I media nazionali e le presunte aperture papali

Redazione Uaar News
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Che le medesime parole espresse da esponenti pubblici possano essere utilizzate, indifferentemente, a sostegno o contro lo stesso esponente è cosa risaputa, almeno da chi abbia un minimo sindacale di capacità critica. Quello che si può fare con una sapiente operazione di collage, rielaborando l’ordine delle parole e ricontestualizzandole, non ha quasi limiti. Ma, appunto, in genere queste operazioni vengono fatte in entrambi i sensi e quindi alla fine il lettore/spettatore ha la possibilità di attingere a fonti che pubblicano interpretazioni opposte. In genere. Non così, almeno in Italia, quando ad essere analizzate sono le parole del pontefice.

Tutti pazzi per Bergoglio

Quando si parla del papa, qualunque papa, si assiste a una sostanziale convergenza di giudizi da quasi tutte le parti. Raramente si leggono opinioni che non esprimano apprezzamento, e con l’elezione di Bergoglio il clima di papolatria sembra dilagare ancora più di prima, complice lo stile comunicativo decisamente più affabile di quello del suo predecessore. E così ogni parola viene ricondotta a una presunta apertura della Chiesa verso temi socialmente rilevanti e a una sua complessiva modernizzazione. Ma è veramente così? Noi pensiamo di no e rileviamo anzi che non sembra profilarsi all’orizzonte nessuna riforma concreta che renda la Chiesa meno invadente di quanto lo sia oggi, a dispetto dei presunti incitamenti al dialogo (ma a senso unico).

Vediamo, ad esempio, cosa si è detto e cosa effettivamente è stato detto dal papa nella recente intervista rilasciata a Civiltà Cattolica. Prendiamo il titolo del Corriere della Sera: Il Papa apre ai divorziati e alle donne che hanno abortito: «Misericordia, non tortura». Si parla quindi di apertura, ma in quale senso? Magari il lettore distratto viene portato ad attendersi una presa di posizione a favore della legge 194, o quantomeno un’eliminazione della scomunica latae setentiae prevista dal codice di diritto canonico per le donne che abortiscono, ma a leggere più attentamente si vede che in realtà il riferimento è al ruolo del confessore e a tal proposito Bergoglio dice: “Penso anche alla situazione di una donna che ha avuto alle spalle un matrimonio fallito nel quale ha pure abortito. Poi questa donna si è risposata e adesso è serena con cinque figli. L’aborto le pesa enormemente ed è sinceramente pentita. Vorrebbe andare avanti nella vita cristiana. Che cosa fa il confessore?”. Interessante l’accostamento dell’immagine del matrimonio fallito con quella dell’aborto, e quella del pentimento con la prolificità.

Nulla di nuovo nell’orientamento ecclesiatico, dunque, e la cosa viene confermata anche nel successivo incontro del papa con i ginecologi cattolici per cui ancora il Corriere della Sera titola: Il discorso del Papa ai medici ginecologi: «Aborto prodotto della cultura dello scarto». Bergoglio, in un passaggio del suo discorso, si congratula con i dottori e ricorda che per la dottrina cattolica il ruolo principale della donna è fare figli: “alla luce della fede e della ragione voi riconoscete la maternità come missione fondamentale della donna, sia nei paesi poveri dove il parto è ancora rischioso per la vita, sia in quelli più benestanti dove spesso la maternità non è adeguatamente considerata e promossa”.

I gay: sì a chi cerca Dio, no alle lobby

Nemmeno a proposito dell’omosessualità il discorso cambia, a dispetto del titolo di Repubblica che dice: Il Papa: “La Chiesa? Un ospedale da campo” – E chiede misericordia per gay e chi ha abortito. Qui almeno lo si dice chiaramente che oltre alla semplice misericordia non si andrà. Non rispetto, si badi bene, ma misericordia, pietà. I gay, i divorziati, le donne che abortiscono vengono sempre dipinte come persone che devono essere infelici e a cui la Chiesa si propone quindi di dare conforto, sostegno morale. Degno di nota sarebbe anche l’aneddoto personale che Bergoglio ha raccontato a sostegno della sua metafora che vuole una Chiesa formato ospedale da campo: “Quando ho avuto il problema al polmone in ospedale, il medico mi diede penicillina e strectomicina in certe dosi. La suora che stava in corsia le triplicò perché aveva fiuto, sapeva cosa fare, perché stava con i malati tutto il giorno”. Ogni commento sembra superfluo.

