Il papa alla conquista degli atei (devoti)

Cecilia M. Calamani
www.cronachelaiche.it

Il papa scrive a Repubblica per rispondere alle domande di Eugenio Scalfari (ateo e illuminista, come lui stesso si definisce) e la notizia oscura sui media i problemi di un Paese sul bilico democratico e i giochi guerra-non guerra di Obama e Putin. Il nuovo miracolo bergogliano è compiuto, il papa innovatore conquista ancora la ribalta delle prime pagine dei giornali mentre si susseguono commenti di ammirazione e stupore da ogni dove. Poco importa il contenuto della missiva, una cosa del genere non si era mai vista prima d’oggi e questo basta e avanza per farne la notizia del giorno.

Ma entriamo nel merito e, soprattutto, andiamo con ordine. A partire dalla prima domanda del fondatore di Repubblica: «Se una persona non ha fede né la cerca, ma commette quello che per la Chiesa è un peccato, sarà perdonato dal dio cristiano?». L’interrogativo, posto da un non credente, non ha alcun senso. E la risposta del papa non è da meno: «La questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza. Il peccato, anche per chi non ha la fede, c’è quando si va contro la coscienza». Il confronto tra i due, è palese, non si svolge in zona franca ma sul campo di gioco del papa. Cosa sono coscienza e peccato, infatti, se non termini che hanno vita e valore solo all’interno di un contesto religioso? L’appello del papa alla coscienza indica chiaramente un’unica Coscienza, che quella dell’unica Verità possibile. La risposta quindi va letta per bene, nel suo significato profondo: se un ateo agisce secondo la coscienza cattolica allora dio lo perdonerà per non aver creduto in lui. Ma un ateo che fa suoi i valori del cattolicesimo non è un ateo, quindi il problema non si pone ab origine. Una pericolosa porta girevole nella quale un non credente neanche deve cercare di entrare, perché trascina su un linguaggio, un modello e dei valori che si pongono su un piano non condiviso.

E arriviamo alla seconda questione: «Il credente crede nella verità rivelata, il non credente pensa che non esista alcun assoluto e quindi neppure una verità assoluta, ma una serie di verità relative e soggettive. Questo modo di pensare per la Chiesa è un errore o un peccato?». La risposta papale cerca inizialmente una convergenza («Per cominciare, io non parlerei, nemmeno per chi crede, di verità “assoluta”, nel senso che assoluto è ciò che è slegato, ciò che è privo di ogni relazione», scrive Bergoglio) ma finisce col negarla: «Ciò non significa che la verità sia variabile e soggettiva, tutt’altro». Sarebbe l’uso dei vocaboli che, secondo il papa, svia la convergenza di due mondi apparentemente lontani: «Dunque, bisogna intendersi bene sui termini e, forse, per uscire dalle strettoie di una contrapposizione… assoluta, reimpostare in profondità la questione». In sintesi c’è un’unica verità, e chi la relativizza sbaglia di grosso (ma cosa si aspettava di diverso Scalfari?).

Infine la terza domanda: «[…] penso che con la scomparsa della nostra specie scomparirà anche il pensiero capace di pensare dio e che quindi, quando la nostra specie scomparirà, allora scomparirà anche dio perché nessuno sarà più in grado di pensarlo. Il Papa ha certamente una sua risposta a questo tema e a me piacerebbe molto conoscerla». Una domanda tautologica alla quale la risposta non può che essere nuovamente scontata: «Dio non è un’idea, sia pure altissima, frutto del pensiero dell’uomo Dio è realtà con la “R” maiuscola. Gesù ce lo rivela […]. Dio non dipende, dunque, dal nostro pensiero». D’altronde, se Bergoglio avesse detto che dio è un’idea dell’uomo sarebbe stato ateo.

La lettera del papa costituisce notizia, sì, ma non novità. Rimarca che il dialogo è possibile solo se il piano dei valori non è quello civile ma quello cattolico e solo se l’ateo del caso accetta come fine ultimo delle pulsioni umane la verità cristiana. Al di fuori di quel perimetro linguistico e morale nessun confronto è possibile. Ciò che secondo la Chiesa va contro Cristo non può costituire argomento di discussione; il vivere civile non può essere estrapolato da un contesto religioso che lo fa coincidere con una rigida morale senza deroghe.
Che un ateo illuminista cerchi il confronto attraverso domande significative solo in un alveo di fede, va detto, fa un po’ tristezza. Il dialogo ha senso su un terreno neutro, contrapponendo visioni diverse e cercando una sintesi sul piano civile. Impostarlo così come ha fatto Scalfari ne svilisce il senso e l’importanza. Altre sono le basi dalle quali partire e una prima di tutte: la verità non è appannaggio di alcuno (o, in modo equivalente, lo è di ognuno). E le singole verità, i milioni di verità che sono rappresentati nel mondo, non possono in alcun modo vincolare la vita civile e le regole condivise che sono, per l’appunto, di tutti. Il papa rappresenta una visione di vita legittima ma relativa: fornirgli il mezzo per proclamarla ancora una volta come assoluta e indiscutibile è un affossamento di quella stessa causa che Scalfari, da uomo ideologicamente libero, si propone di perorare.
Ma peggio ancora, questo carteggio pubblico a suon di riverenze reciproche fa percepire ai più un’apertura che è apparenza e non sostanza. D’altronde, dove il Bene è uno e uno solo ogni forma di libertà di pensiero è esclusa.

