I toni e le azioni

Roy Bourgeois
Adista Documenti n. 35 del 12/10/2013

Dopo aver esercitato il ministero sacerdotale cattolico per quarant’anni, nove mesi fa sono stato espulso dal sacerdozio e dalla mia comunità religiosa di Maryknoll in ragione del mio sostegno alla causa dell’ordinazione femminile. Per quanto sia stato dolorosissimo dovermi allontanare dalla comunità religiosa che ho tanto amato, questo dolore non è paragonabile alla sofferenza vissuta dalle donne e dai cattolici Lgbt che per secoli sono stati emarginati dalla nostra Chiesa.

In una lunga e ampia intervista con la stampa, dopo la Giornata mondiale della Gioventù svoltasi a Rio, papa Francesco ha affrontato una grande varietà di temi che hanno un rilevanza particolare per la vita della Chiesa e dei singoli individui. Nelle due affermazioni maggiormente riportate dai media, il papa parlava dell’esigenza di non emarginare le persone gay, pur restando valido il divieto di relazioni omosessuali, e ribadiva che il tema del sacerdozio femminile è chiuso, provocando così reazioni su scala planetaria. Ha poi aggiunto di ritenere importante che la Chiesa esamini il ruolo delle donne e che magari consenta loro l’accesso a diversi ministeri.

Se molti vescovi stanno facendo del loro meglio per sostenere che il papa ha semplicemente ribadito l’attuale magistero della Chiesa e che le sue parole vanno considerate in questa luce, la straordinaria risposta globale alla conferenza stampa dimostra che la maggior parte della gente si è resa conto che in gioco c’è di più. In un mondo sempre più segnato dalla divisione – tra ricchi e poveri, tra persone di diverse fedi e di diverse etnie, tra i Paesi devastati dalle guerre e quelli che li riforniscono di armi – il papa, come capo della più grande denominazione cristiana del mondo, può diventare simbolo dell’unità e della giustizia a cui tanti aspirano. Arrivando al pontificato dopo aver esercitato il suo ministero in una città del Sudamerica, e non in un ufficio della burocrazia vaticana, è potenzialmente una figura in grado di cambiare le cose.

Mi sembra chiaro che il papa stia ancora facendo i conti con il potere del suo incarico e con il modo in cui usarlo. Ho l’impressione che viva un conflitto tra la sua sensibilità pastorale e la tradizione dottrinale ereditata. E che debba ancora cogliere pienamente i collegamenti tra i tanti tipi di alienazione vissuti nella nostra Chiesa.

Mi chiedo se papa Francesco abbia riflettuto sulle contraddizioni presenti nelle sue affermazioni sulle donne e sulle persone omosessuali. Immaginate se la citazione estratta dal suo discorso fosse stata: «Se una donna di buona volontà fosse chiamata dal Signore a prestare il suo servizio, chi siamo noi uomini per giudicare e interferire con quella chiamata?». O se il papa avesse riconosciuto che manchiamo di una teologia della sessualità e delle relazioni davvero profonda! Sarebbe stato come lasciar entrare una ventata di aria fresca dicendo la verità!

Come prete ho imparato che, quando c’è un’ingiustizia, il silenzio è complicità. Ho considerato l’esclusione delle donne dal sacerdozio una grave ingiustizia e, in coscienza, non ho potuto tacere. La punizione per aver sollevato la questione dell’uguaglianza è stata severa: sono stato allontanato dalla comunità che amo.

Forse il più grande cambiamento generato dalle parole del papa è un senso di liberazione che permette ai cattolici di discutere liberamente i molti temi che la Chiesa deve affrontare. La paura che ha dissuaso tanti dall’esprimere i propri dubbi sotto i due papi precedenti sembra essersi dissolta. Tuttavia, i toni pastorali di papa Francesco non devono essere scambiati per un’azione pastorale. Abbiamo bisogno di meccanismi e di spazi affinché la Chiesa ascolti la voce dei laici, in particolare delle donne e dei cattolici Lgbt, di gruppi come la Women’s Ordination Conference o DignityUsa, della maggioranza dei cattolici che aspira ad una Chiesa basata sulla giustizia. Non possiamo accettare le contraddizioni presenti nelle parole di papa Francesco senza parlare.

Sono pieno di speranza perché so che l’esperienza personale di moltissimi cattolici li ha convinti che l’amore di Dio non è condizionato da questioni di genere, di orientamento sessuale e di status relazionale o da qualsiasi altro elemento che gli esseri umani possano stabilire. Né lo è la chiamata al ministero e la capacità di servire il popolo di Dio. Abbiamo bisogno che tutti i cattolici – laici, preti e gerarchia – si impegnino nel discernimento di cosa possa significare questa convinzione per la nostra Chiesa. Solo allora sperimenteremo la teologia più profonda invocata dal nostro papa come superamento dell’emarginazione vissuta da troppi membri della nostra Chiesa.

Finché non raggiungeremo la vera giustizia, dovremo continuare a intraprendere iniziative, a parlare e a pregare.