Francesco, Scalfari e l’arte del dialogo

Hans Küng
La Repubblica, 2 ottobre 2013

Io credo che sia un evento di grande valore e di cui rallegrarsi moltissimo, il fatto che il dialogo tra Papa Francesco ed Eugenio Scalfari non sia terminato con un epistolario, ma sia continuato con un’intervista. Quella pubblicata ieri su Repubblica è il documento straordinario di un incontro da uomo a uomo con un’intensa e profonda volontà reciproca di proseguire e approfondire il dialogo. Una delle cose che colpisce all’inizio del colloquio è che abbiano saputo trovare anche la dimensione dello humour: entrambi dicono di essere stati ammoniti e avvertiti dai loro collaboratori a non lasciarsi convertire l’uno dall’altro, né alla fede cristiana né al laicismo.

Ed entrambi – lo trovo straordinario anche sul piano della comunicazione – hanno reagito ridendo e assicurando che nessuno dei due aveva questa intenzione. Ma poi, passando con disinvoltura al discorso serio, hanno sottolineato che il loro colloquio aveva e avrebbe avuto lo scopo di accrescere con uno sforzo reciproco la conoscenza. Questo si proponevano di fare e questo hanno saputo fare trovando punti significativi di convergenza e punti di leale disaccordo. Un confronto tanto più straordinario perché nessuno dei due voleva fare proselitismo.

Uno dei punti interessanti dell’intervista è il giudizio sul comunismo. Francesco afferma che non avrebbe mai aderito al materialismo, ma che ciò nonostante, attraverso i docenti che ebbe e conobbe all’università, da quella dottrina imparò moltissimo. Imparò e capì molto sulle questioni sociali di cui parlavano i comunisti. Non è un caso che Francesco abbia sottolineato l’importanza di alcuni temi che sollevava il movimento (che era sia politico che di fede) della Teologia della Liberazione.

Poi c’è la questione della Curia, o diciamo anche della Corte romana. Il Papa ha usato parole molto dure, parole che non mi aspettavo, parole che persino a me avrebbero causato estremo disagio se le avessi usate: “La Corte è la lebbra del Papato”. In quel momento del loro dialogo, Francesco e Scalfari hanno davvero colto il punto essenziale, cioè che la Curia romana deve essere posta di nuovo al servizio del genere umano e non al servizio di un sistema romano che non ha nulla a che vedere con la lezione del Vangelo. E che da un punto di vista veramente cattolico il Vaticano non può divenire la necessità suprema, ma al contrario tutte le strutture della Chiesa, anche quelle della Curia, devono porsi al servizio del Popolo di Dio.

E infine, il Papa ha rifiutato di pronunciare una gerarchia dei santi: ha detto che è possibile fare una classifica dei migliori calciatori argentini ma non dei Santi. Poi si è espresso in favore di San Paolo, quale interpretazione del cristianesimo che è rimasta valida per millenni, di Sant’Agostino e di Francesco d’Assisi. Nel corso di tutto il dialogo tra Francesco e Scalfari non c’è un singolo tono sbagliato. Si può solo sperare che questo dialogo resti d’esempio per il dialogo tra credenti e non credenti.

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Da Benedetto a Francesco. Così è rinata la mia speranza nella Chiesa

Hans Küng
la Repubblica, 2 ottobre 2013

Prima vedevo la morte davanti alla vita, oggi al contrario vedo la mia vita alle spalle della morte. Io
non so quando e come morirò. Forse verrò chiamato all’improvviso, e mi sarà risparmiata una scelta
individuale. Sarebbe bene così. Ma nel caso che io stesso debba decidere di persona sulla mia
morte, prego tutti di attenersi ai miei auspici e desideri. Non dovrebbe accadere in un’atmosfera
triste e sconsolata, in quel clima in cui i reportage televisivi descrivono il decesso scelto da chi si
rivolge ad associazioni per l’aiuto alla morte dolce. Il mio desiderio sarebbe di essere accompagnato
e consolato nello spirito, nella mia casa a Tubinga o sul lago Sursee. Accompagnato nell’ultimo
viaggio dai miei colleghi, dalle mie collaboratrici, dai miei collaboratori, così vorrei dire addio in
modo degno. Poi, una gioiosa messa di ringraziamento potrebbe essere celebrata nella parrocchia,
con il canto «Ora ringraziate tutti Dio», e poi verrebbe la mia sepoltura nel cimitero cittadino di
Tubinga dove io già dieci anni fa mi sono cercato una tomba per me fianco a fianco di Walter e Inge
Jens… Che rimane a uno studioso non più in grado di leggere e di scrivere? Non voglio continuare
a vivere come un’ombra di me stesso. Una persona ha il diritto di morire, se non ha più alcuna
speranza di continuare a vivere in modo umano secondo la sua concezione personale.