Anche sulle presunte aperture di papa Francesco verso gli omosessuali i giornali hanno speculato molto, ma anche qui se si va a vedere la sostanza è poca. Sul volo di ritorno dalle giornate della gioventù in Brasile, il papa aveva parlato ai giornalisti degli omosessuali, commentando le notizie sulla lobby gay in Vaticano. Il papa ci aveva tenuto a precisare che un conto sono i singoli omosessuali, un altro conto le “lobby”. Quindi “se una persona è gay e cerca il Signore e ha buona volontà, chi sono io per giudicarla?”, si era limitato a dire. Certo non si può ignorare una differenza, quantomeno nel tono comprensivo. Il problema per Bergoglio, come per il suo predecessore Ratzinger, non sono i gay che si sentono inadeguati, fragili, che vivono un disagio (proprio a causa della demonizzazione clericale), che sono credenti e cercano il perdono della Chiesa: il problema sono i gay orgogliosi, che si organizzano e fanno valere i propri diritti, dipinti come persone che provocano e “ostentano” la propria omosessualità.

Proprio Francesco, nella recente intervista alla rivista dei gesuiti, è tornato sul punto: “Durante il volo di ritorno da Rio de Janeiro ho detto che, se una persona omosessuale è di buona volontà ed è in cerca di Dio, io non sono nessuno per giudicarla. Dicendo questo io ho detto quel che dice il Catechismo”. Infatti nel Catechismo viene condannata l’omosessualità: gli atti omosessuali “sono contrari alla legge naturale” e “in nessun caso possono essere approvati”. L’”inclinazione” gay è comunque “oggettivamente disordinata”. Ma gli omosessuali “devono essere accolti con rispetto, compassione, delicatezza”, senza “marchio di ingiusta discriminazione”, e sono chiamati alla castità e alla preghiera per “avvicinarsi alla perfezione cristiana”. Altro aneddoto, che racconta lo stesso Bergoglio, è indicativo della sottile capacità di svicolare questioni dirimenti: “Una volta una persona, in maniera provocatoria, mi chiese se approvavo l’omosessualità. Io allora le risposi con un’altra domanda: “Dimmi: Dio, quando guarda a una persona omosessuale, ne approva l’esistenza con affetto o la respinge condannandola?”. Bisogna sempre considerare la persona»”. L’ambigua risposta di Bergoglio — come quelle date a Scalfari nella famosa lettera a Repubblica — diventa una perla di saggezza e segno di apertura.

Le dichiarazioni del papa e il cattolicesimo reale

La vera linea perseguita dalla Chiesa sotto la guida di Bergoglio la si evince invece da altre frasi, come per esempio questa: “Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. […] Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione”. Come dire che continuare a stigmatizzare gay e donne che abortiscono in una società secolarizzata non porterà nessun consenso, molto meglio non parlarne — almeno non in questi termini — pur continuando a mantenere la barra a dritta. Quando eravamo noi a sottolineare come la Chiesa fosse ossessionata da temi come sesso e bioetica, con le allarmistiche dichiarazioni di Benedetto XVI, ci veniva affibbiata l’etichetta di impertinenti laicisti e anticlericali per partito preso da parte degli stessi media che ora celebrano le aperture bergogliane fatte di enunciazioni continue. Aperture che, come ammette implicitamente lo stesso Francesco, sono dettate da esigenze di immagine. Tutto sommato è un fatto positivo che il capo di una grande religione debba ammorbidire i toni delle tradizionali posizioni, è il segno che la secolarizzazione avanza e che la Chiesa deve farsene una ragione, cercando di rendersi più accettabile a fedeli e non. Lo stile duro e puro di Ratzinger non funziona più, di questo devono essersi resi conto in Vaticano. Ma di strada da fare ce n’è ancora perché le parole si traducano in fatti.

Mentre il papa è conciliante ed empatico, la Chiesa nel suo complesso e i fedeli più pii non mostrano affatto un atteggiamento più aperto. Anche le posizioni degli elettori dell’ultimo conclave che ha elevato Bergoglio non sono cambiate di una virgola. Il clericalismo dei prelati è sempre prepotente, come dimostrano ad esempio le ultime dichiarazioni — proprio su omosessuali e famiglia — dei cardinali Carlo Caffarra e Angelo Bagnasco. E come dimostra la battaglia (per ora vincente) dei vescovi italiani contro la legge sull’omofobia, che vede eccezioni proprio per le confessioni religiose. Allo stesso modo, i politici che si dichiarano cattolici in Parlamento e altrove ostentano la consueta rigidità su certi temi, boicottando le riforme laiche. Persino Silvio Berlusconi nel suo ultimo videomessaggio ha proclamato con enfasi che la nuova Forza Italia “difende i valori della nostra tradizione cristiana, il valore della vita, della famiglia”.

