Dottrina e misericordia, dov’è la rivoluzione di papa Bergoglio?

Maria Mantello
www.micromega.net

Papa Bergoglio dice di volere una Chiesa dove la dottrina non sia «da imporre con insistenza», una Chiesa che procede «misericordiando», composta di «ministri misericordiosi» capaci di «farsi carico delle persone, accompagnandole come il buon samaritano che lava, pulisce, solleva il suo prossimo». Una chiesa più attenta, più aperta verso omosessuali, donne che hanno abortito, separati e divorziati, ecc.

Il tutto però, senza scostarsi dall’ortodossia cattolica: «il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa», riporta ancora l’ormai notissima intervista rilasciata dal papa a Civiltà Cattolica, dove Bergoglio torna anche su sue precedenti affermazioni: «Durante il volo di ritorno da Rio de Janeiro ho detto che, se una persona omosessuale è di buona volontà ed è in cerca di Dio, io non sono nessuno per giudicarla. Dicendo questo io ho detto quel che dice il Catechismo […] l’ingerenza spirituale nella vita personale non è possibile. […] Bisogna sempre considerare la persona. […] Bisogna accompagnare con misericordia. Quando questo accade, lo Spirito Santo ispira il sacerdote a dire la cosa più giusta». E continua: «Penso anche alla situazione di una donna che ha avuto alle spalle un matrimonio fallito nel quale ha pure abortito. Poi questa donna si è risposata e adesso è serena con cinque figli. L’aborto le pesa enormemente ed è sinceramente pentita. Vorrebbe andare avanti nella vita cristiana. Che cosa fa il confessore? […] chi predica deve riconoscere il cuore della sua comunità per cercare dove è vivo e ardente il desiderio di Dio ».

Dove è la rivoluzione? Tutto resta nella triade: caduta, pentimento, perdono. Tanta misericordia se ti penti, ma la dottrina resta dottrina e il catechismo il suo manuale.

Quindi, al di là del tono bonario, della simpatia comunicativa che innegabilmente il nuovo papa ispira, l’orizzonte del pensare e dell’agire è sempre il Dio cattolico e la Chiesa mater e magistra, che adesso – ammette sempre papa Francesco – deve «trovare un nuovo equilibrio, altrimenti anche l’edificio morale della Chiesa rischia di cadere come un castello di carte, di perdere la freschezza e il profumo del Vangelo. La proposta evangelica deve essere più semplice, profonda, irradiante. È da questa proposta che poi vengono le conseguenze morali».

Rimettere Dio al centro è la rivoluzione di Bergoglio. Evangelizzare, convertire, recuperare alla chiesa, rimettendo Dio ben fermo sull’orizzonte, perché la morale cattolica sia considerata normale, naturale.

Il conclave che lo ha eletto sembra aver affidato al nuovo papa, non solo il compito di far dimenticare gli scandali che dalla curia sono arrivati fin dentro le stanze papali (e forse potrebbe essere anche per questo che Bergoglio non vi risieda), ma soprattutto di riconquistare alla dottrina cattolica una società sempre più laicizzata e secolarizzata nei fatti.

Bergoglio, il papa che viene dalla fine del mondo per riportare Dio nel mondo e che dovrebbe evocare Wojtyla per capacità di gestione mediatica, ma Giovanni XXIII per i toni dimessi, e di suo personale aggiunga il savoir faire del gesuita. Un mixer di accortezza e ingenuità, che egli stesso si riconosce quando dice di sé a Civiltà Cattolica: «Sì, posso forse dire che sono un po’ furbo, so muovermi, ma è vero che sono anche un po’ ingenuo». Del resto, è proprio lui a dichiarare di aver innestato Ignazio di Loyola su Giovanni XXIII, fondendo in se stesso il Non coerceri a maximo, sed contineri a minimo divinum est del fondatore dei gesuiti, con la massima del “papa buono”: Omnia videre, multa dissimulare, pauca corrigere.