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Dialogo coi non credenti: Bergoglio l’incredibile

Alessandro Baoli
www.cronachelaiche.it

I media tutti, con pochissime eccezioni, proseguono nella stucchevole e indecorosa celebrazione mediatica di papa Francesco, qualunque cosa faccia (sia che si porti da solo la sua valigetta, sia che si presti a un autoscatto col cellulare) o dica, comprese le ovvietà più evidenti.

L’ultima eroica impresa di Bergoglio celebrata dai media è la sua risposta a due articoli di fondo di Eugenio Scalfari pubblicati il mese passato da Repubblica. In un paese normale non si starebbe tanto a celebrarla: anzitutto perché altri papi si sono già tolti lo sfizio di esibire un presunto e beffardo lato dialogante coi non credenti, basti pensare – per fare solo un esempio – al papa emerito Ratzinger e al suo confronto con un altro famoso ateo devoto, Marcello Pera. Poi, perché la risposta del papa a Scalfari appare deludente, una bella omelia come quelle che ogni prete è capace di recitare a macchinetta la domenica dal pulpito.

Ma c’è un aspetto tra le questioni sfiorate dal monarca e dall’ateo devoto che fa apparire Francesco come uno appena arrivato da Marte, e desta persino indignazione in chi sogna l’Italia come uno stato laico e per questo si spende (e subisce) ogni giorno.

Scalfari, nel suo articolo del 7 agosto scorso, in una cosa almeno era stato molto chiaro: «Non c’è mai stato un papa che non abbia gestito il potere, che non abbia difeso, rafforzato, amato il potere, non c’è mai stato un papa che abbia sentito come proprio il pensiero e il comportamento del poverello di Assisi». Questa affermazione ha delle notevoli implicazioni politiche, in una nazione come l’Italia, e porta inevitabilmente a chiedersi se la Chiesa di Francesco intende cambiare rotta. Ed è qui che il papa regnante si produce in una sconfortante elusione della domanda, proponendo invece la solita fregatura: perché quello che scrive non risolve la questione di cosa deve fare l’amministratore pubblico cattolico, di cui si occupa incessantemente la Chiesa, tra la sua fede e la necessità di amministrare anche per conto di chi non crede.

«È venuto ormai il tempo», scrive infatti Bergoglio sul confronto tra credenti e non credenti, «di un dialogo aperto e senza preconcetti che riapra le porte per un serio e fecondo incontro», perché questo dialogo «non è un accessorio secondario dell’esistenza del credente: ne è invece un’espressione intima e indispensabile». Segue una citazione dalla Lumen fidei che Bergoglio fa propria: «La fede non è intransigente, ma cresce nella convivenza che rispetta l’altro. Il credente non è arrogante; al contrario, la verità lo fa umile, sapendo che, più che possederla noi, è essa che ci abbraccia e ci possiede. Lungi dall’irrigidirci, la sicurezza della fede ci mette in cammino, e rende possibile la testimonianza e il dialogo con tutti».

Ma dov’era Francesco in questi ultimi decenni di Concordato? Non sa nulla della politica di Wojtyla e Ratzinger, delle loro martellanti chiamate a rapporto dei politici italiani? Del loro tirare il guinzaglio ogni volta che il parlamento italiano (non vaticano, che manco esiste) ha affrontato questioni legate alla libertà di scelta dei singoli cittadini? Dell’imposizione, non arrogante ma arrogantissima, dei famigerati valori non negoziabili?

Di proclami e prese d’impegno Bergoglio ne ha fatte molte per essere sul trono da soli sei mesi, ma è necessario che esibisca la prova concreta e fattiva della sua serietà. Il credente non è arrogante? Allora Francesco dia subito un segnale concreto di discontinuità, si distacchi dalla politica dei suoi predecessori e richiami i politici cattolici al “rispetto dell’altro”, invece che arruolarli quotidianamente nella guerra santa contro il resto del mondo. Un esempio concreto e immediato? Dica loro di non opporsi a una legge seria contro l’omofobia, facendola finita con la scusa indecente della libertà di espressione.

La smetta di rifornire di alibi e pretesti chi per entrare nei palazzi di Roma ha giurato sulla Costituzione ma governa con la Bibbia (e l’Osservatore romano) sulla scrivania: scriva non una lettera a un giornale, ma una missiva chiara ed inequivocabile ai politici cattolici per spronarli a dare – finalmente – a Cesare quel che è di Cesare e a dio quel che è di dio. Spieghi loro che «il compito arduo di articolare e incarnare nella giustizia e nella solidarietà, nel diritto e nella pace, una vita sempre più umana» che gli tocca non vuol dire affatto imporre un’etica per legge.

La verità è che il dialogo dei cattolici è da sempre una trappola vera e propria, una dilazione permanente per imbrigliare quanta più gente possibile in una palude melmosa di elucubrazioni mentali e speculazioni filosofiche totalmente inutili, mentre si mantiene lo status quo in cui i non credenti devono lottare per avere gli stessi diritti dei cittadini cattolici osservanti.

Bisogna opporsi con tutte le forze a questo trucco e smascherarlo: caro Francesco, prima esibisca il rispetto vero, che vuol dire lasciare libera la politica di dare quello che spetta (diritti e libertà individuali) ai non credenti e occuparsi di spiritualità; dopo – e solo dopo – può venire il dialogo sui massimi sistemi e sul sesso degli angeli. Con chi vuole dialogare, s’intende.

Perché l’unico modo per fare davvero “un pezzo di strada insieme” è accettare che nel mondo ci sono anche i non credenti; e non quelli che non credono perché non conoscono, ma quelli che non credono perché hanno scelto consapevolmente e liberamente di non credere. Dunque, caro Francesco, se vuole essere credibile ci dia una prova.