Scuola: anche quest’anno ritardi e difficoltà per l’alternativa alla religione cattolica

Matteo Scali e Diego Meggiolaro
www.rbe.it, 3 ottobre 2013

Era stato tema di discussione al Sinodo valdese e metodista di quest’anno, oltre che uno dei primi atti pubblici del rieletto Moderatore della Tavola valdese, Eugenio Bernardini. Alla vigilia dell’avvio dell’anno scolastico, come ogni anno puntualmente accade, gli evangelici italiani, tra gli altri, avevano chiesto alle istituzioni (e in particolare al Miur) di vigilare sulla corretta applicazione delle alternative all’insegnamento a scuola della religione cattolica.

Un diritto sancito – in primis – dalla Costituzione e ribadito nelle normative successive. Un appuntamento fisso, a cadenza regolare, così come regolarmente le famiglie italiane non cattoliche si trovano di fronte a enormi difficoltà per far rispettare un principio a suo modo semplice: quello della libertà – e pari dignità – di scelta in relazione alla dimensione religiosa dell’insegnamento nella scuola pubblica. Difficoltà che in alcuni contesti paiono immutabili, anche nelle nostre società multietniche e multireligiose.

Come ad esempio rileva uno dei redattori di Wired, in un suo breve articolo online rivolto a papa Francesco:

Sono il papà di Simone, un bambino di sei anni che da quest’anno frequenta la prima elementare. Lui, come il fratello, non è battezzato. Io e mia moglie lo siamo ma non siamo più credenti da parecchi anni. I perché sarebbero troppo lunghi da spiegare.
Per questo motivo abbiamo deciso di non fargli frequentare le due ore di religione “facoltative” a scuola. Oggi, alla prima riunione di classe dei genitori, le maestre hanno spiegato che i bambini che non hanno optato per le ore di religione (che ovviamente è solo cattolica), devono entrare due ore dopo il giovedì. L’alternativa non c’è. Quei genitori che non possono permettersi di entrare due ore più tardi a lavoro sono obbligati a far fare religione ai propri bambini.

Le insegnanti hanno spiegato che tutto questo è dovuto ai tagli del personale previsti dalla riforma Gelmini, che quindi non assicura uguali diritti a tutti i bimbi.

«Abbiamo una casistica ampia di problemi – dice Silvana Ronco dell’Associazione 31 ottobre – In questo periodo il più frequente è quello di trovare la scuola non preparata alla richiesta che si era fatta all’atto di iscrizione».

Certamente la scuola non sta vivendo, nel suo complesso, un momento semplice e per un dirigente far navigare il proprio istituto tra le difficoltà organizzative legate all’organico e quelle di ordine finanziario, deve essere un compito arduo. Ciò nonostante la scuola, congiuntamente alla famiglia, ha un compito educativo primario e questa dimensione non dovrebbe passare in secondo piano, come invece troppo spesso succede.

Come, ad esempio nel caso di Cristina Arcidiacono, pastora battista a Cagliari, che quest’anno ha iscritto la figlia Greta in prima elementare. «Greta fa parte di un istituto complessivo e i problemi erano iniziati già dalla scuola dell’infanzia. La dirigenza, in sostanza, ritiene superfluo attivare l’ora alternativa, perché frequentata da pochi bambini. All’asilo all’ultimo anno erano in 4 a non frequentare religione cattolica e ancora adesso io non so bene cosa facessero: non c’erano attività strutturate, spesso finivano i disegnini in classe».

«Quest’anno a giugno – prosegue Cristina – abbiamo avuto un incontro con dirigente e maestre. Io e i genitori dell’altra bimba che non fa religione abbiamo posto la questione: volevamo sapere quale fosse l’offerta formativa rispetto all’ora alternativa e ci è stato risposto che, essendo pochi sarebbero stati portati in un’altra classe. Gli abbiamo fatto notare che l’ora alternativa era un diritto tanto quanto l’ora di religione. Sono poi intervenute le maestre dicendo che ci saremmo messi d’accordo con loro e che sarebbe stata attivata. Poi è iniziata la scuola elementare e abbiamo scoperto che le bimbe nelle prime settimane avevano frequentato l’ora di religione cattolica. Abbiamo segnalato la cosa e le maestre sono cadute dalle nuvole; ci hanno detto di aver chiesto in segreteria quanti fossero i bambini e le bambine che non si avvalevano della religione cattolica e gli è stato risposto nessuno. Non avevano probabilmente neanche controllato. Una maestra ha preso a cuore la cosa, ci ha incontrati, si è scusata, e le cose poi si sono risolte».

Il punto è delicato, come spiega Silvana Ronco. «Quando si chiede un’attività alternativa, si esercita un diritto che prevede per le scuole un percorso di attingimento di fondi pubblici in primis per il personale. Laddove la scuola dice al genitore di non avere soldi o personale, siamo di fronte ad una mancata organizzazione del dirigente scolastico. Da tre anni a questa parte gli uffici scolastici regionali inviano ai dirigenti delle scuole di ogni ordine e grado, un promemoria in cui si ricorda il percorso per accedere ai fondi e nominare gli insegnanti».