La massima di Ignazio, specifica papa Francesco, significa «fare le cose piccole di ogni giorno con un cuore grande e aperto a Dio e agli altri. È valorizzare le cose piccole all’interno di grandi orizzonti, quelli del Regno di Dio»; e aggiunge: «Questa massima offre i parametri per assumere una posizione corretta per il discernimento, per sentire le cose di Dio a partire dal suo “punto di vista”. Per sant’Ignazio i grandi princìpi devono essere incarnati nelle circostanze di luogo, di tempo e di persone. A suo modo Giovanni XXIII si mise in questa posizione di governo quando ripeté la massima Omnia videre, multa dissimulare, pauca corrigere, perché, pur vedendo omnia, la dimensione massima, riteneva di agire su pauca, su una dimensione minima. Si possono avere grandi progetti e realizzarli agendo su poche minime cose. O si possono usare mezzi deboli che risultano più efficaci di quelli forti».

Il regno di Dio resta comunque il fine da perseguire incidendo capillarmente nel quotidiano in un rapporto mezzi fini ben calcolato, studiato. E al momento l’effetto mediatico sembra assicurato in una sorta di fascinazione collettiva, che sta prendendo anche tanti laici, che sembrano basiti dai “misericordiamo” di papa Bergoglio.
Come se l’attenzione all’altro, la misericordia verso l’altro, fosse appalto cattolico e di questo papa in particolare.

Allora, forse vale appena ricordare che misericordia non è commiserazione dell’altro rispetto al quale ci si pone su un piedistallo di superiorità con un pacchetto di sacralizzata precettistica morale che resta a priori quello giusto.
Allora, forse vale appena ricordare che esiste anche una misericordia tutta laica, organica alla mentalità e all’etica laica che non chiede all’altro nulla in cambio, perché fa dell’autonomia morale il valore del rispetto di se stessi e dell’altro nutrendosi del principio di non imporre all’altro più di quanto l’altro possa reciprocamente imporci. E su questa strada si è affermata la libertà e la giustizia, ovvero l’uguaglianza nei diritti umani che pongono al centro l’individuo la cui dignità è nella libertà di autodeterminarsi essendo il proprietario della sua vita.

Misericordia significa avvertire il sentimento dell’altro ed esserne compartecipi. Una compassione che ci porta anche ad assumere la prospettiva dell’altro. Uno specchiarsi nell’altro nella comune compassione che non chiede all’altro pegno da pagare. Questo specchiare noi stessi nel sentimento dell’altro è condivisione solidale – empatica, prima ancora che cognitiva –, compassione che muove al soccorso, ma che impegna alla solidarietà nel rimuovere le condizioni del suo (del nostro) dolore. Su questa compassione, “virtù non usuraia” (per usare la definizione di Foscolo) si è aperta la breccia per i diritti civili.

Tutto questo lo dovrebbero tener presente soprattutto i laici che oggi sembrano impegnati in grandi osanna per papa Francesco, e magari lasciano correre se questi (“misericordiando”?) benedice i pro-life in marcia su Roma in buona compagnia dei cattolicisti di Militia Christi e Forza Nuova; oppure benedice i ginecologi cattolici perché continuino a boicottare interruzioni volontarie di gravidanza, anticoncezionali, fecondazione assistita.

Ecco allora, la vera rivoluzione ci sarebbe se il papa fosse contaminato dalla compassione-misericordia laica.
Magari facendo seguire all’affermazione bella: “chi sono io per giudicare un omosessuale”, l’azione coraggiosa di cancellare i canoni del catechismo che definiscono l’omosessualità «oggettivo disordine morale», (canone 2357) e vorrebbero gli omosessuali casti ed espianti, prostrati nel vivere nel «sacrificio della croce del Signore le difficoltà che possono incontrare in conseguenza della loro condizione» (canone 2358). Sarebbe irriverente chiedere se anche la violenza omofoba rientra nella croce da sopportare? E ancora sarebbe troppo democratico esigere dallo Stato repubblicano una legge civile che, non solo consideri l’omofobia aggravante, ma intervenga anche nella rimozione dei pregiudizi omofobi e consideri pericolo per la civile convivenza democratica chi li alimenta?

È fin troppo facile un misericordia che apre le braccia a chi si pente! Così si riconferma il proprio potere definitorio di bene e male in eterno. Un vizio che ritorna e che porta ad accreditare la Chiesa come grande agenzia morale.