Il confessionalismo in politica (che cerchiamo parzialmente di evidenziare con le clericalate), come sappiano, è diffusissimo e non accenna a diminuire con il nuovo corso bergogliano. Anzi molti si sentono più legittimati perché rendono omaggio a un papa simpatico, che gode di diffusi consensi. In questo clima non mancano cedimenti o eccessive aspettative da parte di laici di diversa estrazione, come Massimo Teodori, Nichi Vendola e Vauro. Soprattutto a sinistra, la crisi di modelli e identità politica porta ora a considerare Francesco un punto di riferimento, persino un progressista, per qualche accenno letto come anticapitalistico, per l’appello contro la guerra e le ricorrenti parole di misericordia.

Se proprio si volesse cercare qualche apertura, sebbene tutta da verificare, occorrerebbe andare in altre frasi che però non hanno avuto la stessa eco di quelle sopra. In particolare il papa ha detto: “La religione ha il diritto di esprimere la propria opinione a servizio della gente, ma Dio nella creazione ci ha resi liberi: l’ingerenza spirituale nella vita personale non è possibile”. Che dire, possiamo aspettarci che finalmente si riconosca che ogni persona ha il diritto di autodeterminarsi e di conseguenza che una legge a favore dell’eutanasia è desiderabile anche dai cattolici? Magari! E dice anche: “Questa Chiesa con la quale dobbiamo “sentire” è la casa di tutti, non una piccola cappella che può contenere solo un gruppetto di persone selezionate. Non dobbiamo ridurre il seno della Chiesa universale a un nido protettore della nostra mediocrità”. Se il riferimento è al fanatismo cattolico e il messaggio è inteso a cercare di emarginarlo, la cosa non può che farci piacere. Spiace semmai che determinati aspetti non vengano opportunamente sottolineati, se non altro a futura memoria, dai mezzi di informazione che invece preferiscono lanciarsi in facili sensazionalismi. Anche se a dire il vero qualcuno ogni tanto sembra accorgersi di queste incongruenze, come Filippo Facci in un suo breve articolo pubblicato su Libero e Luca Kocci su il manifesto.

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Falso movimento

Alessandra Daniele
www.carmillaonline.com

Le posizioni della Chiesa su aborto e omosessualità non sono cambiate d’una virgola. Il Vaticano non ha rinunciato a un centesimo del suo sterminato patrimonio, né dell’otto per mille, né delle esenzioni fiscali.

Eppure i media mainstream sono in preda a una papofilia che non si vedeva dai tempi delle tournée wojtyliane, e per giorni, prima che arrivasse il contrordine, hanno spacciato per ”apertura rivoluzionaria” quella che è praticamente una citazione dal catechismo: le donne che hanno abortito, se sinceramente pentite, vanno perdonate.

Qualcuno avverta teologi e vaticanisti che la Chiesa Cattolica, da sempre, per statuto, se sinceramente pentito deve perdonare anche Ctuhluh.

L’astuto e mellifluo Bergoglio, il gesuita travestito da francescano, è la prova vivente che le capacità mimetiche vaticane superano persino quelle degli insetti. Francesco è un papa d’emergenza, per i tempi di crisi, bravissimo a far sembrare la Chiesa tutto quello che non è: aperta, generosa, compassionevole.

Bergoglio è un’illustrazione perfetta del termine ”gesuitico”, l’ipocrisia elevata a virtuosismo. L’umiltà ostentata, il lusso elegante spacciato per frugalità, la retorica pauperista mai seguita da cessioni, o riforme concrete. I buoni propositi, le promesse elettoraloidi di ”rinnovare”, ”fare pulizia”, che si sostanziano solo nella sostituzione di qualche boiardo bollito con uno più giovane e fidato.

L’offerta promozionale dell’estate, la lotteria delle telefonate che regala quindici minuti di popolarità al caso umano di turno, purché, come nei quiz, risponda nel modo giusto, e si complimenti per la trasmissione.
Un falso movimento che solo accanto al moto retrogrado dell’Italia può sembrare vagamente reale.

Un pontefice che s’atteggia a parroco di periferia non è umile, è falso. Chi ha il potere di cambiare le cose deve cambiarle, non auspicare che cambino. L’attuale leadership vaticana non è migliore delle precedenti. Però, riguardo alla Siria, è migliore di quella USA.