L’Inquisizione di Ratzinger

Nel 1981 il cardinale Joseph Ratzinger fu convocato da Monaco a Roma: come prefetto del Santo
Uffizio, oggi chiamato Congregazione per la dottrina della fede…. Su questo periodo della sua vita,
quasi un quarto di secolo fino alla sua elezione a Papa, Joseph Ratzinger nella sua autobiografia non
dice una parola. Perché questo silenzio? Nei fatti egli appoggiò in ogni modo possibile la linea
conservatrice restauratrice di Giovanni Paolo II, e fu quindi il mio più potente antagonista in tutto il
gigantesco apparato della più grande multinazionale religiosa del mondo. Che i “servizi” della
Curia, con l’aiuto delle moderne tecniche di comunicazione, siano diventati molto “svelti”, me lo
aveva fatto notare già il cardinale Montini, sotto Pio XII.

Benedetto XVI invita il suo critico

Ci pensai sopra a lungo, poi inviai la lettera. Proponevo un incontro con Benedetto XVI per parlare
delle questioni della fede, quelle che ci uniscono e non quelle che ci dividono. La risposta arrivò da
lui: «La ringrazio per l’amichevole lettera. Naturalmente sono pronto a un colloquio con lei». Il 31
agosto 2005 il segretario privato del Papa, dottor Georg Gaenswein, mi chiamò, per concordare la
data dell’incontro.
L’incontro col Papa fu intenso. Rividi il Ratzinger che ricordavo da anni prima: amabile, attento,
amichevole, sempre veloce a capire, sempre pronto a una risata spontanea. «E allora, di cosa
vogliamo parlare? », mi chiese. Io risposi: «Abbiamo convenuto di non parlare di questioni
controverse bensì di questioni chiave della Chiesa e della società». Parlammo a lungo, egli
convenne dell’importanza di un Ethos mondiale. Parlammo anche dei dibattiti sull’omosessualità.
Allora in Italia si discuteva della registrazione di unioni gay, favorita da Romano Prodi. Purtroppo il
Vaticano allora preferiva a Prodi il frivolo Berlusconi, che teoricamente difendeva la morale
cristiana e poi organizzava feste erotiche anche con minorenni.

L’addio al Concilio

Joseph Ratzinger come Papa si lasciò sfuggire la chance storica di trasformare il Concilio Vaticano
II nella bussola della Chiesa. Al contrario, minimizzò i testi del Concilio e li interpretò contro i
padri del Concilio. Lui parlò di “ermeneutica della continuità”. II 15 dicembre 2008 tolse la
scomunica contro i vescovi ordinati illegalmente e al di fuori della Chiesa dalla Confraternita
ultraconservatrice dei fratelli di Pio, che contesta il Concilio su punti centrali, e conta esponenti
come il vescovo Richard Williamson, negazionista dell’Olocausto, ciò che riaprì un conflitto tra il
papa e l’ebraismo. Poi reintrodusse la messa medievale tridentina e l’eucarestia somministrata in
latino con le spalle al popolo dei fedeli.