Dice Bergoglio: «La visione della dottrina della Chiesa come un monolite da difendere senza sfumature è errata».
Benissimo! Allora, se per sfumature si intende l’attenzione all’individuo storico-biologico concreto, ci aspetteremmo – ad esempio – anche la decadenza della condanna degli anticoncezionali con conseguente rimozione dei canoni del catechismo che recitano: «É intrinsecamente cattiva ogni azione che, o in previsione dell’atto coniugale, o nel suo compimento, o nello sviluppo delle sue conseguenze naturali, si proponga, come scopo e come mezzo, di impedire la procreazione» (canone 2370). E che quindi in un reale riconoscimento della libertà di coscienza (che è altro dall’anima cristiano-cattolica) si rimuova anche il canone che chiama lo Stato a far divenire il precetto legge: «Lo Stato è responsabile del benessere dei cittadini.

È legittimo che, a questo titolo, prenda iniziative al fine di orientare l’incremento della popolazione. Può farlo con un’informazione obiettiva e rispettosa, mai però con imposizioni autoritarie e cogenti. Non può legittimamente sostituirsi all’iniziativa degli sposi, primi responsabili della procreazione e dell’educazione dei propri figli. In questo campo non è autorizzato a intervenire con mezzi contrari alla legge morale. (canone 2372). Sappiamo bene quanto questo punto sia stato il trampolino di lancio per l’occupazione della pubblica agorà, anche per avere scuole cattoliche finanziate per giunta dallo Stato!

Papa Bergoglio ha anche detto sempre nell’intervista a Civiltà cattolica: «Del resto, in ogni epoca l’uomo cerca di comprendere ed esprimere meglio se stesso. E dunque l’uomo col tempo cambia il modo di percepire se stesso: una cosa è l’uomo che si esprime scolpendo la Nike di Samotracia, un’altra quella del Caravaggio, un’altra quella di Chagall e ancora un’altra quella di Dalí». Un’apertura straordinaria alla storicizzazione, alla secolarizzazione, alla laicità! Peccato però che la chiusa della sua frase contraddica tutto questo: «Anche le forme di espressione della verità possono essere multiformi, e questo anzi è necessario per la trasmissione del messaggio evangelico nel suo significato immutabile». Ancora e sempre la dottrina resta dottrina in cui tutto si metabolizza nell’eternità del vangelo.

Ecco allora che le “sfumature” dileguano, ma restano i significati di fuoco del testo sacro di cui una Chiesa mater e magistra resta custode e interprete, cercando nuove strade comunicative, ma ben salda oltre che nella dottrina nel non rinunciare agli astorici privilegi economici e politici che in particolare l’Italia del Concordato e ben oltre il Concordato non le fa certo mancare.

Ecco questa rinuncia ai privilegi: dall’Imu, all’8 per mille, all’insegnamento confessionale nella scuola statale e tanto altro ancora, sarebbe davvero una rivoluzione. Servirebbe ovviamente tanto coraggio, un “coraggio che non è parola di passaggio” (parafrasando lo stesso Bergoglio); ma forse, prima che questo accada, bisognerà davvero aspettare che un cammello passi per la cruna di un ago.

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Aborto, le finte aperture di papa Francesco

Cinzia Sciuto
www.micromega.net

Va tanto di moda ultimamente scrivere lettere ai papi. E, cosa abbastanza sorprendente, va anche di moda che questi – in carica o emeriti che siano – rispondano. Come se si fosse aperta, con l’elezione di papa Bergoglio, una nuova epoca nei rapporti tra laici e gerarchie vaticane, il pontefice come un qualunque intellettuale partecipa al dibattito pubblico e dialoga (finalmente!) volentieri sulle pagine di un grande quotidiano laico con un giornalista non credente, eppure interessato alla figura e agli insegnamenti di Gesù di Nazareth. Un altro pontefice – stavolta quello emerito – si prende addirittura la briga di glossare il libro del più impertinente e miscredente degli scienziati italiani. Insomma pare che finalmente il dialogo vero fra credenti e non credenti sia stato davvero sdoganato.

