Una rivoluzione inesistente

Paolo Bonetti
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Nel corso dell’estate, un famoso giornalista economico e politico con interessi filosofici di lunga data, interviene per ben due volte sull’enciclica “Lumen fidei” scritta da papa Ratzinger,

rivista e fatta propria da papa Bergoglio, in piena sintonia col suo predecessore. Il giornalista in questione, Eugenio Scalfari, pone a Francesco alcune domanda da non credente e il papa risponde con un articolo che viene pubblicato l’11 settembre, con grande evidenza, sul quotidiano “la Repubblica”.

Seguono commenti entusiastici di teologi e filosofi vari, fra cui quello dello stesso Scalfari, in cui si esalta il carattere rivoluzionario dell’articolo, talmente avanzato da superare lo stesso Concilio Vaticano II. Questo papa, lo abbiamo già detto in un precedente editoriale, rappresenta certamente, sul piano dell’azione pastorale, una grossa novità rispetto a Benedetto XVI, ma francamente questa Epistola ad Scalfarum non ci pare paragonabile a quelle che san Paolo inviava alle comunità cristiane sparse attorno al Mediterraneo. Paolo dava vita a una nuova religione, diffondeva una rivoluzione spirituale che ha segnato per duemila anni la storia dell’Occidente; Bergoglio consapevole delle difficoltà in cui versa la fede nell’Europa secolarizzata, cerca, con consumata abilità gesuitica, di offrire agli uomini del nostro tempo un cristianesimo meno ingessato di quello di Ratzinger, adatto a gente che sente il bisogno di una qualche consolazione e salvezza, ma non intende sottoporsi all’etica severissima del cristianesimo dei primi secoli.

E’ sorprendente come tanti presunti laici non credenti cerchino anch’essi, nel colloquio con papi e cardinali, risposte a domande ben strane per un non credente, come quella sul perdono che Dio potrebbe o non potrebbe concedere a chi non ha la fede e non la cerca. Evidentemente non sono più i tempi dei Salvemini (che leggeva il Vangelo, ma non consultava in materia i preti), degli Ernesto Rossi o dei Guido Calogero che elaborava una filosofia del dialogo, ma non cercava rassicurazioni circa la propria sorte, qualora il Dio cristiano avesse dovuto inopinatamente giudicarlo.

Comunque Bergoglio non si sottrae alle ansiose richieste del suo interlocutore e cerca di rassicurarlo come meglio può. Ma nel fare questo, contrariamente a quello che Scalfari ed altri sostengono, non si allontana di un solo passo dalla più rigorosa ortodossia. Vediamo meglio alcuni punti di questa enciclica giornalistica: il papa dichiara che neppure i credenti possono ritenersi in possesso della verità assoluta, ma questa affermazione non è per nulla un’adesione allo storicismo o al relativismo, ma è semplicemente la constatazione che ogni uomo giunge alla Verità unica e assoluta della fede attraverso un cammino personale condizionato dalla cultura in cui è immerso e dalla sua particolare condizione esistenziale, un cammino tortuoso costellato necessariamente di errori, per cui nessun uomo deve giudicare con arroganza gli altri che cercano, per diverse vie, la medesima Verità. Ma questa Verità, secondo Bergoglio, esiste in ciascuno di noi, ci possiede e ci guida nel difficile cammino della ricerca. E’, agostinianamente, una luce interiore che ci porta verso quella Trascendenza in cui la Verità si manifesta nella sua piena evidenza. Nelle parole del papa non c’è nessuna confusione fra la Verità assoluta della fede e le molteplici e sempre rivedibili verità acquisite col metodo scientifico. In materia di fede il papa non è galileiano e non potrebbe esserlo senza far cadere di colpo tutto l’edificio dogmatico su cui la Chiesa si regge.

Ancora più evidente e netta è, se possibile, la fedeltà di Francesco alla tradizionale dottrina morale del cattolicesimo. E qui, al posto di Agostino, entra in scena Tommaso con tutta la Scolastica. Bergoglio parla della infinita misericordia di Dio verso i peccatori pentiti allo stesso modo in cui ne parla, nel Purgatorio di Dante, Manfredi di Svevia a cui il vescovo di Cosenza aveva negato cristiana sepoltura, non comprendendo che la “bontà infinita ha sì gran braccia, che prende ciò che si rivolge a lei”. Ma quando il papa afferma che “la questione per chi non crede in Dio sta nell’obbedire alla propria coscienza” e il peccato, per chi non ha la fede, sta nell’andare contro la coscienza, nel decidersi per ciò che da questa viene percepito come male, non intende in alcun modo mettere in dubbio la concezione di ascendenza tomistica per cui esiste, nella coscienza di ogni uomo anche non credente nelle verità cristiane, una legge morale oggettiva che solo la retta ragione ci fa scoprire e che coincide pienamente con la legge divina.

Non c’è nessuna concessione all’autonomia della coscienza di ogni singolo uomo nella particolare situazione storica ed esistenziale in cui si trova, nessuna considerazione dell’etica come un sapere anch’esso sperimentale e intersoggettivo, che cresce e si modifica nel tempo, ma l’affermazione che anche il non credente si può salvare, purché segua quella legge morale della coscienza che coincide con la legge naturale e con quella divina. Tutte assolute e immutabili. Non è onesto far dire al papa quello che non si è mai sognato di dire, come è capitato qualche tempo fa, quando ha affermato (probabilmente riferendosi alle accuse rivolte ad un suo collaboratore) di non avere alcun diritto di giudicare un omosessuale che cerca sinceramente Dio. Qualcuno ha visto in queste parole una specie di accettazione morale dell’omosessualità, ma si trattava soltanto della dottrina morale tradizionale secondo cui anche gli omosessuali possono salvarsi se, debitamente pentiti del loro “peccato”, si rivolgono a Dio.

Anche la distinzione di Bergoglio fra sfera religiosa e sfera politica, con il richiamo alle parole evangeliche del “dare a Dio quel che è di Dio e a Cesare quel che è di Cesare”, è di netta impronta tomistica. Il tomismo non è teocratico e riconosce senza problemi l’autonomia del potere politico nei confronti di quello ecclesiastico. Questo non ha mai impedito e non impedisce tuttora alla Chiesa di interferire pesantemente nell’esercizio delle funzioni politiche, con la giustificazione che le leggi positive, le leggi umane, non possono violare l’eterna legge divina scritta con caratteri imperituri in ogni coscienza. Quindi niente eutanasia ed aborto, divorzio e procreazione assistita, forme di famiglia diverse da quelle che la Chiesa, unica interprete della legge divina, considera naturali. Bergoglio non fa eccezione e la sua teologia morale coincide senza residui con quella di Ratzinger. Ma, al contrario di Ratzinger, benedettino rigido, papa Francesco è un gesuita amabile che sa che, nel mondo contemporaneo, l’evangelizzazione richiede dolcezza di modi e apparente flessibilità. Non è più tempo di crociate e di anatemi. Ma sulla sostanza teologica e morale, questo papa non ha cedimenti e tanto meno compie rivoluzioni. Speriamo che almeno riesca a riformare i costumi della Chiesa e a renderla meno complice dei privilegi dei potenti.