Ma la vera sfida è la difesa dei nuovi poveri

Hans Küng
Repubblica, 20 settembre 2013

Papa Francesco sta dando prova di coraggio civile, e non solo per la sua intrepida visita alle favelas di Rio. Ha accolto l’invito a un dialogo aperto con i critici non credenti, rispondendo a uno dei più eminenti intellettuali italiani, Eugenio Scalfari. Delle dodici domande di Eugenio Scalfari (la Repubblica, 11/09/2013) tuttora aperte, a mio parere la quarta, sul tema di una guida riformatrice della Chiesa, riveste un’importanza particolare. Gesù ha sempre affermato che il suo regno non era di questo mondo. «Date a Cesare ciò che è di Cesare, e a Dio ciò che è di Dio». Ma troppo spesso la Chiesa cattolica ha ceduto alla tentazione del potere temporale, che ha soppiantato la sua dimensione spirituale. Dunque Scalfari chiede: «Il papa Francesco rappresenta finalmente la prevalenza della Chiesa povera e pastorale su quella istituzionale e temporalistica? ».

Atteniamoci ai fatti: fin dall’inizio papa Francesco ha rinunciato alla pompa e allo sfarzo pontificio, ricercando invece il contatto spontaneo col popolo. A fronte dei numerosi scandali finanziari e dell’avidità di molti ecclesiastici, ha avviato con decisione una riforma dello Ior e dello Stato pontificio, postulando una politica di trasparenza in campo finanziario.

Ora però, nella sua opera riformatrice il papa dovrà affrontare una prova decisiva. Il papa di tutta la Chiesa cattolica non può trascurare il fatto che anche altrove vi sono gruppi umani afflitti da altre forme di “povertà”, che anelano a un miglioramento della loro condizione. Si tratta soprattutto di persone che il papa avrebbe la facoltà di aiutare in maniera anche più diretta degli abitanti delle favelas, di cui sono innanzitutto responsabili gli organi dello Stato e la società nel suo complesso.

L’ampliamento del concetto di povertà si ravvisa già nei Vangeli sinottici. Il Vangelo di Matteo chiama beati i “poveri in spirito”, mendicanti davanti a Dio nella consapevolezza della loro povertà spirituale. E intende dunque, allo stesso modo dei rimanenti testi delle Beatitudini, non solo i miseri e gli affamati, ma tutti coloro che piangono, emarginati e oppressi, vittime di ingiustizie, respinti, degradati, sfruttati, disperati: Gesù chiama a sé non solo i derelitti e i bisognosi nel senso esteriore del termine (Luca) ma anche chiunque soffra nel proprio intimo la pena e l’afflizione (Matteo) , compreso anche il peso della colpa. Si moltiplica così a dismisura il numero e le categorie dei poveri bisognosi di essere aiutati.

In primo luogo, i divorziati, che in molti Paesi sono milioni; e quando, come spesso accade, hanno contratto un secondo matrimonio, sono esclusi dai sacramenti della Chiesa per il resto della loro vita. Data la maggiore mobilità, flessibilità e liberalità della società di oggi, ma anche in conseguenza della crescente longevità, è assai meno facile che un rapporto di coppia duri per l’intera esistenza. Anche a fronte di queste più difficili circostanze, il papa continuerà certamente a insistere sull’indissolubilità del matrimonio; ma questo precetto non dovrebbe più essere inteso come condanna apodittica di tutti coloro che avendo fallito non possono sperare in una remissione. Ed è proprio in nome della compassione postulata da papa Francesco che si dovrebbero ammettere ai sacramenti i divorziati risposati, purché lo desiderino veramente.

In secondo luogo, le donne: milioni di donne che in tutto il mondo sono vilipese a causa dell’atteggiamento della Chiesa sui temi della contraccezione, della fecondazione artificiale e dell’aborto, e spesso vivono la loro condizione con animo angosciato. Quanto al divieto papale della fecondazione «artificiale», a osservarlo è soltanto una piccolissima minoranza, mentre per lo più le donne cattoliche la praticano senza alcun rimorso di coscienza. Infine, l’aborto ovviamente non va banalizzato, e men che meno adottato come metodo di pianificazione delle nascite; ma le donne che scelgono di abortire meritano comprensione e compassione.

In terzo luogo, i preti costretti a rinunciare al sacerdozio per aver contratto matrimonio: sono decine di migliaia, nei cinque continenti. L’abolizione dell’obbligo del celibato costituirebbe la misura più efficace per ovviare alla catastrofica crisi delle vocazioni sacerdotali che ha colpito il mondo intero, col conseguente tracollo dell’attività pastorale. Oltre tutto, il mantenimento dell’obbligo del celibato renderebbe impensabile un’altra auspicabile innovazione: quella del sacerdozio femminile.