In questo meccanismo, il numero di bambini o allievi coinvolti non è un elemento determinante. «La scuola è sempre tenuta ad organizzare questo insegnamento anche se c’è un solo allievo» continua la Ronco. Al contrario, la scuola dovrebbe prevedere anzitempo l’organizzazione delle attività alternative in modo da offrire nel Piano dell’Offerta Formativa (il POF, che normalmente viene presentato prima dell’inizio delle lezioni) un percorso strutturato prima ancora della richiesta dei genitori.

Capita che però spesso il POF non contempli minimamente tra le proprie attività quella di alternativa alla religione cattolica, come nel caso di Barbara Grill, che abita a Monza e la cui figlia, Lorenza, inizia quest’anno la prima elementare.«Avevamo scelto – ci dice – l’attività alternativa e nello specifico ciò che mia figlia avrebbe dovuto fare durante quelle ore. All’inizio della scuola l’attività non è stata presentata nel contesto del POF, dove invece era presente l’ora di religione cattolica. Hanno risposto alle nostre domande garantendoci che l’attività alternativa si sarebbe svolta secondo la legge. Nelle prime due settimane di scuola, però, niente è seguito e mia figlia è rimasta in classe anche durante l’ora di religione».

Alle difficoltà organizzative si sommano i problemi di comunicazione che possono intercorrere tra scuola e famiglia.

«Ho domandato all’insegnante di classe – dice Barbara – perché nessuno me lo aveva comunicato. E’ stata Lorenza che una sera mi ha domandato perché facesse cose diverse rispetto alla scuola materna. In sostanza l’attività alternativa non era ancora pronta e la scuola non ha avvisato i genitori. Mi sono rivolta al dirigente scolastico, scrivendogli, ma la mattina dopo mi è arrivata la comunicazione che l’attività sarebbe iniziata».

«È molto importante per la famiglia avere un rapporto di collaborazione con la scuola – sottolinea Silvana Ronco – Spesso avvengono fatti discriminatori o illegittimi anche perché la famiglia non è stata in grado di svolgere insieme alla scuola un percorso comune nel lavoro con lo studente».

«Credo dipenda anche molto dalla sensibilità delle maestre sull’argomento – continua Barbara – perché nello stesso plesso alla scuola materna non ho mai avuto questo genere di problemi. Ovviamente dipende anche da quale direzione didattica ti trovi di fronte. La nostra è molto attenta su diversi fronti, ma non su questo. Credo sia un problema di priorità. Hanno dato priorità all’attivazione di altri progetti e non all’attività alternativa alla religione cattolica. Ci devono essere le famiglie che ricordano, chiedono e si informano. Probabilmente se non avessi chiesto, la cosa sarebbe andata avanti».

Una relazione problematica con l’Istituzione scuola, diventa anche un elemento che interroga la genitorialità rispetto alla dimensione della scelta e della tutela di un diritto.

«Ingenuamente – prosegue Barbara – ho dato per scontato che venisse attivata. A tutt’oggi invece non ho un programma relativo a cosa farà mia figlia, mentre gli altri hanno da tempo il programma di religione cattolica all’interno del Piano dell’Offerta Formativa. Mi sono anche arrabbiata perché il mio problema non è stato considerato come una delle priorità: la risposta è stata – cosa pretende, la scuola è iniziata da due settimane-. Certo, il caso è stato preso in carico prima di quanto succedeva anni fa. Però mi ha ricordato la mia esperienza, quando 34 anni fa rimanevo nei corridoi. Non me lo aspettavo. Ho dato per scontato che questa cosa ci fosse e che avvenisse con la tranquillità cui ero abituata. Non lo farò più, non lo darò più per scontato».

Il punto è che, pratiche illegittime a parte, la questione relativa alle attività alternative alla religione cattolica rimane un elemento non prioritario in troppi contesti. Poi esistono situazioni limite, come i bambini che vengono spostati di classe. «Lo spostamento di classe durante l’ora di religione è una pratica illegittima, perché nessuna delle attività alternative proposte dalle scuole contempla questa casistica. E’ la scelta peggiore e bisogna segnalarla» precisa la Ronco.

Ma non solo. Cristina racconta di altri casi cui è venuta a conoscenza. «In chiesa mi sono arrivate le storie più strane, come ad esempio una classe di prima media in cui il professore di religione ha chiesto ai bambini che non frequentavano religione cattolica se avessero deciso autonomamente o se avessero scelto per loro i genitori».

Casi limite, certo, che tuttavia rappresentano nel complesso un mondo in cui i passi da fare per assicurare pluralismo e diritti sono ancora tanti. Insomma, l’appello alla vigilanza che da più parti giunge alle istituzioni scolastiche appare oggi più che mai giustificato. Vigilare e segnalare i problemi per non dare per scontata una realtà complessa e fondante la dimensione plurale della società del futuro.