Dalla «porta stretta» alla «chiesa liberale». Una riflessione sulle parole che hanno aperto e chiuso il Sinodo delle chiese valdesi e metodiste

Sergio Rostagno
www.vociprotestanti.it

Il Sinodo 2013 si è aperto con un discorso basato sull’idea di «entrare per la porta stretta» (Maria Bonafede, molto apprezzata Moderatora nel settennio passato), e si è chiuso con un discorso del Moderatore attuale Eugenio Bernardini che proponeva di allargare le maglie, nel senso di essere una chiesa «liberale».

Il primo discorso fu gradito da chi teme un rilassamento dei nostri comportamenti. Il secondo invece da quanti pensano a una chiesa per tutte le persone. Nel primo si consigliava alla chiesa di stringere i freni, nel secondo di allentarli.

Due precisazioni vanno fatte. Porta stretta non significa andare a cercare le difficoltà, per poi mettere le persone di fronte all’insuccesso, o a un rigore fine a se stesso. Il testo di domenica 22 settembre ci dice che c’è una sola mediazione tra Dio e gli uomini, Cristo Gesù (1 Tim. 2, 1-7); quindi nessuna teoria del rigore. Nessuna regola che ci imponiamo nell’illusione che essa ci renda perfetti. Gesù vuole che i suoi discepoli si distinguano da coloro che fanno proseliti, per renderli chiusi e rigorosi. La porta stretta è il battesimo. Oggi qualcuno dice che bisogna sostituire il battesimo con la «concretezza della fede», ma forse non sa quello che dice.

Seconda precisazione: Chiesa liberale non significa una chiesa che ammette qualsiasi cosa o che bada soltanto all’accoglienza, senza fare un discorso serio per chi lo vuole sentire.

Entrambi i discorsi vanno mantenuti nella loro dialettica. Da un lato senza confondere le nostre scelte con l’evangelo di Gesù Cristo. Legare l’evangelo alle nostre scelte è un pericolo che trasforma la chiesa in una setta, in una «comunità», nel senso sociologico del termine.

È legalismo puro e semplice. Sarebbe antitetico a quanto leggiamo varie volte negli evangeli canonici. Il Moderatore Bernardini aveva ragione a ricordarci il pericolo.

Dall’altro lato senza rinunciare a trasmettere, oltre l’apertura generosa verso tutti e tutte, l’idea che la libertà impone idee chiare. Se siamo contrari a una chiesa bigotta, lo siamo anche a una chiesa che non avrebbe più il coraggio di tenere dritta la barra del timone, come si dice. Strana dialettica per cui non sai mai precisamente dove ti trovi, ma sai che almeno ti trovi con Cristo.

L’apostolato di Paolo era rivolto ai pagani. Gesù Cristo è morto per tutti, altrimenti il suo stesso apostolato presso i pagani non avrebbe più senso. Ma Gesù Cristo è «uomo» dice ancora 1 Tim 2, venuto per partecipare alla storia comune. («Uomo» anche nel senso di Filippesi 2, 5ss, aggiungerei).

Questo senso di apertura a ogni persona, senza legare e senza sciogliere sulla base di puri preconcetti – vuoi dottrinali, vuoi comportamentali o etici – può essere conservato soltanto nel nome di Cristo e non già nel nome nostro. D’altra parte questo non significa mettersi da parte rispetto alla storia di queste persone, ma partecipare alla storia comune, che impone talvolta di mantenere il coraggio della propria scelta. Mantenere la propria scelta è una cosa, identificarla con Cristo è l’opposto. Solo gl’ipocriti confondono le due cose, come se si trattasse della stessa cosa, come se evangelo e legge fossero uguali. Occorre che entrambi siano chiari, ciascuno nella sua specificità. La loro sovrapposizione frutta qualche applauso, ma è questo, soprattutto, il pericolo da evitare.

