Lazzati, cattolico controcorrente

Massimo Faggioli
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Il “pensare politicamente” di un maestro dei cattolici democratici e la lunga battaglia contro Cl e contro il ruinismo-wojtylismo

“Pensare politicamente” fu il marchio di alcuni esponenti del cattolicesimo italiano alle prese, nella storia repubblicana, con la sfida di inserire i cattolici nella politica nazionale senza renderli soggetti alle gerarchie ecclesiastiche, né proni alle tentazioni dell’occupazione del potere per il potere. Tra quelli che più hanno segnato il panorama del cattolicesimo politico della Prima repubblica vi è indubbiamente Giuseppe Lazzati, intellettuale milanese, studioso della letteratura cristiana antica. Componente del “gruppo dossettiano” che tanta parte ha avuto e ha nelle diatribe più interne ai cattolici, Lazzati ebbe la particolarità di confrontarsi direttamente e su più fronti per la difesa di un’idea alta di cattolicesimo impegnato in politica.

Il primo fronte fu quello del partito della Democrazia Cristiana: partecipe insieme a Dossetti e Fanfani all’opposizione a De Gasperi, fondò nel settembre 1946 l’associazione Civitas humana da cui nacque la rivista Cronache Sociali, del cui comitato di redazione fece parte, segnalandosi per le prese di posizione contrarie ai Comitati civici di Luigi Gedda e in favore dell’autonomia dell’azione politica dei cattolici dalle gerarchie ecclesiastiche. Ricoprì incarichi politici anche rilevanti per sette anni, dal 1946 al 1953 (padre costituente, uomo di partito nella Democrazia cristiana, deputato impegnato nell’azione legislativa): come Dossetti lasciò la politica attiva nel 1953, ma senza mai operare una svolta teologica ed ecclesiale al di fuori dall’agone pubblico in senso proprio, e prese le distanze da una Dc sempre più fautrice di politiche liberali e non ispirate alla dottrina sociale cristiana. Scrisse nel 1975: «Non possiamo non riconoscere la contraddittorietà dell’azione politica condotta dai cattolici italiani a partire dal dopoguerra: essi hanno tradito lo spirito della Costituzione che aveva posto i fondamenti di uno Stato sociale, gestendo per trent’anni uno Stato liberale».

lezioni-di-politica logoIl secondo fronte fu quello locale politico-ecclesiale milanese, in un periodo-chiave per il ruolo della “capitale morale” d’Italia (e forse anche del cattolicesimo italiano). Docente alla Cattolica di Milano dal 1958 al 1979, e rettore nel lungo quindicennio post-1968 fino al 1983, Lazzati dovette destreggiarsi tra la difesa dell’istituzione di fronte alla radicalizzazione degli anni settanta (anche degli studenti cattolici) e l’aggressività di Comunione e Liberazione scaturita dal capoluogo lombardo. Tenace oppositore dell’idea ciellina della “presenza” nelle istituzioni del potere come sbocco privilegiato alla vocazione politica del cristiano, Lazzati soffrì le rappresaglie di Cl in vita e dopo la morte.

Il terzo fronte fu quello ecclesiale, ovvero dell’istituzione cattolica, che non vide sempre di buon occhio la sua idea di indipendenza del laicato dalle gerarchie: in un’Italia che, a inizio anni ottanta, subiva la virata di Giovanni Paolo II verso un “modello polacco” di azione diretta delle gerarchie nella vita politica del paese, Lazzati riprese e sviluppò, per un contesto assai mutato, la “Civitas humana” fondata da Dossetti nel 1946 e fondò tra 1984 e 1985 (anno fatale per l’ascesa del ruinismo) la sua rete “Città dell’uomo”. Con il ruinismo-wojtylismo da una parte e la cultura modernizzatrice della “Milano da bere” craxiana dall’altra parte, Lazzati sapeva di agire contro corrente, sia nella chiesa sia nella politica italiana.

Processo di beatificazione di Lazzati a parte, il “pensare politicamente” di questo maestro dei cattolici democratici italiani parla di problemi ancora tipici della questione politica cattolica e non. In primo luogo vi è il nodo del rapporto tra cattolicesimo italiano e la formazione del suo laicato o delle sue élite (che esistono sempre, checché ne dicano gli ideologi della politica in rete): Lazzati era fermamente convinto della necessità di una formazione e di una cultura che venissero prima di ogni impegno politico diretto. Laicità, mediazione culturale e dialogo erano i temi-chiave di questa idea di formazione. Non c’è da stupirsi che i nemici privilegiati di Lazzati fossero quelli di Cl, in quegli anni in cui il Meeting di Rimini iniziò a diventare la passerella del “who’s who” della politica in Italia (papi compresi).

Il secondo nodo è quello della relazione tra cristianesimo e opzioni politiche, che Lazzati vedeva in termini di pluralismo, ad esclusione di ogni settarismo e strumentalizzazione del cattolicesimo come instrumentum regni. Lazzati rese concreta questa sua presa di posizione con la definizione del suo movimento come indipendente sia dai partiti (in primo luogo dalla Dc) sia dalla chiesa (in esplicita opposizione al modello ciellino).

Il terzo nodo, forse quello più importante oggi, è un “pensare politicamente” che si rifiuta di ridurre la politica ad amministrazione. Allora, negli anni ottanta, la polemica era contro quel sottobosco pre- e para-leghista, come la tecnicizzazione della politica portata avanti dal politologo (della Cattolica) Gianfranco Miglio, una concezione amorale della politica come tecnica.

Da trent’anni a questa parte sono molto cambiati sia il cattolicesimo italiano sia la sua rappresentanza politica, ma l’importanza di queste lezioni rimane immutata.