Il Papa della crisi nel giorno della Merkel

Pino Cabras
megachip.globalist.it

Sì, la notizia del giorno era la riconferma della cancelliera Angela Merkel. Ma mi son distratto. Ieri la mia città, Cagliari, ospitava papa Francesco. C’erano quasi quattrocentomila persone a salutarlo in piazza, con un entusiasmo popolare palpabile (e papabile). Si è riversato in poche vie un quarto della popolazione sarda.

Sono numeri che dovrebbero fare notizia, perché sono destinati a ripetersi in tante altre realtà che vivranno la Grande Crisi in questi anni. Quel che ho visto ieri a Cagliari – in una regione in cui metà dei giovani non hanno lavoro – lo vedranno in tanti anche altrove. Ho visto un’infinità di disoccupati commossi fino alle lacrime dalle parole del papa. Mentre il mondo politico che un tempo parlava alle masse non ha più il polso né dei lavoratori né dei poveri, accade invece che il più originale prodotto del peronismo argentino, Jorge Bergoglio, stia entrando nei loro cuori.

Sì, sì, c’è la Merkel, certo. A Berlino si risolve ora una delle incognite nella grande partita europea. Perfino lo spread era stato congelato per mesi, in attesa di capire dove sarebbe andata la guida del paese protagonista nell’Europa degli squilibri. Con un simile risultato elettorale, possiamo già sapere che una classe dirigente come quella italiana, al pari dei maggiordomi di altri paesi, sarà travolta e commissariata, con costi sociali enormi e senza un personale politico che abbia un piano B o un piano C.

Ecco il papa, allora. Un recente articolo di Andrea Virga sottolinea che l’idea di economia di Bergoglio, sin dagli anni della sua attività pastorale argentina, è stata «caratterizzata da una forte critica al capitalismo e alle sue strutture d’ingiustizia, sfruttamento e oppressione sociale.» Il socialismo rimaneva fuori da questo discorso, certo. Come quando Juan Domingo Peron vinceva le sue prime elezioni con lo slogan «Dios, Patria y Justicia Social». Era un piano C, una terza via.

Nell’Europa dello spread e nel mondo delle ondate distruttive di Wall Street e dell’austerity, assodato il silenzio mortale della sinistra europea, la voce di papa Francesco peserà dunque in modo naturale. È un leader, non un maggiordomo, e lo abbiamo visto anche nei giorni in cui ha trascinato il no all’attacco USA alla Siria. Se qualche forza politica in Europa vorrà guidare una riscossa sociale negli anni terribili che ci attendono, entrerà inevitabilmente nel campo gravitazionale dell’unica forza che oggi riesca a proporre una narrazione alternativa su larga scala. Siamo solo agli inizi, né possiamo azzardare altre previsioni. Non basta un leader spirituale e spetterà ad altri agire.

Intanto, ieri, a Cagliari, ho udito queste parole:

«Vorrei condividere con voi tre punti semplici ma decisivi. Il primo: rimettere al centro la persona e il lavoro. La crisi economica ha una dimensione europea e globale; ma la crisi non è solo economica, è anche etica, spirituale e umana. Alla radice c’è un tradimento del bene comune, sia da parte di singoli che di gruppi di potere. È necessario quindi togliere centralità alla legge del profitto e della rendita e ricollocare al centro la persona e il bene comune.»

Bergoglio non è un lettore di suggeritori elettronici, non legge nel gobbo quel che gli scrivono i ghostwriter nel 100% delle occasioni, come fa Obama.
Il Papa a un certo punto ha piegato il foglio del testo scritto, ha pronunciato dapprima un’esortazione e poi ha improvvisato una preghiera, con cui, fra le altre cose, ha ribadito ancora che «in questo momento, nel nostro sistema economico, nel nostro sistema proposto globalizzato di vita, al centro c’è un idolo» e ha aggiunto, sempre in preghiera:

«Gli idoli vogliono rubarci la dignità. I sistemi ingiusti vogliono rubarci la speranza. Signore, non ci lasciare soli. Aiutaci ad aiutarci fra noi; che dimentichiamo un po’ l’egoismo e sentiamo nel cuore il “noi”, noi popolo che vuole andare avanti. Signore Gesù, a Te non mancò il lavoro, dacci lavoro e insegnaci a lottare per il lavoro e benedici tutti noi.»