Il rischio è che – con il suo viso amichevole, i suoi “buongiorno” e “buon pranzo”, le sue inaspettate telefonate e lettere – papa Francesco passi per più rivoluzionario di quel che davvero è e soprattutto che le sue aperture (vere) su alcuni temi sociali e sulle questioni interne all’organizzazione ecclesiastica annebbino invece le sue prese di posizione decisamente reazionarie su altri.

Mi riferisco qui in particolare a quel che papa Francesco ha detto recentemente a proposito delle donne che abortiscono. In un’intervista che Bergoglio ha rilasciato al direttore di Civiltà Cattolica, Antonio Spadaro, a proposito dell’atteggiamento misericordioso che i confessori devono sempre avere nei confronti dei fedeli, il papa dichiara: “Penso anche alla situazione di una donna che ha avuto alle spalle un matrimonio fallito nel quale ha pure abortito. Poi questa donna si è risposata e adesso è serena con cinque figli. L’aborto le pesa enormemente ed è sinceramente pentita. Vorrebbe andare avanti nella vita cristiana. Che cosa fa il confessore?».

La condizione alla quale il confessore può mostrare misericordia nei confronti della donna che ha abortito è dunque il pentimento. Come per qualunque peccato (e anche per qualunque reato), per la cultura cattolica basta pentirsene e si aprono le porte del paradiso. Dunque nessuna reale apertura del pontefice alle donne che abortiscono: per la Chiesa, anche un pluriomicida se davvero pentito può aspirare all’assoluzione. Quel che forse sfugge al papa è che le ragioni che stanno dietro ad un aborto sono infinite, tante quante sono le donne che lo hanno fatto e nella maggior parte dei casi le donne – lungi dal percorrere la facile via del pentimento – si fanno carico della loro scelta, che talvolta può essere molto dolorosa ma che invece altre volte è vissuta con grande serenità. Assassine le etichetterebbe comunque anche questo papa. Anzi, portatrici di una “cultura dello scarto”, come ha precisato qualche giorno fa in occasione dell’udienza ai ginecologi cattolici, durante la quale papa Francesco ha spazzato via ogni illusione di un reale cambiamento di atteggiamento della Chiesa sull’aborto: “Ogni bambino non nato, ma condannato ingiustamente a essere abortito – ha affermato Bergoglio – ha il volto del Signore, che prima ancora di nascere, e poi appena nato ha sperimentato il rifiuto del mondo. E ogni anziano, anche se infermo o alla fine dei suoi giorni, porta in sé il volto di Cristo. Non si possono scartare!”.

Sarebbe stato bello che di fronte a un uditorio così qualificato, come quello dei ginecologi cattolici, il papa avesse messo in guardia, per esempio, contro l’uso strumentale dell’obiezione di coscienza che rende praticamente impossibile effettuare aborti in molti ospedali del nostro paese, con il conseguente ritorno degli aborti clandestini (fenomeno che la legge 194 aveva drasticamente ridotto), come da tempo ormai denuncia la Laiga. O il ritorno delle mammane è un tema che non interessa il papa perché quel che conta è sempre e comunque il controllo sul corpo?

Del resto lo stesso Francesco lo aveva detto, mettendo in guardia chi con facile entusiasmo ha pensato che con questo papa la Chiesa avrebbe finalmente fatto i conti con la modernità. Nella stessa intervista a Civiltà cattolica sopra citata, infatti, Bergoglio liquida così la questione: “Non possiamo insistere solo sulle questioni legate ad aborto, matrimonio omosessuale e uso dei metodi contraccettivi. Questo non è possibile. Io non ho parlato molto di queste cose, e questo mi è stato rimproverato. Ma quando se ne parla, bisogna parlarne in un contesto. Il parere della Chiesa, del resto, lo si conosce, e io sono figlio della Chiesa, ma non è necessario parlarne in continuazione”. Dunque, nulla di nuovo sotto al cupolone.

E allora, caro papa, della tua misericordia non sappiamo che farcene. Di una misericordia condizionata all’ammissione di colpa, al pentimento, al capo cosparso di cenere, di una misericordia incapace di rispetto per l’autonomia e la libertà di scelta delle donne, di una misericordia che continua a non riconoscere la sovranità di ciascuno sul proprio corpo ne facciamo volentieri a meno.