzione giuridica ecclesiastica, sia di stimolo al ravvedimento di coloro che perseverano in tali atteggiamenti ed invito ad abbandonare» le loro «scelte di vita». Tale divieto, aggiunge il testo del vescovo Raspanti, «è finalizzato alla restaurazione dell’ordine turbato, al fine di coesione di tutti i fedeli nella Chiesa e alla aspirazione a che nulla possa costituire uno scandalo per i credenti e motivo di allontanamento dalla retta via».

«In più occasioni la Chiesa ha definito con chiarezza cosa pensa dell’organizzazione mafiosa: l’appartenenza a questa organizzazione è incompatibile con il Vangelo e con l’appartenenza alla Chiesa. Io non ho fatto altro che tirarne le conseguenze estreme su un caso: le esequie», ha aggiunto il vescovo di Acireale, illustrando i contenuti del decreto a margine della presentazione, lo scorso 22 giugno, di un suo volume appena pubblicato dall’editore trapanese Il Pozzo di Giacobbe (Cultura della legalità e società multireligiosa). «Probabilmente l’applicazione in questo territorio è un po’ più innovativa, ma io non voglio enfatizzare. Si tratta però di un segnale fermo, perché vorrei che ci fosse una netta distinzione e chiarezza tra chi appartiene ad un’organizzazione e chi appartiene alla Chiesa», perché «le due cose sono inconciliabili. Vorrei che la nostra sensibilità si alzasse di molto e desidererei anche che chi aderisce a queste organizzazioni ci riflettesse meglio e potesse, come dicono Gesù e il papa, convertirsi, cioè cambiare». La decisione di non consentire i funerali religiosi, conclude Raspanti, «non è una nostra condanna terrena, mira a salvare l’anima ed è un ulteriore ultimo scuotimento per far riflettere le persone che si trovano in questa situazione. La misericordia di Dio è sempre disponibile, ma bisogna accoglierla». «È un segno importante – ha aggiunto Anna Maria Cancellieri, ministra della Giustizia, intervenuta all’incontro insieme al procuratore della Repubblica di Catania Giovanni Salvi – in certe occasioni anche i simboli hanno un significato e un fenomeno come la mafia si combatte anche con i simboli».