Tutte queste riforme sono urgenti e dovrebbero essere discusse innanzitutto in seno alla commissione dei cardinali. Papa Francesco si trova oggi davanti a una serie di decisioni difficili.

Finora ha dato prova di grande empatia e sensibilità per le afflizioni di tanti esseri umani, dimostrando in più occasioni un considerevole coraggio civile. Queste sue qualità gli consentono di prendere decisioni necessarie e determinanti per il futuro su questi problemi, che in parte attendono una soluzione ormai da secoli.

(Traduzione di Elisabetta Horvat)

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Il papa chiede alla Chiesa cattolica di non focalizzarsi sulle questioni morali

Stéphanie Le Bars
Le Monde, 21 settembre 2013 Traduzione di www.finesettimana.org

In un nuovo esercizio di comunicazione, orchestrato dalla Compagnia di Gesù, di cui fa parte, papa Francesco ha precisato, giovedì 19 settembre, la sua visione della Chiesa, del suo governo e delle sue priorità. Pubblicata su sedici riviste gesuite di sedici paesi d’Europa e d’America – tra cui Études in Francia -, questa lunga conversazione rivela la sua concezione dell’esercizio del potere e, soprattutto, mette in guardia l’istituzione e i suoi ministri contro un pericolo che minaccia, secondo lui, la Chiesa cattolica.
Parlare “in permanenza” delle “questioni legate all’aborto, al matrimonio omosessuale o all’usa dei metodi contraccettivi”, porta la Chiesa al rischio di vedere “il suo edificio morale crollare come un castello di carte”.

L’insieme delle sue dichiarazioni a partire dalla sua elezione in marzo, la sua discrezione su certi temi, le sue dichiarazioni di apertura verso gli omosessuali, verso i divorziati risposati, verso le coppie conviventi o le donne che hanno abortito, delineavano certo un cambiamento nella linea istituzionale, ma è la prima volta che Francesco dice così esplicitamente che la dottrina morale non deve prendere il sopravvento sulla dottrina sociale e sul suo “annuncio evangelico”.

Confidando en passant di non essere mai stato di destra – in passato aveva dichiarato di non essere mai stato “comunista”-, ricorda tuttavia, con riferimento alla frange più conservatrici della Chiesa, preoccupate dei toni di questo pontificato, che su questi temi si attiene “al pensiero della Chiesa” e di essere lui stesso “figlio della Chiesa”. Questo papa, eletto per riformare il governo della Chiesa ed essere di stimolo contro le sue inerzie, spiega il suo “angolo d’attacco”.
“Le riforme strutturali o organizzative – …- vengono in un secondo tempo. La prima riforma deve essere quella del modo di essere. – … – La cosa di cui ha più bisogno la Chiesa oggi è la capacità di curare le ferite”. Spiega anche la sua reticenza a mettere al primo posto le questioni morali e fissa al suo clero altre priorità:
“Gli insegnamenti, tanto dogmatici quanto morali, non sono tutti equivalenti… Dobbiamo trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche l’edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte”.

In maniera inedita per un papa, che si definisce lui stesso “un po’ furbo” e in grado di “muoversi”, descrive anche dettagliatamente i suoi metodi di management.
Spiega a lungo l’importanza del “discernimento”, un lavoro intellettuale caratteristico della formazione gesuita, e ricorda l’utilità di “consultare prima di decidere”. “I Concistori, i Sinodi sono, ad esempio, luoghi importanti per rendere vera e attiva questa consultazione. Bisogna renderli però meno rigidi nella forma. Voglio consultazioni reali, non formali”. Ma anche se la riflessione è collegiale, la decisione spetta a lui; lascia tra l’altro capire che una volta presa una decisione, ci sono poche possibilità di farlo tornare sui suoi passi.

Per il resto, questo papa, che parla molto e in contesti molto diversi (lettera pubblicata nella stampa, discorsi, omelie, conferenze stampa, telefonate impreviste), riprende temi di riflessione che ha già affrontata dalla sua elezione – atteggiamento del clero, apertura della Chiesa sulle “periferie”, posto della donna, rifiuto di ogni forma di restaurazione di un “passato perduto”… “La Chiesa non deve essere ridotta ad un nido protettore della nostra mediocrità… Invece di essere solo una Chiesa che accoglie, cerchiamo piuttosto di essere una Chiesa che trova nuove strade, che è capace di uscire da se stessa e andare verso colui che non la frequenta, che se ne è andato o che è indifferente”.

Questo messaggio, ripetuto, esplicitato, giustificato, costituisce, in fondo, la prima riforma di papa Francesco.