Bergoglio sulle carceri: «Ci sono solo pesci piccoli»

Luca Kocci
il manifesto, 24 ottobre 2013

Le prigioni sono piene di “pesci piccoli”, mentre quelli grossi «nuotano liberamente» fuori. Sono alcune delle parole che ha pronunciato ieri papa Bergoglio, ricevendo circa 150 cappellani delle carceri (che dal 21 al 23 ottobre erano riuniti a Sacrofano, vicino Roma, per il loro convegno nazionale), poco prima della consueta udienza generale del mercoledì in piazza San Pietro.

Guai a pensare che Francesco ce l’avesse con Berlusconi – condannato in via definitiva ma a piede libero –, tuttavia è lecito supporre che all’ex premier, ai suoi sodali e a tanti altri «pesci grossi» siano fischiate le orecchie e si siano sentiti chiamare in causa. «Il Signore è dentro» con tutti i reclusi, «anche lui è un carcerato, ancora oggi, carcerato dei nostri egoismi, dei nostri sistemi, di tante ingiustizie, perché è facile punire i più deboli, ma i pesci grossi nuotano liberamente nelle acque», ha detto Bergoglio, che ha anche invitato i cappellani a «far arrivare un saluto a tutti i detenuti» e un incoraggiamento per «superare positivamente questo periodo difficile della loro vita».

Dopo monsignor Crociata, segretario generale della Conferenza episcopale italiana, che al convegno del cappellani aveva denunciato il «sovraffollamento» delle carceri italiane e una situazione giunta «ai limiti della sopportazione umana» e bacchettato la politica per la sua inerzia (come riferito ieri dal manifesto), è ora il papa ad intervenire sulla questione. Anche se né Crociata né Bergoglio hanno fatto esplicita menzione alla possibilità che il Parlamento approvi una misura di indulto o di amnistia, il tema oggetto del dibattito politico in queste settimane.

Non è la prima volta che papa Francesco, nei suoi sette mesi abbondanti di pontificato, parla o affronta l’argomento carcere (al di là di quello che succedeva in Argentina, quando era arcivescovo di Buenos Aires e pare avesse una particolare attenzione alla situazione dei reclusi). Lo aveva fatto già pochi giorni dopo la sua elezione alla cattedra di Pietro, il 28 marzo, andando a celebrare il giovedì santo della liturgia cattolica nel carcere minorile romano di Casal del Marmo, con la lavanda dei piedi a dodici giovani detenuti e detenute, soprattutto stranieri. E poi ha incontrato alcuni carcerati sia durante il viaggio a Rio de Janeiro in occasione della Giornata mondiale della gioventù di fine luglio, sia durante la visita pastorale a Cagliari, a settembre.

Potrebbe farlo nuovamente nelle prossime settimane. Il direttore della sala stampa della Santa sede, padre Federico Lombardi, ha infatti annunciato che il 14 novembre il papa «si recherà al Quirinale in vista ufficiale, per restituire al presidente della Repubblica italiana la visita da lui resagli in Vaticano l’8 giugno scorso». Napolitano nell’ultimo mese è intervenuto più volte sul tema carcere. A fine settembre, durante una visita al carcere napoletano di Poggioreale a Napoli, aveva proposto al Parlamento «di prendere in considerazione la necessità di un provvedimento di clemenza, di indulto e di amnistia», non tanto per rispettare la sentenza di Strasburgo (che ha puntato il dito contro il «sovraffollamento» e il «malfunzionamento cronico del sistema penitenziario», invitando l’Italia a risolvere il problema entro un anno), quanto come «imperativo umano e morale». E ha ribadito la richiesta pochi giorni dopo, l’8 ottobre, con un messaggio alle Camere.

Il 14 novembre, allora, durante l’incontro fra Bergoglio e Napolitano, l’appello potrebbe essere rilanciato. E anche il papa potrebbe forse associarsi alle parole indulto e amnistia.

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Sovraffollamento, «parole sante» dal vertice della Cei

Luca Kocci
il manifesto, 23 ottobre 2013

La situazione «delle carceri e dei carcerati» è giunta «ai limiti della sopportazione umana», ma la politica continua ad essere sorda, cieca e incapace di agire, come se si trattasse di «problemi marginali» che riguardano solo poche persone e non invece «l’intera società».

Il monito arriva dal segretario generale della Conferenza episcopale italiana, mons. Mariano Crociata, che ieri è intervenuto al Convegno nazionale dei cappellani delle 206 carceri italiane, in corso fino ad oggi a Sacrofano, nei pressi di Roma. La denuncia, a differenza di altre prese di posizione delle gerarchie ecclesiastiche talvolta piuttosto vaghe e generiche, è netta. Da «troppi anni», nelle carceri del nostro Paese, «si vivono gravi problematiche, prima fra tutte quella del sovraffollamento, che determina condizioni di vita disagiate e spesso ai limiti della sopportazione umana», dice il numero due dei vescovi italiani, con evidente riferimento alle cifre documentate dall’associazione Antigone e pochi giorni fa riconosciute come autentiche anche dalla ministra della Giustizia Annamaria Cancellieri: quasi 65mila detenuti per appena 37mila posti (e non 47mila, come invece dichiarava il Dipartimento dell’amministrazione penitenziaria), con un sovraffollamento record del 175%, il più alto di tutta Europa. «Si ha l’impressione che la questione della condizione di vita dei detenuti, oltre a quella dei progetti di recupero e di reinserimento e dei relativi investimenti, non venga mai affrontata con la necessaria determinazione e progettualità – prosegue Crociata –. Sembra che si tratti di problemi marginali, che non toccano la società nel suo insieme, ma solo alcune persone che, obbligate a vivere nei luoghi di detenzione, non ne sono più parte». E quindi che a loro non si debbano «assicurare condizioni di vita dignitose».

Particolarmente disagiata, aggiunge il segretario generale della Cei, è la situazione degli stranieri – «ormai più del 35% del totale dei detenuti» – a cui, alla reclusione, si aggiungono anche «la lontananza dalla famiglia» e dal proprio Paese e le «esigue risorse economiche».

Tutti i detenuti, dice Crociata, non sono cittadini «di serie B», ma «uomini e donne che, pur essendosi macchiati di crimini più o meno gravi, hanno vissuto sofferenze e difficoltà, e ora hanno bisogno di comprensione e dell’appoggio della società per potersi rialzare e reinserire nelle normali relazioni sociali». Invece si constata una situazione assolutamente «non ammissibile»: migliaia di persone «quasi dimenticate per lunghi periodi, abbandonate a una sofferenza che potrebbe in parte essere alleviata e che non è certo il fine della detenzione».

In queste condizioni in cui inevitabilmente le relazioni «sono caratterizzate da conflittualità di vario tipo» a causa della «convivenza forzata in spazi ristretti», la riabilitazione è impossibile – anche perché il detenuto si sente ulteriormente «vittima» ed «è impedito nel suo cammino di recupero» – e la pena da scontare diventa esclusivamente «violenza».