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SINODO VALDESE: RICERCA EURISKO, ITALIANI “ANALFABETI” DI CULTURA RELIGIOSA
www.agensir.ir – 26 agosto 2013

Italiani ignoranti in materia di cultura religiosa. È quanto emerge da un’indagine condotta da Gfk Eurisko per conto della Chiesa valdese, i cui dati saranno presentati questa sera a Torre Pellice ad una serata pubblica promossa nell’ambito del Sinodo delle chiese metodiste e valdesi alla quale parteciperà anche il ministro per l’Integrazione Cécile Kyenge.

Dal sondaggio – anticipato alla stampa e condotto su un campione di 2000 persone – emergono dati già acquisiti come il fatto che il 92% degli italiani si dice cattolico e quasi il 90% afferma di aver ricevuto un’educazione cattolica e che solo l’11% degli intervistati afferma di andare in chiesa regolarmente. La novità della ricerca sta nell’indagare il grado di conoscenza religiosa degli italiani.

Il primo dato che emerge è che la Bibbia è letta pochissimo: solo il 29,3 % degli intervistati avvicina il testo sacro fuori dalle celebrazioni liturgiche. Non stupisce, allora, che oltre il 50% degli italiani abbia idee confuse sugli autori biblici: alla domanda ‘Chi ha scritto la bibbia?’, un 30% degli italiani risponde Mosè, un altro 30% risponde Gesù, e coloro che sono in grado di citare correttamente i 4 evangelisti non arrivano al 30%”; soltanto il 16% è in grado di mettere in ordine cronologico Noè, Abramo, Mosè e Gesù. Meno di due italiani su cento sono in grado di citare i dieci comandamenti e il 41% ne sa citare uno soltanto; il 17,2 non riesce neanche a ricordare il prevedibile “non uccidere”.

“Sta crollando la percentuale di chi frequenta attività catechistica – dice Naso – tuttavia coloro che sono in grado di indicare il caposaldo di qualsiasi corso di catechismo cattolico (le tre virtù teologali, fede, speranza e carità) non arrivano al 17% di coloro che hanno frequentati questi corsi. Dalla ricerca emerge anche che è la parrocchia (per il 43% degli intervistati) il luogo principale dove gli italiani hanno imparato di più a conoscere le altre religioni. Scuola e università fanno una pessima figura: solo un intervistato su 4 (25%) risponde di aver ricevuto queste informazioni sui banchi di scuola e solo il 29% dai media.

Il ruolo della parrocchia è “enorme” conferma al Sir Paolo Naso, coordinatore della Commissione studi della Federazione delle chiese evangeliche in Italia: “Sono diventate i naturali mediatori culturali perché hanno capito che se vogliono essere all’altezza della sfida del pluralismo religioso, devono spiegare il senso della convivenza culturale e multireligiosa senza rinunciare alla loro specifica identità e messaggio”.

Sui temi eticamente sensibili arriva l’altra sorpresa: “gli italiani sono – dice Naso – al 63% favorevoli all’apertura delle moschee; il 63% è aperto e pronto al riconoscimento legale delle coppie omosessuali mentre il 75% è favorevole ad una legge sul testamento biologico e il 65% è favorevole all’inseminazione eterologa. Quindi, cattolici, analfabeti, eticamente individualisti.”
“Le comunità di fede – aggiunge Naso – sono sempre più chiamate a diventare laboratori di integrazione”. Esiste infatti “un rapporto stringente” tra i crescenti fenomeni di razzismo e l’analfabetismo religioso. Non sapere oggi chi è un cattolico, chi un musulmano, perché un Testimone di Geova si comporta in un modo e un Sikh in un altro, costruire un pregiudizio su queste cose è un viatico nei confronti delle forme di discriminazione e razzismo. “La forza più percepibile di razzismo è la discriminazione nei confronti di chi ha una religione diversa” e “il vettore religioso anziché essere un vettore di mediazione in funzione della coesione sociale diventa vettore di scontro”.

“Le chiese e le comunità di fede hanno un ruolo dunque nei percorsi di integrazione, ma non commettiamo però l’errore di affidare loro un ruolo di supplenza. L’alfabetizazione religiosa non riguarda chi crede ma tutti, chi crede e chi non crede, le comunità di fede e lo Stato”.