Curioso quell’«insegnaci a lottare per il lavoro».
Il Papa, un papa della Crisi, ha capito per tempo che ci sarà lotta, in questi anni. La Chiesa è già in campo e non sarà ininfluente. Bergoglio aveva già lasciato ai bigotti (quelli religiosi, ma anche quelli del campo laico) la “centralità” della questione gay. La Chiesa si occuperà d’altro, e ieri ne abbiamo avuto un assaggio.

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Il Papa vicino ai disoccupati: senza lavoro non c’è dignità

Franca Giansoldati
Il Messaggero del 23 settembre 2013

IL DISCORSO

Francesco Mattana è un operaio della Sardinia Green Island senza lavoro dal febbraio del 2009. E’
lui che, sul palco montato alle spalle del porto di Cagliari, saluta per primo Papa Francesco
raccontandogli, tra le lacrime, quello che genera la mancanza di lavoro. Paura, sfiducia, angoscia.
La folla nel frattempo intonava in una cantilena quasi monotona: «lavoro-lavoro-lavoro».
E il lavoro, o meglio, la mancanza di lavoro, è stata la cornice della seconda visita in Italia del
pontefice argentino. Dopo il blitz di maggio a Lampedusa tra i migranti, stavolta ha scelto come
meta un’altra isola, la Sardegna, tormentata da una percentuale di disoccupazione cronica. Da
questo angolo di mondo Bergoglio ha tuonato come nessuno aveva mai fatto contro un sistema
finanziario ed economico malvagio, capace di generare solo storture. «Si idolatra il dio denaro e
questo provoca la cultura dello scarto».

I POTERI FORTI

Si gettano così via i vecchi, e i giovani. Ha usato toni talmente forti da rasentare il populismo,
specie quando ha puntato l’indice sui poteri forti che sul sentiero del capitalismo selvaggio
stravolgono i codici morali, in una rincorsa folle e continua proiettata al solo profitto, sacrificando
tutto sul cammino, anche i diritti fondamentali dell’uomo. «In questo sistema senza etica
comandano solo i soldi, che si ammucchiano tutti al centro. E noi dobbiamo tutti quanti, noi popolo,
dire no a questo sistema». Applausi. «Sei unico» urlato da qualcuno in fondo. «Meno male che ci
sei tu». L’eco si propaga. Mai nessun Papa aveva incalzato così la folla. Francesco ad un tratto ha
alzato le braccia e andando a braccio, ha aggiunto: «voi che chiedete lavoro-lavoro-lavoro, beh,
questa è come una preghiera, perchè vuol dire portare a casa il pane». Ha persino improvvisato una
preghiera il cui testo è nato lì per lì, sull’onda dell’emozione. «Signore a te non è mancato il lavoro,
hai fatto il falegname, eri felice. Signore ci manca lavoro, vogliono rubarci la dignità. I sistemi
ingiusti vogliono rubarci la speranza». Papa Bergoglio conosce il segreto per entrare nelle corde
della gente, è empatico, prima accarezza la folla, poi la strapazza e poi ancora la blandisce.
Abbraccia i malati di Sla, i carcerati, i barboni, i seminaristi, i giovani, saluta la Cancellieri, ad un
tratto se la prende anche con chi sfrutta i poveri «per farsi bello, per vanità o per interesse personale
o del proprio gruppo».

GIOVANI E POLITICA

«Meglio allora che queste persone stiano a casa». Soprattutto ce l’ha con chi lavora alacremente per
svuotare di significato la parola «solidarietà», che se va avanti così «rischia di essere cancellata dal
dizionario; è una parola che da fastidio, perché di obbliga di guardare all’altro e guardarlo con
amore». Si rende conto che l’Italia è un Paese che sta smettendo di sperare. Ecco allora che frusta i
cattolici a non stare sempre alla finestra, ma immergersi nella politica per sporcarsi le mani e
rendere migliore il mondo.
Le aspettative maggiori le riversa sui giovani: «nei politici giovani ho trovato un’altra musica,
un’altra maniera di pensare alla politica. Bisogna ascoltarli». Non sono mancati i fuori programma,
persino davanti al santuario della Madonna della Bonaria (dal quale è nato, al momento della
fondazione di Buenos Aires, il nome della capitale argentina grazie ad alcuni marinai cagliaritani).
Una battuta su tutte, rivolta ai giovani per convincerli che la sua forza è un derivato del Vangelo.
«Non mi sento mica forte come Tarzan, è che mi sono solo fidato di Gesù».