Le dimissioni a sorpresa di Benedetto: torna la speranza

Il fatto che il mio ex compagno di studi teologici Joseph Ratzinger fosse pronto ad abdicare, è una
cosa su cui non dubitai mai. Egli è un uomo segnato dal senso del dovere e della responsabilità. Ne
aveva già parlato in una conversazione con un giornalista. Ma il momento dell’annuncio del suo
ritiro mi sorprese totalmente: fu l’11 febbraio 2013, proprio la festa tedesca del Rosenmontag, per
cui molti di noi pensarono a uno scherzo di carnevale. Ma Ratziner spiegò il suo ritiro con
argomenti seri: le forze gli venivano meno, non si sentiva più capace di garantire quella
responsabilità. Posso solo immedesimarmi nella sua situazione: affrontava crescenti critiche,
soffriva sempre più dello scandalo degli abusi sessuali, poi venne il caso Vatileaks. Per questo
commentai la coraggiosa decisione di Joseph Ratzinger con grande elogio e rispetto.

Papa Francesco: un paradosso?

Avevo deciso di dimettermi da ogni incarico nel mio 85mo compleanno. Non mi aspettavo che si
realizzasse il sogno di un nuovo risveglio della Chiesa, come fu sotto Giovanni XXIII. E invece il
19 marzo 2013, il mio compleanno e l’onomastico di Ratzinger, un nuovo Papa col sorprendente
nome Francesco assume l’incarico. Chi sa se Jorge Mario Bergoglio ha pensato al perché nessun
altro papa abbia scelto il nome Francesco. In ogni caso l’argentino sapeva bene di richiamarsi a
Francesco d’Assisi, il figlio di ricchi mercanti che scelse di abbandonare ogni ricchezza. Bergoglio
ha subito cambiato stile: niente più mitra con oro e pietre preziose, niente porpore e mantelli, né
ermellini, niente scarpe rosse confezionate su misura, niente trono sontuoso con la tiara.
Mi posi subito delle domande, se e come Francesco avrebbe potuto realizzare nella Chiesa d’oggi,
contro la Curia, gli ideali di fede di Francesco d’Assisi: Paupertas, Humilitas, Simplicitas. Si pone
un’altra domanda: una riforma della Chiesa non affronterà serie resistenze? Certo il papa affronterà
forze contrarie, soprattutto nella Curia, gli uomini del potere in Vaticano non abbandoneranno
volontariamente il potere che hanno il mano dal Medioevo.

Un segnale di speranza da Roma

Dopo poche settimane dall’elezione, papa Francesco convocò otto cardinali a Roma per studiare la
riforma della Chiesa e della Curia. Una nuova forma di direzione collegiale della Chiesa si
annuncia. Presi questo evento come occasione, per scrivere a papa Francesco una lettera personale,
il 13 maggio 2013. Lettera in cui espressi la mia gioia per la prima elezione di un latino- americano
e di un gesuita a Papa, e sottolineai la mia gioia per il cambiamento di stile nello spirito di San
Francesco d’Assisi. Poi scrissi il passaggio chiave: «Per uscire dall’attuale crisi della nostra Chiesa,
servono certo riflessioni, anche sulla lezione morale, e prima di tutto su riforme strutturali. Sarà
molto difficile imporre ciò, per questo Le auguro molta saggezza, coraggio e forza di resistere».
Con mia sorpresa, papa Francesco mi ha risposto. Con una lettera personale scritta a mano. Firma:
“F., Domus sanctae Mariae”. Ecco il testo: «Gentilissimo dottor Küng, ho ricevuto la sua lettera del
13 insieme a un articolo e due libri, che “con gusto” leggerò. Grazie di cuore per la sua amicizia,
rimango a Sua disposizione. La prego, preghi per me, perché ne ho davvero bisogno. Che Gesù la
benedica, e possa la Vergine aiutarla. Fraternamente, Francesco».
Il 28 giugno ringraziai il papa e gli raccontai di una mia lettera aperta ai cardinali prima del
conclave del 2005, accolta con tensione in Vaticano. Negli stessi giorni un alto prelato fu arrestato
con due complici per transazioni illegali allo Ior. Poco dopo i vertici della banca dovettero
dimettersi. Papa Francesco aveva già nominato una commissione indipendente sulla Banca
vaticana. Molte scelte, le prende aggirando la Curia. Sono tutti segni che questo Papa vuol far
seguire fatti alle parole e sembra deciso a vere riforme.